Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Acclamata in patria e circondata da un’atmosfera di attesa, è approdato anche al FEFF 25 la nuova opera della regista indonesiana Upi Govinda: "Sri Asih", che giunge al traguardo dopo tre anni e a cavallo dell’intervallo pandemico che rischiava di avere irreparabili conseguenze sulla Bumilangit Cinematic Universe, una casa di produzione in concorrenza, per il mercato del sud est asiatico, nientemeno che con la Marvel Cinematic Universe. Lanciato come un blockbuster, il lavoro dell’Avianto rappresenta un progetto ambizioso in quanto coniuga esigenze di cassetta da un lato con il tentativo, dall’altro, di continuare sulla strada della rivalutazione del patrimonio culturale ed iconografico indonesiano innestandolo nella tradizione espressiva della cinematografia di stampo occidentale. L’Indonesia è un gigante demografico di circa 270 milioni di abitanti, in cui per ragioni di carattere storico e orografico molti riti e credenze locali si sono mantenute vive ben oltre il periodo postcoloniale. È a quest’universo mistico, che affonda le origini nella notte dei tempi, che ha recentemente attinto, per il suo "Gundala" (2019), Joko Anwar, altro regista indonesiano. Il film, presente anch’esso alla kermesse di Udine nell’edizione precedente a quella attuale, peccava tuttavia nella cura formale e nella sceneggiatura eccessivamente monotona. Anwar ha poi contribuito alla sceneggiatura di Sri Asih, un prodotto lontano dalla piena maturità artistica, ma più consapevole dei fini che vuole ottenere.

L’opera si ispira al primo fumetto indonesiano, edito nel 1953, che ha per protagonista addirittura un’eroina. Alana, questo il nome della ragazza prima di assumere la veste di paladina dei deboli, è una sorta di amazzone, una che fin da bambina mostra la tendenza a non cedere alle ingiustizie e, anzi, deve sforzarsi di contenere la rabbia di misteriosa origine che cova dentro di sè. Alana è, sotto questo aspetto, accostabile all’Hulk noto al pubblico occidentale. Partorita in circostanze particolari, ovvero durante la fuga della madre e del padre da una rovinosa eruzione del Merapi, la bambina cresce in un orfanotrofio, finchè la madre adottiva non la sottrae a un futuro fatto di indigenza e anonimato. La donna è infatti un’istruttrice di arti marziali e cerca di disciplinare l’aggressività della piccola facendone una celebrità nel kick boxing. Approssimandosi alla maggiore età, Alena entra in conflitto con Mateo, lo spocchioso figlio di Prayogo, imprenditore che naviga nell’oro e, ce lo dice anche la posizione della macchina da presa, guarda tutti dall’alto in basso. Il particolare non è secondario, in quanto anche nel citato Gundala la connotazione socio-economica dell’antagonista sembra un tassello imprescindibile in questo genere di produzioni indonesiane. Api Avinda non manca di sottolinearlo con una scenografia che ritrae ambienti lussuosi, in cui l’illuminazione color ocra che promana dalle luminarie alle pareti stride con le tetre abitazioni dei quartieri popolari di Giacarta, costantemente minacciati da aggressioni, incendi e spedizioni punitive ordite dai colletti bianchi.

Una sceneggiatura su questo aspetto forse un tantino audace, se non debole, connette poi i loschi interessi di Prayogo all’epifania della Dea del fuoco. Che attinenza ha il sacrificio di mille abitanti del quartiere di Kembangan con il malvagio di turno? Vien da pensare che l’unico anello di congiunzione, seppur non espressamente citato, sia la speculazione edilizia, anche perché il plastico con i grattacieli che il boss ostenta nella propria abitazione ritorna più volte nel film. Oppure il pubblico indonesiano, sempre affascinato dal misticismo che circonda gli eventi catastrofici, dovrebbe accettare questa coincidenza tra le misteriose forze dell’occulto e la più evidente cupidigia del colletto bianco di turno. Alana ha nel frattempo acquisito le fattezze, il piglio (e l’immancabile costume) da supereroina. Con una frettolosa cerimonia diventa Sri Asih e potenziate le proprie facoltà riscatterà il destino di coloro che vivevano angariati dal boss di turno o dalla misteriosa Dea del fuoco. O da entrambi. Fate un po’ voi.

