Dopo aver compiuto un'analisi socio-politica del supereroe con "Civil War", la Marvel Cinematic Universe torna alle atmosfere sgargianti e sopra le righe che da tempo contraddistinguono i suoi prodotti. Non che in realtà l'ultimo capitolo di Capitan America fosse considerabile come un film totalmente a parte rispetto al modello produttivo solitamente utilizzato dalla casa degli "Avengers", ma mentre in esso poteva essere trovato un livello di analisi che lo elevasse al di là del semplice film supereroistico, in questo nuovo "Spider-Man: Homecoming" l'intenzione è diversa, e ciò a ben vedere non è affatto un male.
In primo luogo, sembra che questa terza versione cinematografica del noto supereroe dai sensi di ragno sia intenzionata a mettere d'accordo una volta per tutte cinefili e fan del fumetto: se i film di Sam Raimi possono essere considerati tuttora la punta di diamante del genere supereoistico per quanto concerne la resa estetica e la qualità formale, essi avevano tuttavia fatto storcere il naso ai nerd più intransigenti, che non avevano accettato un distacco così netto dall'opera letteraria.
Al contrario le due pellicole di Marc Webb, pur prestando una maggiore attenzione alla filologia fumettistica, non soddisfacevano dal punto di vista della resa cinematografica, risultando essere prodotti quantomeno scadenti e dimenticabili.
Jon Watts invece, pur non avvicinandosi alla destrezza stilistica di Raimi, sa equilibrare questi due aspetti, presentando al pubblico un prodotto divertente e scanzonato, che conferma ancora una volta come la Marvel sia ormai diventata un punto di riferimento nella delineazione dei caratteri di questo (ormai non più troppo) nuovo genere cinematografico.
La prima mossa intelligente che l'opera di Watts compie è sbarazzarsi di tutta la parte riguardante la genesi dell'eroe: il morso del ragno, l'acquisizione del superpotere, la morte dello zio Ben e la presa di coscienza della propria responsabilità. Anziché cominciare dunque da zero una storia già nota, la scelta compiuta è quella di riagganciarsi alle precedenti pellicole Marvel: dopo lo scontro di "Civil War" cui aveva combattuto a fianco di Iron-Man, Peter Parker ritorna a essere l'amichevole Spider-Man di quartiere che tutti conoscono, mantenendo segreta la doppia identità e sperando con tutto se stesso in un possibile inserimento nel team degli Avengers, questa volta non come semplice aiuto, ma come membro effettivo della squadra.
Ma la seconda mossa vincente che Watts e il suo team compiono è quella di trasformare un prodotto supereroistico in un teen-movie a tutti gli effetti: l'uomo-ragno interpretato da Tom Holland (a differenza di quanto avevano fatto Tobey Maguire o Andrew Garfield) è un adolescente a tutti gli effetti, che vive in pieno i problemi dello studente. È un personaggio che si lancia all'interno delle sfide con il carisma, l'audacia e la follia di un adolescente, ancora alle prese con la scoperta del proprio corpo (il costume tecnologico di cui non conosce le varie funzioni è un'ottima metafora di ciò) e che non è capace di prendere sul serio il pericolo, pur sentendo la responsabilità e il dovere a cui la propria diversità l'ha condotto.
Ma soprattutto Spider-Man è qui un ragazzino che ha come unico desiderio quello di diventare grande, di dimostrare a tutti il proprio potenziale (dunque di essere riconosciuto come membro effettivo degli Avengers) e che deve invece essere condotto alla coscienza della propria dimensione, del proprio ruolo e delle proprie capacità, ancora da sviluppare appieno, ancora da maturare.
Dal punto di vista della resa attoriale tuttavia, si impone con irruenza il personaggio di Avvoltoio: ex-operaio desideroso di vendetta nei confronti dei ricchi che gli hanno tolto il lavoro; padre di famiglia che l'attuale crisi lavorativa ha reso un anarchico trafficante d'armi e bombarolo, ma che è poi un uomo come tutti, distante dal concetto di una malvagità naturale ed essenziale, che abbraccia il male perché non vede altre soluzioni per poter mantenere la sua famiglia. Michael Keaton sembra perfetto nel ruolo tanto da rischiare di togliere centralità al protagonista nelle sequenze in cui condividono la scena.
Da profano del fumetto, posso poi permettermi il vanto di tralasciare la poca verosimiglianza del personaggio di Mary Jane, qui lontanissima dall'affascinante liceale dalla rossa chioma: la scelta di sostituirla con una ragazzina mulatta, pungente, solitaria e massimamente cinica, che si rifiuta di onorare un monumento costruito grazie al lavoro degli schiavi, mi sembra invece molto positiva e capace di dare vigore a un personaggio finora piuttosto insignificante. C'è solo da sperare che gli spunti che offre possano essere approfonditi negli eventuali capitoli successivi che, a questo punto, aspettiamo con curiosità.
cast:
Tom Holland, Michael Keaton, Jon Favreau, Donald Glover, Tyne Daly, Marisa Tomei, Robert Downey Jr.
regia:
Jon Watts
distribuzione:
Warner Bros. Pictures
durata:
133'
produzione:
Columbia Pictures, Marvel Studios, Pascal Pictures
sceneggiatura:
Jonathan Goldstein, John Francis Daley, Jon Watts, Christopher Ford, Chris McKenna, Erik Sommers
fotografia:
Salvatore Totino
scenografie:
Oliver Scholl
montaggio:
Dan Lebental, Debbie Berman
costumi:
Louise Frogley
musiche:
Michael Giacchino