Giocare con il Cinema: è possibile? Tyler Gillett e Matt Bettinelli-Olpin - alla seconda regia dopo i quattro capitoli diretti da Wes Craven, scomparso nel 2015 - non solo vogliono onorare le tradizioni ma servirsene per immergersi (sprofondare?) in una serie di stereotipi riferiti ai canoni dell'horror. Non sfruttano trucchi, astuzie o finezze pseudointellettuali e sembrano consapevoli (dalla prima scena in cui, naturalmente, squilla un telefono) del rischio dell'eccesso - e della noia - di un film del (e di) genere. E allora, forse, la soluzione può essere il gioco, che si presenta sotto forma di un continuo rimando ad altre pellicole, a icone e classici. Senza, però, strafare, perché il pubblico di riferimento (quello dei teenager?) potrebbe non conoscere le regole. Il duo di registi si culla su una serie di certezze, mostrandosi (persino) conscio della situazione e della difficoltà di slegarsi dal passato facendo ricorso a elementi di discontinuità. E preferisce avere le spalle coperte(issime). Allora, che il gioco abbia inizio.
La prima mossa la fa il Cinema. Nei primi dieci minuti del film (in cui chiaramente c'è un omicidio, ma è difficile considerarlo uno spoiler) è chiaro come i registi vogliano prima (auto)ironizzare - citando "Scary Movie" - e poi omaggiare (nostalgicamente) "Vertigo" e "Psycho", le cui locandine sono affisse sulle pareti di casa di uno dei primi a indossare la maschera di Ghostface. Siamo - ovviamente - ben lontani da Hitchcock e da una messa in scena che si realizza con totale pienezza di risultati. Basti pensare al meccanismo affascinante che regola le passioni in "Notorious", quello altrettanto rigoroso che dispone dell'amore, della morte e della vita attorno a Roger Thornill in "Intrigo Internazionale"; alla struttura circolare di "Delitto per delitto", all'universo che regola i capovolgimenti in "Sospetto" o "Il ladro", al rigoroso gioco di ambiguità ne "L'ombra del dubbio". Tyler Gillett e Matt Bettinelli-Olpin sembrano essere affezionati a queste suggestioni, tanto da dire - proprio attraverso il primo assassino - che è necessario finire (nell'accezione di realizzare compiutamente, non di terminare) i film. E la risposta arriva prontamente da Roger Jackson: "Who gives a fuck about movies?". È un gioco, appunto.
Sulla stessa scia (di sangue, sì, ma alquanto posticcio) si prosegue, focalizzandosi sulle due sorelle Sam e Tara Carpenter - Melissa Barrera e Jenna Ortega - che, dopo essere sopravvissute agli omicidi di Woodsboro (dove Wes Craven ha ambientato i precedenti capitoli), provano a ricostruire le loro vite. La prima è ossessionata dal ritorno di Ghostface, vive nella paura e viene vista da tutti come un'assassina che l'ha fatta franca, la seconda è più propensa a dimenticare. Entrambe condividono la casa con la figlia del detective della città (quale altra compagna potrebbe essere più rassicurante?) e mantengono il gruppo degli inseparabili quattro amici, pronti ad affrontare qualsiasi minaccia. Ed ecco che - come è stato per Hitchcock - fa irruzione un'altra citazione, questa volta a Dario Argento. È quasi come se fosse un meccanismo compensativo: per ogni elemento "nuovo" se ne innesta uno nostalgico, così da mantenere equilibrio. Ed è così che, allora, risulta necessario fare una carrellata di altri nomi, "chiamando" Richard Franklin e "Psycho II", "Candyman", "Venerdì 13", "The Rocky Horror Picture Show". Verrebbe da chiedersi come reggerebbe il film se fossero eliminate queste immagini, ma è anche vero che il duo alla regia mette da subito le mani avanti, abbandonando l'intento di svelare metodi alternativi per gestire il peso dei ventisette anni della saga. Non mostrano neppure lo sforzo di mettere un po' di crudeltà (direbbe Artaud) né la volontà di dare una forma diversa al racconto.
La consacrazione ufficiale avviene, poi, quando i personaggi vengono portati in un vecchio cinema (più precisamente un tempio) in cui c'è tutto di questa "maledetta saga", utilizzando le parole precise con cui viene definita. Tutto quello che conosciamo, che ormai non aggiunge nulla (perché si parla di aggiungere novità, certamente non di spaventare); che si nasconde dietro una palese strategia di sopravvivenza, che omaggia per paura di non sapere dire - o urlare - altro. La svolta è la location? È probabile, ma non sufficiente. "Non è brutto essere personaggi storici", dice - proprio - uno di loro. E forse no, non lo è, ma cosa resta se non si aggiungono altri tasselli alla Storia?
È vera poi anche un'altra (ultima?) cosa, e ce la suggerisce lo stesso Craven. "Gli horror parlano sempre della realtà delle cose. Sia che queste accadano soltanto nella mente delle persone, sia al di fuori. Sono una loro distillazione: sebbene più piccole e astratte riguardano fortemente il nostro mondo. Sono solo un'altra maniera per parlarne. […] L'horror è la realtà ridotta ad un livello più piccolo. […] È un genere che ha successo, perché è uno specchio delle nostre vite in maniera differente", ha raccontato in un'intervista. Se la realtà di oggi (che è senz'altro diversa a quella di ventisette anni fa, ma anche soltanto di dieci) è quella della Generazione Z, è intuitivo come possa essere più attratta da Jenna Ortega (la nuova Mercoledì) più che spaventarsi dalla solita telefonata, a cui forse non si risponderebbe neppure.
cast:
Gale Weathers, Melissa Barrera, Jenna Ortega, Hayden Panettiere
regia:
Tyler Gillett, Matt Bettinelli-Olpin
titolo originale:
Scream VI
distribuzione:
Eagle Pictures, Paramount Pictures
durata:
123'
produzione:
James Vanderbilt, Paul Neinstein, William Sherak
sceneggiatura:
James Vanderbilt, Guy Busick
fotografia:
Brett Jutkiewicz
scenografie:
Michele Laliberte
montaggio:
Jay Prychidny
costumi:
Avery Plewes
musiche:
Brian Tyler, Sven Faulconer