Per insindacabile volontà dei distributori italiani la suggestiva passeggiata cimiteriale di Liam Neeson (in originale "A Walk Among The Tombstones") - forse temendo che un richiamo sepolcrale suonasse troppo sinistro o deprimente in questi tempi di forzato ottimismo - è stata intitolata alla preda perfetta. Cambiamento in fondo discutibile, che marginalizza l'ipotesi dell'affresco sociale e devia l'attenzione dal contesto noir di un'umanità umiliata, in cui crearsi isole di cupa solitudine sembra essere l'unico modo per non affogare nel marciume, al generico gusto thrilling di un film che si suppone, a torto, arreso alla più blanda e inconsistente suspense.
Vale, dunque, la pena di chiedersi - problema degno di un giallo alla Agatha Christie - chi sia questa preda perfetta. La risposta è, di per sé, ovvia: quella che non può difendersi o meglio, nel contesto filmico, quella che non può ricorrere all'aiuto della polizia. Che, poi, essa venga a identificarsi con un gruppo di trafficanti di droga appare quantomai bizzarro, soprattutto dopo che film quali "El Sicario - Room 164" di Rosi ci hanno restituito la feroce realtà del narcotraffico nelle sue più disumane declinazioni, mentre Ridley Scott ce ne svelava la predilezione per rivalse quanto più possibile crudeli nel recente "The Counselor".
In questo, comunque, si può leggere un comodo riflesso della psiche perversa dei criminali - e saremmo tentati di aggiungere "quali?", i criminali borghesi, eleganti, ragionevoli e bene educati, che ingaggiano l'ex-poliziotto Neeson per coronare la smania di vendetta contro chi ha rapito, torturato e ucciso le rispettive consorti o quelli temibili e spietati che li ricattano, agghiaccianti nella loro disarmante quotidianità?
Come nella miglior tradizione del noir, il regista Scott Frank - già sceneggiatore di "Out Of Sight" e "Minority Report" - bandisce l'innocenza dalla sua New York di fine millennio e disegna un panorama marcescente, in cui il sentore di un'imminente catastrofe aleggia tra uomini al culmine della disperazione e ormai rassegnati a dissolversi tra le ombre.
E proprio dalle ombre sembra emergere (solo per ritornarvi) il Matt Scudder di Liam Neeson, figura letteraria, nata dalla penna di Lawrence Block, ma a cui l'attore irlandese dona la giusta disillusione nello sguardo, talmente misurato da risultare, infine, penetrante, il giusto passato tormentato dall'alcolismo, il giusto impermeabile, sdrucito e decorato da fori di pallottole, e il giusto peso dei ricordi a curvare la linea delle spalle, tanto da farne una perfetta icona cinematografica. I motivi del noir, in fondo, sono tutti qui: nella curvatura delle spalle del protagonista e nelle sue interminabili passeggiate, capaci, da sole, di innervare di senso il film. Scudder cammina continuamente, alla ricerca di prove, indizi, testimoni, per inseguire un sospetto o seminare un aggressore, e intanto osserva, scruta, riflette, indaga, organizza il puzzle (in verità lineare, per quanto morboso, lontano dalla complessità dei racconti di Chandler) ricomponendone i tasselli con cura certosina, mentre la macchina da presa di Scott Frank lo osserva a volte immobile, attonita, altre incuriosita fino a pedinarlo con dolly e carrelli. Se per errore andassero perse le scene madri, gli scontri a fuoco, le lotte corpo a corpo, si potrebbero montare le sole passeggiate di Neeson con la certezza che il film non perderebbe il proprio fascino crepuscolare.
Chiuso tra un incipit folgorante, in cui un uso espressionistico dell'audio fa esplodere con violenza i colpi di pistola, accerchiando d'improvviso lo spettatore, ancora memore del suono piatto e frontale, cioè televisivo, del dialogo in automobile, e un finale che raddoppia il malessere esistenziale gravante come una cappa mortifera sullo skyline di New York, "La preda perfetta" alterna sviluppi efficaci a insidiose cadute di stile, ma ha il pregio di inoltrarsi con consapevolezza nei meandri di un genere spesso frainteso senza rinunciare al piacere della sperimentazione. E se nel conflitto tra orrore e ironia Frank riesce a indovinare il nodo di una morbosità che si avvinghia ai corpi e alle situazioni con la morsa asfissiante di un'afa estiva (si vedano il flashback in quadro fisso del giardiniere che raccoglie i sacchi nel lago o il ralenti onirico della bambina col cappuccio rosso), non sempre evita di scivolare malamente nell'esibizione gratuita (il pacchetto grondante sangue).
Quanto agli attori, non vi sono grandi plausi da fare. Dan Stevens avrà rimediato un buon mal di denti a forza di serrare la mascella in espressioni contrite, ma non si può dire che le sue smorfie abbiano suscitato una qualche partecipazione negli spettatori. Meglio David Harbour, che connota uno psicopatico di notevole efficacia, mentre l'impegno del giovane comprimario Brian Bradley non è premiato da un coerente sviluppo del suo personaggio in sceneggiatura. Di Liam Neeson abbiamo già detto: sguardo affilato e fisico massiccio, ma trattenuto, assume su di sé l'intero film. Un unico dubbio ci assale quando impugna deciso il telefono e intima ai rapitori di seguire i suoi ordini; lì, per un attimo, si ha quasi l'impressione di sentirlo scandire il mantra dell'agente Bryan Mills: io vi troverò.
cast:
Liam Neeson, Dan Stevens, David Harbour, Brian Bradley
regia:
Scott Frank
titolo originale:
A walk among the tombstones
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
114'
produzione:
Double Features Film, Jersey Films, Cross Creek Pictures
sceneggiatura:
Scott Frank
fotografia:
Mihai Malaimare jr.
scenografie:
David Brisbin
montaggio:
Jill Savitt
costumi:
Betsy Heimann
musiche:
Carlos Rafael Rivera