Negli anni Dieci di questo secolo, all’interno del colosso dell’animazione Disney-Pixar, mentre la Pixar si è avvicinata spesso alle logiche della Disney allentando la sua spinta rivoluzionaria, la Disney ha tentato di progredire in varie direzioni, una delle quali è l’evoluzione dell’eroina femminile, trasformata (da principessa delle fiabe in cerca di un principe azzurro) in ragazza forte, indipendente, intraprendente ed emancipata. La protagonista Raya conferma il trend, coniugandolo a una dimensione fantasy debitrice dello scontro cosmico fra bene e male, recentemente assunta dai superhero movie. “Raya e l’ultimo drago” inscena uno scontro a tutto campo con le forze del male incarnate dai Druun, che trasformano in pietra tutto ciò che attraversano. Il potere dei Druun, a inizio film, viene scatenato dall’avidità degli uomini: quattro regni si scatenano contro il regno centrale, governato dal padre di Raya. Anziché perseguire la pacifica armonia desiderata da quest’ultimo, gli altri sovrani sono abbagliati dalla gemma detenuta dal regno centrale: nella contesa, la gemma finisce in frammenti e ridesta i Druun, che trasformano in pietra anche il padre di Raya, e devastano il mondo. Le sorti future di Kumandra, il mondo immaginario dove si svolge la vicenda, sono così affidate al coraggio della giovane protagonista: la sua missione sarà quella di rimettere insieme i pezzi della gemma, dispersi nei cinque regni, per sconfiggere la maledizione e riportare pace e armonia sulla terra.
59° classico d’animazione Disney, “Raya e l’ultimo drago” sul piano formale non presenta particolari elementi di spicco rispetto alle ultime produzioni Disney, mentre lo sviluppo narrativo non è esente da alcuni difetti (l’adagiarsi su meccanismi risaputi, l’eccessiva rapidità di alcuni snodi, personaggi secondari stereotipati o abbozzati). Sul piano allegorico e simbolico, però, sono diversi e interessanti gli spunti di riflessione.
Il processo di pietrificazione e il successivo ritorno alla vita degli eroi (fra i quali i protagonisti stessi) corrisponde alla tappa della Resurrezione del Viaggio dell’eroe di Christopher Vogler [1]. Si tratta di un archetipo narrativo classico, che nel cinema popolare degli ultimi anni ha visto però un particolare sviluppo, giungendo all’estremo del ritorno in vita di metà della popolazione mondiale in “Avengers: Endgame” (2019). La frequenza con cui si ripresenta l’archetipo della Resurrezione nel cinema degli ultimi anni, sotto la specie di una vera e propria seconda nascita, è tale da far pensare che corrisponda, a livello di inconscio collettivo, alla paura della fine (paura americana, forse occidentale), coniugata alla fede nei valori della civiltà occidentale, che si pensa (si spera) non possano tramontare, e se sconfitti, non possano che risorgere.
Il cinema statunitense non è indifferente alla crescita vertiginosa del gigantesco mercato cinese, da ben prima degli sconvolgimenti generatisi dal 2020 con la pandemia (il settore cinematografico, che in Occidente sta attraversando una crisi nera, in Oriente gode di ottima salute). Le misure di adeguamento tentate dall’industria americana nel guardare alla Cina operano a tutti i livelli, nel cinema indipendente (Lulu Wang) e in quello mainstream. Basti pensare proprio a una delle più recenti produzioni della Disney, ormai egemone fra le major di Hollywood: “Mulan” (2020), remake live action del film di animazione del 1998, che assimila in una produzione statunitense la tradizione wuxia.
Affidato alla scrittura di due autori di origine rispettivamente vietnamita (Qui Nguyen) e malese (Adele Lim, origini malesi ma appartenente alla minoranza cinese, di etnia han), “Raya e l'ultimo drago”, sia pur ambientato in una dimensione fantasy, non richiama la Cina ma il sud-est asiatico (fra cui, appunto, Vietnam e Malesia). E tuttavia, quello portato in scena nel film è un coacervo di elementi espunti da tradizioni lontane fra loro (oltre a Vietnam e Malesia, Filippine e altre culture della penisola indocinese), con il risultato che nessuna di esse si vede veramente rappresentata o identificata in uno dei regni di Kumandra. E d’altra parte, i rimandi sono spesso superficiali e di facciata (un po’ come se per l’Italia si prendessero pizza e mandolino). Il film non è per loro, almeno non solo; e sembra difatti che, Cina a parte, i paesi che circondano il Mar cinese meridionale – lo specchio d’acqua compreso fra Cina, Vietnam, Malesia, Filippine e Taiwan – siano rimasti piuttosto freddi di fronte all’idea di questo film.
