"Hai fatto delle brutte cose, Tesoro!" così la matriarca Janine Cody, detta Smurf (ovvero "Puffa", in questo caso la regola nomen omen non vale), cerca di persuadere un pericoloso boss locale ad aiutarla a togliere di mezzo il nipote Josh, temendo che ormai sia diventato una scheggia impazzita. Quasi sessantenne, caratterizzata da modi insistentemente melliflui, da un abbigliamento francamente un po' azzardato e dalla tendenza ad esagerare con l'eyeliner, Smurf è il personaggio che forse rivoluzionerà l'idea di nonna al cinema. Affettuosa (pure troppo) nei confronti dei propri "cuccioli" ma anche micidiale e risoluta quando il bisogno chiama, interpretata dall'ottima Jackie Weaver senza quegli istrionismi spinti che sarebbe facile aspettarsi da un simile ruolo. Per questa acclamata performance molti hanno già pronosticato la nomination all'Oscar nella categoria attrice non protagonista; riconoscimento, a mio parere, che sarebbe per tutti scontato ci trovassimo di fronte ad un'interprete appena più conosciuta. La sua novella Ma Baker non è però l'unica cosa in positivo che colpisce di "Animal Kingdom", il dramma noir proveniente dall'Australia che ha trionfato al Sundance lo scorso inverno (dove si è aggiudicato il premio nella categoria riservata ai film stranieri) e adesso è nelle nostre sale (dopo essere stato ben accolto anche al Festival di Roma). Scritto e diretto da David Michôd, qui all'esordio nel lungometraggio dopo alcuni apprezzati corti, "Animal Kingdom" è un interessante esempio di gangster story, poiché coniuga ambizioni da tragedia elisabettiana con uno sguardo quasi da documentario sulla natura. Gli estimatori del film (l'accoglienza della critica è stata molto positiva sia in patria sia all'estero) hanno scomodato nomi come Martin Scorsese o Michael Mann e titoli come "Il Padrino"; accostamenti che sicuramente hanno fatto onore al film e riempito di soddisfazione l'emergente regista ma che forse rischiano di dare un'idea sbagliata della pellicola. Se "Animal Kingdom" ha un pregio è sicuramente quello di non essere una mera copia di modelli peraltro altissimi. Sarà l'ambientazione tutto sommato inedita nel microcosmo della piccola criminalità australiana (a quella americana o europea siamo già più abituati) o un approccio anticonvenzionale alla materia (poche sparatorie, quasi nessun inseguimento di auto) ma Michôd sembra davvero avere qualche idea su come raccontare storie in modo originale, soprattutto ha il pregio di saper conservare la tensione della storia pur senza esagerare coi soprassalti o con eccessive sottolineature.
Il regno animale del titolo è quello della famiglia Cody, lestofanti non di altissima levatura (eppur pericolosissimi) che si occupano di traffico di stupefacenti. In questo "ambientino" niente male viene catapultato il giovane Joshua che ha perso la mamma in seguito ad un overdose e quindi, essendo minorenne, va a stare con la nonna materna e i tre zietti, che in effetti non aveva quasi mai visto prima (la madre si era allontanata anni prima dai parenti). Alla perenne ricerca di una guida, Joshua, che ha il volto inizialmente imbambolato e poi a poco a poco sempre più risoluto del debuttante James Frecheville (al quale non è difficile pronosticare una futura carriera), si riunisce ai suoi congiunti in un momento che non potrebbe essere più inopportuno. Infatti nonna Smurf e i figli Craig (uno schizzato e tatuatissimo Sullivan Stapleton, quasi un nuovo Russell Crowe), Darren (un introverso e vessato Luke Ford) e Pope (un temibile e serpentesco Ben Mendelsohn) si trovano ad una grave impasse dopo che l'amico nonché complice Barry (l'eccellente Joel Edgerton), vero e proprio punto di riferimento per i compari, viene fatto fuori dalla polizia in una sorta di raid punitivo per avere tentato di agevolare la latitanza del ricercato Pope. La rappresaglia non si farà attendere e per il giovane Cody le acque non saranno più molto tranquille. Tanto più che la fidanzatina Nicole (Laura Wheelwright, pure lei esordiente) mostra un rischioso interesse verso gli affari sporchi di famiglia, mentre un integerrimo poliziotto (Guy Pierce in versione baffuta) è deciso a servirsi di Joshua come mezzo per chiudere definitivamente la partita coi Cody, i quali a loro volta tirano fuori il più machiavellico istinto di conservazione. Tutti però sottovalutano le capacità di adattamento del "cucciolo"...
La sensibilità quasi etologica del regista gli permette di descrivere bene gli aspetti più animaleschi dei suoi personaggi (il giovane Joshua se la cava nelle più svariate situazioni confidando nel suo istinto, la nonna Smurf accudisce la sua nidiata quasi come farebbe una leonessa) e se la caccia ai parallelismi col mondo animale può essere uno spunto interessante per capire il film, per quanto alla fine un po' riduttivo, sicuramente è notevole il ritratto di banalità del male che emerge dalle vite di questi criminali, di bassa lega eppure capaci di commettere i delitti peggiori (anche a danno di innocenti) e di arrivare molto in alto con le loro macchinazioni, senza perdere mai la tragica consapevolezza di avere i giorni contati. Coi suoi bravissimi attori (ai già citati vorrei aggiungere il cameo di Anna Lise Phillips nei panni di un'avvocatessa corrotta, vero e proprio squalo, continuando con le metafore zoologiche), la fotografia sapiente di Adam Arkapaw e la musica importante di Anthony Partos (che in un momento fondamentale del film si serve anche della hit anni ottanta "All Out Of Love" del duo australiano Air Supply, brano in effetti molto spesso usato dal cinema anche se probabilmente mai così bene) "Animal Kingdom" è uno dei migliori esordi dell'anno e quindi speriamo di avere presto notizie dall'Australia e dal signor Michôd.
cast:
Ben Mendelsohn, Joel Edgerton, Guy Pearce, Luke Ford, Jacki Weaver, Sullivan Stapleton, James Frecheville
regia:
David Michôd
titolo originale:
Animal Kingdom
distribuzione:
Mikado
durata:
112'
produzione:
Porchlight Films
sceneggiatura:
David Michôd
fotografia:
Adam Arkapaw
scenografie:
Josephine Ford
montaggio:
Luke Doolan
costumi:
Cappi Ireland
musiche:
Antony Partos