Nel 2009 ha ritirato il premio della giuria a Cannes grazie al suo interessante film a tema vampiresco, "
Thirst", adesso, dopo aver realizzato qualche corto, il coreano Park Chan-wook (in Italia conosciuto soprattutto per la sua cosiddetta "Trilogia della Vendetta") si aggiunge alla pattuglia di talenti asiatici che tentano l'avventura negli States. Questa è di norma una mossa azzardata, anche perché gli autori orientali quando attraversano l'oceano scoprono di dovere avere a che fare con meccanismi produttivi notevolmente diversi da quelli cui sono abituati e senza quella piena libertà creativa che si meriterebbero. Non a caso le parentesi occidentali di alcuni amatissimi autori del Far East sono viste spesso, nel migliore dei casi, come esperienze riuscite a metà (vedasi i casi di Chen Kaige, Tsui Hark, Wong Kar-wai, Kirk Wong, John Woo, che ci ha provato più assiduamente, fino al recente Kim Jee-woon, e sono attesi lavori in inglese anche da parte di Bong Joon-ho e Miike Takashi).
Park si affida a una sceneggiatura di Wentworth Miller (sì, proprio il Michael Scofield di "Prison Break", accreditato anche come co-produttore), su cui ha messo le mani Erin Cressida Wilson (quella di "
Secretary" e "
Chloe") per raccontare una storia che parla di famiglie sempre più in crisi e di quanto possa essere affascinante il Male.
India Stoker (Mia Wasikowska) perde l'amatissimo padre (Dermot Mulroney, che appare in alcuni flashback) proprio il giorno del suo diciottesimo compleanno. Durante il funerale fa la conoscenza di zio Charlie, un tipo misterioso, fascinoso, ma anche, lo si scoprirà di lì a poco, molto pericoloso. Ogni riferimento a "L'ombra del dubbio" di
Hitchcock è puramente voluto. Mentre la madre di India, Evelyn (Nicole Kidman), pare gradire la compagnia del cognato ritrovato, la ragazza, che naturalmente è scontrosa e poco socievole come molte adolescenti protagoniste di film americani, non si fida molto, anche se lo zio è seriamente intenzionato a "conquistarla". Il problema è che con l'arrivo di Charlie cominciano a verificarsi strane sparizioni di persone... vuoi vedere che?
A differenza del personaggio interpretato da Theresa Wright nel film del 1943, India quando si rende conto di quanto sta succedendo, piuttosto che ostacolare i progetti dello zio, criminale dallo sguardo penetrante, comincerà a sentirsene sempre più attratta, anche quando verranno alla luce alcuni tremendi segreti di famiglia...
Dopo Jane Eyre e prima di Madame Bovary, Mia Wasikowska si allontana dalle eroine letterarie nelle quali si sta specializzando e si conferma una delle interpreti più interessanti della sua generazione, riuscendo a dare credibilità al suo personaggio più inquietante. Però "Stoker" è
in primis il film di Matthew Goode e l'Oxymandias di "
Watchmen" si dimostra perfetto nei panni dello zio spaventoso e attraente al tempo stesso. Grazie a Nicole Kidman, il personaggio della madre esce dal cliché della signora bella, vanitosa e ingenua, guadagnando in spessore. L'attrice australiana non è aiutata da una sceneggiatura che la sacrifica un po' troppo, ma in compenso nel prefinale Park le regala un monologo sulle ragioni per mettere al mondo dei figli che vale tutto il film. In ruoli secondari anche la brava Jacki Weaver, nei panni di una lontana parente che cerca di mettere in guardia (con poca fortuna) madre e figlia, e Alden Ehrenreich, in quelli di un giovanottino che si prende troppe libertà con India...
"Stoker", come altri film in questo finale di stagione ("
Solo Dio Perdona" o "
Killer in viaggio" tanto per fare degli esempi), si segnala per una bella dose di sangue versato, anche se Park decide di spiazzare imbastendo il tutto con un'inattesa eleganza formale che lo rende molto diverso da altri film di genere e semmai lo fa somigliare a certe fiabe gotiche di
burtoniana memoria. Quindi notevoli sono i contributi di Thérèse De Prez alle scenografie, di Kurt & Bart ai costumi, di Clint Mansell (e Philip Glass) alle musiche, di Chung Chung-hoon (collaboratore abituale di Park) alle luci e, in particolare, di Nicolas De Toth al montaggio. Non è bastata questa eleganza formale a convincere tutti, anche perché se il thriller figurativamente è riuscito, la
suspense non sempre tiene e alcuni passaggi della storia sono strampalati.
Forse l'avventura di Park in America non sarà l'eccezione che conferma la regola, a proposito di quanto si diceva dei registi asiatici al lavoro a Hollywood (o dintorni), ma resta comunque un risultato pregevole e superiore al prodotto medio. Vedremo se continuerà l'avventura americana (sono stati annunciati vari progetti, anche se al momento non confermati) o se, come molti suoi colleghi, preferirà tornare a lavorare in patria.