Le sequenze migliori di "Sri Asih" sono i combattimenti tra l’eroina e gli innumerevoli nemici che le si parano di fronte. La protagonista è fisicamente e cinesteticamente come una via di mezzo tra la "Wonder Woman" incarnata da Gal Gadot e la Catwoman impersonata da Michelle Pfeiffer; la sua velocità, fumettisticamente parlando, è assimilabile a quella di Flash. Particolare, oltre che riuscito, l’impiego delle musiche: si tratta di un tessuto nel quale l’aspetto ritmico prevale nettamente su quello melodico e che con il procedere tambureggiante riecheggia l’universo delle campagne, delle foreste, vera e propria culla del misticismo indonesiano.

Per quanto riguarda l’uso della computer grafica è di pregio in tutto il film, tranne che nell’incipit, dove è evidente che quello del vulcano è uno sfondo ricostruito. Perfino i titoli di coda intermedi, che vi raccomandiamo, sono graficamente più curati e degni di esser visti dell’incipit. Eppure questa differenza nella cura del dettaglio tra le diverse parti del film merita pur una riflessione e una delucidazione. Se un regista, e nel caso di Upi Avianto anche cosceneggiatore, si permette il “lusso” di trascurare certi dettagli in apertura di film, quando l’attenzione dello spettatore è più vigile, può anche significare che egli sappia che in realtà l’occhio dello spettatore seguirà quella sequenza con minore attenzione di quanto non accada per quelle dedicate all’action puro. E ciò dimostra che in questo genere cinematografico non tutte le sequenze hanno lo stesso peso e che, come corollario, non è il gusto del regista a influenzare lo spettatore, quanto il contrario. Per quanto riguarda appunto l’action, quello che si consuma negli angusti corridoi dell’abitazione di Prayogo, la bontà della sceneggiatura e del montaggio è assimilabile a quella che si riscontra ne "Snowpiercer" (2013), dove l’esiguità dello spazio a disposizione si dilata grazie alla tecnica di ripresa.

Per quanto riguarda invece gli elementi di debolezza del film, manca innanzitutto la profondità nel trattamento della protagonista. Cosa scatena gli episodi di rabbia che deve periodicamente contenere? Nella sua metamorfosi da Alana a Sri Asih cosa cambia nel suo animo? E quando non veste i panni dell’eroina, come vive la quotidianità? Cosa ne è dell’uomo Clark Kent quando non è Superman, direbbero oltreatlantico? Dal punto di vista della sceneggiatura, il rapido e disinvolto passaggio da una location all’altra rischia di stordire lo spettatore deprivato di una unità di luogo solida. Si ha in altri termini l’impressione di una pletorica moltiplicazione degli ambienti. Per quanto riguarda le inquadrature, alcune di quelle fisse effettuate dal basso, che dovrebbero generare tensione, la fanno svanire per effetto di ciò che avviene successivamente. Per alcune coincidenze nella trama si può invece chiudere un occhio, anche se è difficile ipotizzare che Alana ritrovi il proprio compagno di scuola Tangguh casualmente, in una metropoli di oltre 10 milioni di abitanti.


28/04/2023

Cast e credits

cast:
Pevita Pearce, Ario Bayu, Reza Rahadian, Christine Hakim, Surya Saputra, Randy Pangalila, Dimas Anggara


regia:
Upi Avianto


titolo originale:
Sri Asih


durata:
135'


produzione:
Bumilangit Cinematic Universe


sceneggiatura:
Upi Avianto, Joko Anwar, Raden Ahmad Kosasih


fotografia:
Arfian


montaggio:
Teguh Raharjo


costumi:
Meutia Pudjowarsito


musiche:
Aghi Narottama, Bemby Gusti, Tony Merle


Trama
Alana, nata un'eruzione vulcanica e scampata alla morte dei genitori, viene adottata da un'allenatrice di kick-boxing che le insegna come gestire la propria rabbia. Per volontà del destino diventerà la reincarnazione di Dewi Asih, spirito del Bene e convoglierà le sue energie nella lotta contro il Male.