Il mondo del cinema ha cominciato a raccontare molto presto la storia di Robin da Locksley, personaggio nato dal folklore inglese medievale e protagonista amato della letteratura moderna anche grazie al contributo di romanzieri importanti come Walter Scott e Dumas padre. Il bandito incappucciato che rubava ai ricchi per donare ai poveri (almeno secondo la versione più popolare della storia) dagli anni del muto a oggi è apparso sugli schermi come giovane spavaldo in calzamaglia ma anche come maturo ex crociato amareggiato e deluso dalla guerra, a seconda dei casi, col volto di Douglas Fairbanks, Errol Flynn, Sean Connery, Kevin Costner, Russell Crowe, giusto per citare i più noti, senza dimenticare la versione Disney anni settanta che se lo immaginava come un furbastro dalle sembianze di una volpe antropomorfizzata. La nuova versione, realizzata dall'americana Summit (con la star Leonardo Di Caprio a figurare come produttore esecutivo), arriva a neanche dieci anni di distanza da quella di
Ridley Scott, e dal titolo italiano, "Robin Hood - L'origine della leggenda", si capisce che le premesse sono quelle di un racconto che presenta la genesi dell'eroe leggendario. Ora, a parte il fatto che più o meno tutte le versione cinematografiche (o televisive) della storia ci spiegano grosso modo come e perché Robin Hood è diventato un fuorilegge, vera e propria nemesi delle autorità, rappresentate dallo sceriffo di Nottingham, fa strano considerare racconto delle origini un'opera che si presenta in maniera decisamente anacronistica.
Otto Bathurst, regista britannico, dall'ottimo curriculum televisivo (ha lavorato a serie amate come "Black Mirror", "Peaky Binders" e "Criminal Justice"), esordisce nel lungometraggio cinematografico e sicuramente la possibilità di raccontare (nuovamente) una figura così popolare deve essergli sembrato un ottimo biglietto da visita. Sfortunatamente le prime reazioni della critica sono state pessime e solo fra qualche tempo sapremo se il pubblico sarà stato di diverso avviso. In un medioevo ben poco filologico (ammesso che dal cinema di intrattenimento ci si debba aspettare per forza questo) in cui le sommosse popolari ricordano i moti sessantottini, le crociate fanno pensare alle guerre in Medio Oriente odierne, le miniere sembrano uscite da un film di ambientazione postapocalittica e le cattedrali di cemento armato celebrano l'architettura anni venti di August Perret, si racconta di Robin (Taron Egerton, già "
Kingsman" e prossimo Elton John cinematografico), giovane aristocratico costretto a lasciare l'amata Maid Marian (Eve Hewson, nella vita figlia del leader degli U2 Bono) per andare alla guerra. Al suo ritorno scopre che le sue terre sono state confiscate dallo sceriffo (Ben Mendelsohn, che da "
Animal Kingdom" al televisivo "Bloodline" è diventato un esperto in personaggi oscuri e respingenti) e Marian, avendolo creduto morto, si è riaccompagnata a Will Scarlett (Jamie Dornan che in effetti quando non recita nelle "
50 sfumature" sembra un attore decisamente migliore). Con l'aiuto di Little John (il cui vero nome qui è Jamal ed è interpretato da Jamie Foxx), arrivato con Robin dalla Terra Santa col dente comprensibilmente avvelenato con gli inglesi che gli hanno ucciso il figlio (il colour blindness nei casting anche al cinema sta diventando una convenzione abbastanza diffusa, ma va ricordato che il Robin anni novanta, interpretato da Kevin Costner, aveva già come spalla, sebbene in un altro personaggio, Morgan Freeman), il protagonista vuole la sua rivalsa e indossando un cappuccio alla Green Arrow (anche se in realtà proprio il supereroe DC si era ispirato a Robin Hood) comincia a derubare le casse dello sceriffo, che è il vero ladro, in combutta con la chiesa corrotta (in questa versione non si parla né di Giovanni Senza Terra, né di Riccardo Cuor di Leone e la foresta di Sherwood arriva solo alla fine). Al tempo stesso però il protagonista cerca per ingraziarsi lo sceriffo si finge un nobile che ambisce alle alte sfere, suggerendo una sorta di parallelismo con Batman/Bruce Wayne o Zorro/Don Diego de la Vega.
Va detto che tutto sa, per forza di cose, di risaputo e neanche la presenza del micidiale Guy di Gisborne (Paul Anderson, pure lui in "Peaky Binders") aggiunge più di tanto, anche perché nonostante sequenze d'azione che sembrano uscite da un videogioco di ultima generazione o, se preferite, da un film di Guy Ritchie, il ritmo è un po' fiacco e per quanto il finale aperto, con una sorpresa un po' da lato oscuro della forza, sembri preludere ad un sequel, non si esce dalla sala propriamente con una gran voglia di vederlo. Gli attori comunque sono simpatici e nella parte (per quanto anche in questo contesto in passato sia stato fatto di meglio), e Bathurst ci confeziona un film dalle atmosfere iperrealiste in cui è facile riscontrare la lezione del già citato Ridley Scott, anzi alla fine questo nuovo "Robin Hood" è pure più ridleyscottiano di
quello del regista di "
Blade Runner". Magari sarebbe il caso di vederlo un domani alle prese con un soggetto e una sceneggiatura più interessanti.
23/11/2018