Protagonista di “Il piccolo Yeti”, nuovo film Dreamworks coprodotto con la cinese Pearl Studio, è Yi, un’adolescente cinese che trova, sul tetto del proprio palazzo (in una città costiera che ricorda Shanghai), una creatura sconosciuta, scappata a un laboratorio dove era tenuta segregata. È un cucciolo di Yeti, l’“abominevole” uomo delle nevi (“Abominable” è il titolo originale del film). Ovviamente non ha niente di abominevole: è dolcissimo e buono, gigantesco e pacioccoso come Totoro. Più che in oriente, il film ha un modello tutto americano: “E.T. L’extra-terrestre”, di cui costituisce quasi un aggiornamento semplificato ed edulcorato, ad uso e consumo dei più piccoli. L’accumulo di citazioni dal film di Spielberg è tale da sfiorare il calco. Yi trova il piccolo yeti sul tetto del palazzo, analogamente a Elliott che scova E.T. nella rimessa del giardino; in entrambi i casi si tratta di un cucciolo; per invitarlo a uscire, Yi gli mette in fila pezzi di cibo (ravioli cinesi) come faceva Elliott con delle caramelle. Esattamente come Elliott, Yi organizza una fuga per salvare la creatura dagli adulti che la vogliono per loro, insieme ad un gruppo eterogeneo di amici. Everest (questo il nome dato al cucciolone) vuole tornare a casa proprio come E.T.: l’obiettivo di riportarlo sull’Himalaya dai suoi genitori è il fulcro del film, e esattamente come in “E.T.” i ragazzi affrontano un percorso che li vede contrastare le istituzioni, ree di calpestare i legami affettivi, e lo fanno di nascosto dalle proprie famiglie, perché, come si sa, gli adulti tendono a non fidarsi degli estranei. Inoltre, proprio come E.T., Everest sa fare magie speciali, che cominciano a manifestarsi in modo identico, a partire da un vaso di fiori.
Al netto di un percorso uguale, ne “Il piccolo Yeti” rispetto al film di Spielberg c’è molto più umorismo, elemento che oggi viene percepito come imprescindibile (forse più del necessario) in un film destinato ai bambini. C’è invece meno lirismo, cui viene preferito un più immediato e magniloquente sense of wonder. “Abominable” in sostanza rimane legato al senso di fondo del modello spielberghiano senza rischiare nulla. Il plot è ben calibrato, godibile, ma predilige il côté avventuroso. Tutto farebbe immaginare che Everest abbia nostalgia di casa, ma mancano momenti di autentica malinconia a supportarla. Il pre-finale del film sceglie di spingere sul pedale dell’emozione liberatoria, con la visualizzazione esplicita della ricongiunzione familiare dello yeti. L’apparato visivo irreprensibile ricalca la grafica della Dreamworks (i tratti somatici dei protagonisti somigliano a quelli di “Dragon Trainer”). Il senso di fondo si attesta su temi collaudatissimi: l’importanza dei legami familiari e l’invito a non aver paura del diverso ma anzi prendersene cura.
Il più vistoso limite che si può imputare al film è la predominanza che assumono, fino a diventare eccessive, le capacità magiche di Everest. Il cucciolo, infatti, man mano che l’azione si avvicina all’Himalaya, manifesta poteri illimitati, che fungono da elemento risolutore di ogni ostacolo. Sono poteri ovviamente dalla grande presa visiva, capaci di avvincere lo sguardo, soprattutto dei più piccoli cui il film è destinato. Da una prospettiva adulta, però, il film paga dazio a questa scelta di rappresentare la meraviglia quasi esclusivamente attraverso la capacità di Everest di plasmare l’ambiente naturale (sa far rifiorire e ingigantire le piante e addirittura trasformare una pianura in una distesa marina, fino a volare su nuvole dalle sembianze di delfini). “Quasi esclusivamente” perché un asso nella manica il film se lo riserva quando decide di affidare anche a Yi un potere speciale, donatole da Everest: quello di far magie con il suo violino. Ecco l'elemento di pregio del film: l’importanza affidata alla musica, il valore del violino che lega Yi alla memoria del padre (le tappe del viaggio verso l’Himalaya sono scelte da Everest per far sì che Yi possa visitare i luoghi della Cina che aveva sognato di raggiungere col padre). Meritevole la stessa scelta del violino, strumento poco familiare ai bambini, che inietta nel film la dose minima indispensabile di lirismo.
Quanto alla componente femminile, è senz’altro un motivo di interesse, che però non costituisce chissà quale novità: più che rubata a Miyazaki, la scelta di un’eroina adolescente forte e determinata è ormai da tempo appannaggio delle produzioni statunitensi, in particolare a casa Disney.
regia:
Todd Wilderman, Jill Culton
titolo originale:
Abominable
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
97'
produzione:
Dreamworks Animation, Pearl Studio
montaggio:
Susan Fitzer
musiche:
Rupert Gregson-Williams