A distanza di cinque anni dal suo ultimo film - "
Il venditore di medicine" - Antonio Morabito, in qualche modo, crea una continuazione dei temi in "Rimetti a noi i nostri debiti", primo film italiano di Netflix, riuscendo a rielaborarli e a compiere un'evoluzione stilistica della forma cinematografica.
Guido appare come l'involuzione di Bruno, il venditore di medicine, e la nuova pellicola sembra iniziare dove finisce la precedente: quando nell'ultima inquadratura quest'ultimo sale delle scale buie dopo aver perso la moglie, il figlio che lei aspettava e l'ultimo contratto. E, in effetti, Guido in "Rimetti a noi i nostri debiti" viene licenziato da un lavoro miserabile di magazziniere sottopagato e umiliato; scopriamo che è un ex informatico che ha perso tutto dopo il fallimento dell'azienda, senza moglie, né figli e parenti stretti e pieno di debiti. Completamente solo, se non per l'amicizia di un vecchio professore in pensione vedovo, suo vicino di casa. Claudio Santamaria, dopo Bruno, interpreta Guido in modo molto convincente nel nuovo film di Antonio Morabito, un uomo sconfitto dalla vita, alla deriva, in una società senza speranza per i più poveri.
Proprio per saldare il debito con la finanziaria, che possiede la sua pratica, si mette a disposizione per lavorare al recupero crediti affiancato da Franco (Marco Giallini, sempre più a suo agio nei ruoli drammatici) esperto e spietato. In un dialogo tra i due personaggi scopriamo che Franco sette anni prima si trovava nella stessa situazione di Guido, ma invece di fare "un lavoro del cazzo" svolge "un cazzo di lavoro", come egli stesso sentenzia, che gli permette di vivere nell'agiatezza, in una bella casa, un'auto lussuosa e una famiglia felice con moglie straniera e due figli maschi, sfruttando le disgrazie altrui.
L'incipit di "Rimetti a noi i nostri debiti" è allo stesso tempo fulminante ed esplicito della metafora che impregna il film di Morabito. Sui titoli di testa, vediamo Franco correre all'alba lungo i sentieri di un cimitero, in mezzo alle tombe, per poi salutare la moglie, accompagnare i figli a una scuola privata cattolica e recarsi in banca per "acquistare" i debiti insoluti, da una solerte funzionaria in un locale buio e stretto. Film di un pessimismo quasi nichilista dove, come afferma Franco, non ci sono "persone ma solo debitori" e urla a Guido, in una delle scene finali, "che siamo tutti morti, perché tutti debitori".
Guido impara ben presto il "mestiere" che consta nel perseguitare i debitori in pubblico, indossando delle finte toghe con la scritta sulle spalle "recupero crediti": una tragica farsa della giustizia terrena, in una società dove ciò che conta è quanto sei solvibile, quanto denaro possiedi e ne puoi spendere. Morabito spinge in là il concetto del sociologo Zygmunt Bauman e della sua società liquida (se non liquefatta), dove l'economia è divenuta l'unico punto fermo, in una perdita dei suoi valori morali ed etici. Se Bauman teorizza che il cittadino è tale in quanto consumatore e chi non consuma è un reietto, un escluso dalla società, Morabito va, appunto, oltre: le persone in quanto debitori non sono nemmeno più vive, ma corpi morti da cui spremere tutto quello che resta economicamente. Tutto ha un prezzo e un costo: sia il tempo, quello di Guido, sia i ricordi di una vita felice, come quella di una coppia indebitata che non ha più nulla, sia la vita stessa, come quella di un debitore che si suicida davanti ai due esattori gettandosi nella tromba delle scale.
Guido alla fine riesce a estinguere il proprio debito e diventa bravo nel suo lavoro (arrivando anche a usare la violenza fisica) prendendoci gusto quando si tratta di perseguire imprenditori o ricchi borghesi che in qualche modo il denaro lo hanno e possono pagare. Ma il lato oscuro dell'attività che porta al
redde rationem i due protagonisti avviene nella seconda parte del film, quando Guido non riesce a sopportare di entrare nelle case dei poveri - non più consumatori, ma disoccupati debitori - che non hanno nulla se non micragnose pensioni o denaro appena sufficiente per mangiare. E qui Franco arriva ad accettare anche pochi spiccioli per poi strappare la pratica del debito, non prima di averli umiliati senza nessuna pietà nella loro intimità.
Antonio Morabito sceglie poi un verso della preghiera del Padre Nostro, il "rimetti a noi i nostri debito, come noi li rimettiamo ai nostri debitori", che Franco recita ogni giorno come penitenza dopo essersi confessato - però non parlando mai del suo lavoro - nella rappresentazione sincretica dell'impossibilità di estinguere un debito per una comunità rabbiosa, isolata, dove ogni limite è svanito. Mentre Guido, al contrario, si confessa veramente a Rina (Flonja Kodheli), una giovane donna immigrata che lavora nel bar in cui lui si rifugia, dicendole la verità, e di cui l'uomo crede di provare un sentimento nascente. Morabito inquadra dall'esterno i due personaggi seduti a un tavolino, mentre Rina ascolta schifata la confessione laica di Guido: non gli concede il perdono e, stanca dall'aria che si respira in una comunità infelice, lo abbandona al suo destino, ritornando al suo paese d'origine.
Antonio Morabito stilisticamente compie una scelta diversa da "Il venditore di medicine". La fotografia di Duccio Cimatti è giocata su una luce tenue e pastosa, con l'uso di illuminazioni artificiali; la scenografia è fatta di interni spogli che ricordano i quadri di Edward Hopper, in particolare gli interni del bar dove Guido si rifugia a ubriacarsi; o da esterni notturni, illuminati con fasci di luce che tagliano orizzontalmente il quadro, oppure diurni con un cielo plumbeo, grigio, smorto. Anche la colonna sonora di Andrea Guerra utilizza musica sacra, così da fornire un tessuto sonoro che copra la forma funerea della messa in scena. Morabito, oltretutto, alterna campi medi in esterno e totali e pochi, significativi, primi piani negli interni, con movimenti della macchina da presa limitati e controllati, legando il tutto con un montaggio narrativo senza alcun vezzo.
Scritto insieme ad Amedeo Pagani, è nell'ultima inquadratura di Franco, che recita il Padre Nostro in chiesa, dopo la quotidiana penitenza, che si racchiude il senso intimo di "Rimetti a noi i nostri debiti": un film che racconta di una società senza scampo, un requiem dove i vivi sono solo un ricordo in fondo a un bicchiere di whisky o dietro una formula recitata a memoria di cui si è perduto il vero significato - quello del perdono e della pietà umana - perduto per sempre.