Con un titolo da film dell'orrore il festival di Locarno rispolvera il Gianfranco Rosi meno famoso, quello che prima di Venezia si era fatto conoscere per film che andavano a cercare lo loro verità lontano dall'Italia. "El Sicario, Room 164" ci porta oltre oceano, e precisamente a Jerez, cittadina messicana a ridosso della frontiera americana dove avviene l'incontro con il sicario del titolo, organizzato da Rosi attraverso la mediazione del giornalista Christian Bowden, autore dell'articolo apparso su Harper's Bazar che ha ispirato il regista. Vestito di nero, e con un retina dello stesso colore a coprirgli la faccia, il protagonista del film si muove nella camera d'albergo evocando sinistri presagi. L'argomento d'altronde non è dei più invitanti, considerando che la conversazione con l'inquietante interlocutore entra nei dettagli di un lavoro tanto cruento quanto fuori dal comune. Ingaggiato dai cartelli del narcotraffico, l'uomo senza nome si presta al gioco interpretando la parte di chi è abituato a prendere di petto le situazioni. Per lo più seduto, al centro della stanza, e con in mano una biro utilizzata per fermare sul blocknotes i passaggi più importanti del suo discorso, il sicario non si lascia pregare; fornisce dettagli, illustra metodologie di lavoro, e soprattutto disegna organigrammi da cui a emergere è il patto di mutuo soccorso tra i mercanti della morte e i burocrati del potere, allineati in uno scambio di reciproche cortesie, finalizzate ad alimentare una ricchezza dai confini illimitati.
Apprendiamo quindi del reclutamento all'interno dell'accademia di polizia, dove, al termine di ogni corso, almeno cinquanta elementi entrano a far parte dell'organizzazione malavitosa con compiti diversificati e ritagliati sulle qualità dei singoli individui. Oppure dei rapimenti organizzati con la collaborazione delle forze dell'ordine, impegnate a rendere sicura l'area nella quale, successivamente, verrà compiuto il sequestro di persona, e anche il funzionamento di struttura verticista, assicurato dalla totale dedizione degli anelli più bassi della catena, disposti a tutto - per esempio a vivere in clandestinità, rinunciando per anni a qualsiasi contatto con i propri familiari- pur di soddisfare i desideri del Boss di turno. Ma la cosa più sorprendente accade quando il protagonista, forse spinto dal retaggio che individua nell'iperattivismo l'antidoto per i rimorsi di coscienza (ma sesso droga e alcool sono i palliativi più comuni per mettere a tacere i sensi di colpa), si alza in piedi, e inizia a mimare i gesti della violenza, quelli che, attraverso le sevizie di indicibili torture (praticate indistintamente a uomini e donne, e' bene dirlo) gli permettevano l'assolvimento del compito. Un esibizione di macabra efficacia, con la scena del delitto riportata in scena dalla seduta spiritica organizzata, fuori campo, dall'ineffabile regista.
In un film del genere il compito più difficile era quello di rimanere imparziali e di raccontare le nefandezze del protagonista senza permettere al giudizio di spezzare l'incantesimo di un'immediatezza che riempie lo schermo di energia e sensazioni. Rosi ci riesce, grazie a un dispositivo semplice ma studiato nei minimi particolari, che lavora dentro e fuori lo schermo. Nell'inquadratura, spogliando le immagini di qualsiasi appeal estetico, ma anzi, facendo emergere una dimensione di quotidiano - derivato dall'anonimato della camera d'albergo - che associata alla drammatica eccezionalità del racconto produce il conseguente straniamento. Fuori dallo schermo, e nei riguardi dello spettatore, organizzando il racconto orale come un vero e proprio soliloquio, con le domande del regista eliminate dal montaggio, e la voce del sicario a rappresentare l'unico elemento di "umanità" presente all'interno del film. Prodotto sui generis nella filmografia dell'autore, "El Sicario Room 164" è arrivato in dvd (e in tv) senza prima passare per il grande schermo.
09/08/2014