Poiché l'ultimo film di Park Chan-wook distribuito in Italia risale al 2005 ("Lady vendetta"), occorre forse un breve passo indietro. Gli spettatori che continuano ad associare il nome di Park alla tematica della vendetta si mettano il cuore in pace, poiché il regista coreano ha voltato pagina. Lo si poteva già intuire dal finale di "Sympathy for Lady Vengeance", dove, consumatasi la vendetta, essa veniva riassorbita col gesto del taglio della torta, a sancire il restauro simbolico del patto sociale - che ovviamente affonda le sue radici nel sangue. L'anno dopo, con l'inedito in Italia "I'm A Cyborg But That's Ok", ci si ritrova in un universo totalmente diverso: un mondo di matti, dalla cui superficie colorata e bizzarra trapelano vene di malinconia e di solitudine.
Il sangue che mancava nel film del 2006 sgorga ora a ettolitri in "Thirst". Dopo la commedia, il genere che fa da pretesto diventa l'horror vampiresco, ma come aveva insegnato Coppola in "Bram Stoker's Dracula", sotto l'orrore del sangue scorre un fosco melodramma. Nel Padre Sang-hyun (l'eccellente Song Kang-ho) si può scorgere quell'inettitudine presente in altri protagonisti parkiani, come ad esempio Ryu di "Mr. Vendetta", il quale, per aiutare la sorella, innescava un meccanismo fatale. Anche in questo caso le intenzioni sono generose: donare se stessi per aiutare la medicina a sconfiggere un virus incurabile, ma gli effetti sono devastanti; il prete, pur sopravvivendo al trattamento sperimentale, scopre di essersi trasformato in un vampiro. Il film ha un'ulteriore svolta con l'ingresso di Tae-ju, che diviene il vero perno della narrazione e l'oggetto del desiderio del prete. Interpretata con intensa sensualità dalla semi-esordiente Kim Ok-bin, è una ragazza ambigua che cattura nella sua rete il prete-vampiro, come diversivo a un ménage a cui è sottomessa. Infatti, inizialmente è presentata come una ragazza annoiata e passiva legata a un nucleo familiare in cui ha un ruolo di pura subalternità; in seguito si trasforma in un corpo erotico seducente e, infine, in un predatorio corpo omicida degno della più letale delle dark lady. Sang-hyun, profondamente attratto, si incunea nella routine familiare della donna, che è la moglie di un suo amico di infanzia (e in realtà figlia adottiva della madre-matrona), assecondando i rinnovati desideri carnali e non intuendo dove può condurre il rapporto con la ragazza.
Come in "Old Boy", anche "Thirst" lavora su moduli tragici attraverso la chiave del noir: il peccato originale del protagonista, il suo fatal flaw, concerne l'aspirazione al martirio che produce una dicotomia tra la santità cercata e le azioni immorali di cui si macchia. Se l'essere sopravvissuto al trattamento lo rende un santo agli occhi di una piccola comunità di fedeli, una sorta di Lazzaro redivivo, Sang-hyun si trova a dover affrontare prima la sua sete di sangue, che cerca di estinguere nel modo meno nocivo per gli altri, poi con quegli appetiti sessuali che, in quanto religioso, ha sempre represso e inevitabilmente coi sensi di colpa che ne derivano. La regia di Park si concentra sul riflesso corporeo di questi nuovi desideri che maturano, deflagrano e vengono vissuti dai suoi protagonisti: c'è un richiamo della carne a cui il regista non si sottrae, anzi lo sguardo della macchina da presa indugia sulla pelle, scopre le vene, mostra umori e fluidi che scorrono e bagnano i corpi. Quello tra Sang-hyun e Tae-ju è un divorante amour fou, un'esplorazione di pulsioni mortifere in una relazione malata e contraddittoria. E "Thirst", ispirato a "Teresa Raquin" di Zola, è un indisciplinato esercizio di mélanges tra codici dell'horror, della black comedy e del melò che esplodono in un groviglio di morbosi sentimenti che muta la fede del protagonista in sete, la spiritualità in carnale animalità.
Se da una parte Park si inserisce nella tradizione cinefila coreana che guarda a Kim Ki-young nell'utilizzo del registro grottesco quale grimaldello per scardinare le perversioni familiari, è altresì vero che l'umorismo macabro e dissacrante pone una distanza ironica, come una forma di compensazione rispetto agli eventi più crudeli. La scrittura a briglie sciolte contribuisce a generare un film sia più libero, sia più diseguale sul piano del ritmo e dello sviluppo narrativo che, nell'arco centrale, progredisce tramite una concatenazione piuttosto meccanica di episodi.
"Thirst" dimostra inoltre come la pulizia formale operata in "Lady Vendetta" non rappresentasse un'isolata divagazione ma il primo passo per la messa a punto di una nuova estetica: uno stile su cui il regista sembra, però, ancora sperimentare procedendo in una giustapposizione non sempre bilanciata di idee narrative e leitmotiv formali. La messa in scena si concentra sulla scelta dell'angolo di ripresa che permette una composizione stratificata del quadro, soffermandosi su dettagli che amplificano la risonanza sensoriale e la portata simbolica delle immagini (si pensi all'immagine ricorrente delle scarpe cedute dal prete a Tae-ju). La fotografia di Chung Chung-hoon è sempre più plastica con una palette graduata su colori desaturati e freddi (a eccezione del rosso), raggiungendo l'apice nelle asettiche sequenze omicide girate nella casa ormai svuotata, immersa in un bianco accecante. L'incredibile maestria di Park regala sequenze di fragrante feticismo erotico, come i baci di Tae-ju sui lividi autoinferti del prete, lo zoom-out che mostra Sang-hyun succhiare le dita dei piedi di Tae-ju mentre questa succhia le dita delle di lui mani; oppure, scarti lirici come il valzer di Jo Young-wook "danzato" dai due protagonisti saltando da un tetto all'altro.
Straordinario il finale muto e anti-chapliniano, di crudele romanticismo, che chiude un'opera imperfetta ma pulsante, nobilitata dalla più incisiva e conturbante femme fatale degli ultimi tempi.
cast:
Song Kang-ho, Kim Ok-bin, Oh Dal-su, Shin Ha-kyun
regia:
Chan-wook Park
titolo originale:
Bakjwi
durata:
133'
produzione:
Park Chan-wook; Ahn Soo-hyun
sceneggiatura:
Park Chan-wook; Jeong Seo-gyeong
fotografia:
Chung Chung-hoon
montaggio:
Kim Sang-bum; Kim Jae-bum
musiche:
Jo Young-wook