Anche se ai nostri occhi (e a quelli americani) può passare inosservato, la protagonista Raya proviene da un regno che si chiama “Cuore”, di un mondo diviso in cinque regioni, che circondano uno specchio d’acqua che ha la sagoma di un drago. Lo si osserva più volte su di una mappa, nel corso del film. Le altre quattro regioni di questo mondo (Coda, Artiglio, Dorso e Zanna) circondano il Cuore.
A questo punto, non vale soltanto ricordare che il drago è elemento centralissimo del folklore cinese e con “Dragone” ci si riferisce solitamente alla Cina stessa, ma soprattutto che Cina (in cinese Zhōngguó, 中国) significa letteralmente Regno di mezzo. Il Cuore di Raya, che si occupa di riportare pace e prosperità nel mondo, metaforicamente è la Cina. Il ruolo di ristabilire l’ordine nel mondo, assicurando al contempo pace e prosperità a tutti, è quello che la Cina sente proprio, in linea con il dichiarato obiettivo politico del presidente Xi Jinping, che ha fissato per il 2049 (centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese) la data per la quale la Cina si attende di diventare potenza egemone sul piano globale, finalmente in quella posizione che il Regno di mezzo sente da sempre come propria [2].
La lettura allegorica in chiave geopolitica di “Raya e l’ultimo drago”, a un primo livello, si collega alle dispute sul Mar cinese meridionale (che hanno già avuto un risvolto proprio nel cinema di animazione, a causa di una mappa che compariva nel film di produzione sino-americana “Il Piccolo Yeti” (2019) [3]. A un livello più ampio, il sogno di un unico mondo riunito sotto la pacifica egida cinese corrisponde pienamente al concetto di unità fra “tutto ciò che è sotto il cielo”, Tianxia (天下), concetto che in concreto innerva le spregiudicate iniziative economiche della Nuova Via della Seta, la Belt and Road Initiative portata avanti dalla Cina non senza ovvi attriti in tutto il mondo, a partire proprio dagli Usa.
Quale che sia la Storia futura, se veramente il XXI secolo sarà destinato ad essere il Secolo cinese (come il XX secolo è stato il Secolo americano), l’industria cinematografica del gigante asiatico è in fermento, e sta bruciando le tappe anche nel campo dell’animazione. Clamorosi successi di pubblico sono stati nel 2019 “Ne Zha” e il suo sequel del 2020 “Jiang Ziya” (“Legend of Deification”). Guardandoli, pare evidente il gap nella computer grafica rispetto all’industria americana, ma non manca moltissimo a colmarlo.
Se “Mulan”, sul mercato cinese, si è rivelato un insuccesso (per colpa di ingenuità di marketing sul piano politico), è presto per sapere quali saranno le sorti di “Raya” in Cina. Si tratta in ogni caso di tasselli di una storia tutta da scrivere. Per adesso, ci limitiamo a considerare che il dialogo culturale [4] è il miglior modo per gestire un potenziale conflitto evitando che diventi scontro aperto. Ma alla luce dei contenuti impliciti di “Raya”, osserviamo anche che, se gli USA si stanno evidentemente aprendo al dialogo, il prevalere degli interessi commerciali in casa Disney mostra qualche ingenuità sotto il profilo dei simboli a cui fa ricorso. Con il risultato che la Disney sembra sottovalutare, paradossalmente, proprio il potere mitopoietico del cinema di animazione, che lei stessa per prima ha contribuito a edificare.
[1] Sviluppo di un manuale di sceneggiatura scritto da uno story analyst (che è stato anche consulente della Disney), basato su L'eroe dai mille volti di Joseph Campbell.
[2] Cfr. Giada Messetti, Nella testa del Dragone, Mondadori, 2020.
[3] La mappa, che inglobava tutto il Mar cinese meridionale entro i confini cinesi, aprì un caso diplomatico.
[4] Rimandiamo, a riguardo, al brillante lavoro di Rudi Capra, I flauti del cielo. Quattro divagazioni sul tema della filosofia comparata, Mimesis, 2021.
regia:
Carlos López Estrada, Don Hall
titolo originale:
Raya and the Last Dragon
distribuzione:
Disney+
durata:
107'
produzione:
Walt Disney Animation Studios, Walt Disney Pictures
sceneggiatura:
Qui Nguyen, Adele Lim
scenografie:
Paul Felix, Mingjue Helen Chen, Cory Loftis
montaggio:
Fabienne Rawley, Shannon Stein
musiche:
James Newton Howard