Daniele Ciprì riadatta per il grande schermo il romanzo di Roberto Alajmo, scrive la sceneggiatura assieme a Massimo Gaudioso e si prende tutte le licenze poetiche necessarie per mantener intatto il suo stile, cosa rara di questi tempi, soprattutto in Italia. E' anche direttore della fotografia (come pure in "Bella addormentata" di Marco Bellocchio, in concorso al festival) che - salvo le scene "seppia" - ricorda molto il lavoro compiuto per "La pecora nera" di Ascanio Celestini.
Busu (Alfredo Castro) è seduto in un ufficio postale, dove paga bollette altrui in cambio di un compenso. E' lui il narratore, la versione cipriana di Forrest Gump, che in attesa del suo turno racconta storie a metà tra la cronaca e la fantasia, senza curarsi della gente che si ferma, lo ascolta e se ne va. Nessuna piuma gli si posa sulle ginocchia. Piuttosto un incidente mortale, oltre la vetrata alle sue spalle. Imperturbabile come in "Post Mortem" di Pablo Larrain (in concorso due anni fa a Venezia) Castro/Busu si rivolge alla sala: "Conoscevo un tale, che per un graffio alla macchina uccise suo padre"...
La storia è ambientata negli anni Settanta, in un quartiere popolare di Palermo. Una terribile tragedia si abbatte sulla famiglia Ciraulo, la piccola Serenella (Alessia Zammitti) muore colpita per errore in un regolamento di conti mafioso. Lo sgomento però è ben presto rimpiazzato dall'euforia per i duecento milioni che lo Stato ha stabilito come risarcimento ai familiari della vittima. Ad avere la meglio sull'impiego dei soldi è il padre, Nicola Ciraulo (Toni Servillo), che non solo realizzerà il suo sogno ma convincerà anche gli altri della sua sensatezza. L'epilogo è un susseguirsi di colpi di scena, in un ribaltamento che coinvolge tutti i personaggi e la "struttura" stessa della famiglia. Ad avere la peggio stavolta, è proprio Nicola.
Questa storia parla dell'Italia, di Palermo come di ogni altra città italiana. Parla di miseria, dell'apparire come riscatto e fonte di rispetto sociale, dell'illusione del benessere per tutti con cui il consumismo ha travolto le culture del nostro paese. "La miseria della ricchezza" l'ha definita Ciprì, quella meschinità umana senz'epoca né patria.
Anziché realistico, o addirittura verista, Ciprì sceglie un registro favolistico, asseconda la sua visione, il disegno di una realtà immaginata, sulla base sì del suo ricordo di Palermo (la città dov'è nato), ma soprattutto del suo sentire. Ecco perché il film è girato interamente in Puglia e il quartiere popolare dove abitano i Ciraulo è a Brindisi e non a Palermo. Ecco perché il dialetto è siciliano ma il suo principale interprete (Toni Servillo) è napoletano. Non è importante che il luogo corrisponda alla realtà, ma che la evochi. La verità è ciò che le immagini, o in un romanzo le parole, evocano. Non è importante se queste corrispondano alla realtà dei fatti.
Lo stesso vale per la pronuncia di Servillo, che contribuisce a creare un'atmosfera forse non attendibile su un piano storiografico, ma assolutamente credibile. In fondo il caos ha un ordine preciso: se tutto è fuori posto, allora è tutto a posto.
Questa è la logica di un film che segue sì una trama ben definita - con tanto di inizio, centro, e fine - ma che si sbizzarrisce in una serie di situazioni - pur con la sensazione che Ciprì si sia limitato, nelle digressioni - e personaggi, ognuno portatore di almeno un tratto caricaturale. Una carrellata che rimanda a certe mimiche di Franco e Ciccio e alla "Cinico Tv" di Ciprì e Maresco dei primi anni Novanta: da Busu, ispirato al ciclista Tirone alla sfilata di obesi in riva al mare, all'avvocato strabico e "forforeggiante" (il barone Cammarata de "Il ritorno di Cagliostro"), l'usuraio ridanciano, la nonna che d'improvviso diviene strega. Notevoli prove del giovane Fabrizio Falco, nell'attonito ruolo di Tancredi, e di Giselda Volodi, la signora Loredana Ciraulo, soprattutto nello strazio finale che asseconda la decisione della madre Rosa (Aurora Quattrocchi).
In attesa di "Bella addormentata" di Bellocchio, che lo vedrà ancora protagonista, Toni Servillo si candida decisamente alla Coppa Volpi, dimostrando per l'ennesima volta tutte le sue capacità trasformiste (la camminata, da sola, vale una coppa a parte) e un'estrema facilità di essere il personaggio.
In questo bailamme (dis)umano, trascurati e calpestati, più volte fino alla fine, i bambini chiedono parola. Ma nessuno è disposto ad ascoltarli. Tutto ha un prezzo e niente vale più del benessere della famiglia.
"E' stato il figlio" è la battuta che non sentiamo pronunciare, ma che ci rimane impressa dentro: un'accusa all'innocenza, alla sua ostinata incapacità di reagire a un mondo che fa di tutto per insegnarle anzitempo il significato della morte.
cast:
Toni Servillo, Giselda Volodi, Alfredo Castro, Giuseppe Vitale, Aurora Quattrocchi, Alessia Zammitti, Fabrizio Falco, Benedetto Ranele, Pier Giorgio Bellocchio
regia:
Daniele Ciprì
distribuzione:
Fandango
durata:
90'
produzione:
Rai Cinema, Palomar, Babe Film, Apulia Film Commission
sceneggiatura:
Daniele Ciprì, Massimo Gaudioso
fotografia:
Daniele Ciprì
scenografie:
Marco Dentici
montaggio:
Francesca Calvelli
costumi:
Grazia Colombini
La famiglia Ciraulo è sconvolta dalla scomparsa della piccola Serenella. Ma la disperazione dura giusto il tempo di sapere a quanto ammonta il risarcimento previsto dallo Stato per i familiari delle vittime. L'illusione – e la miseria della ricchezza – è capace di cancellare l’accaduto e lanciare l’intera famiglia verso la sua distruzione.