Tale frase, proferita all'inizio di quella che può essere definita la fase finale del film di Van Dormael, potrebbe far alludere, anche perché di discreta importanza in quel frangente, al concetto di
limite come nucleo della pellicola. Ed invece quest'ultima è quanto di più lontano da ciò. Dopo un inizio che pare imitare lo stile di certi documentari divulgativi (e che viene rivestito di un'importanza forse eccessiva rispetto al ruolo quasi secondario che svolge all'interno dell'economia
ideologica dell'opera), si viene introdotti all'effettiva
fabula (ma è realmente così ?) tramite la narrazione degli ultimi giorni di vita dell'"ultimo mortale" in un mondo che ha raggiunto una sorta di immortalità, Nemo Nobody, appunto. Ma anche questa fase è temporanea e i primi ricordi del protagonista da bambino si fanno largo con un tono tra il surreale e l'apertamente fantastico, lasciando propendere per questo svolgimento piuttosto che quello fantascientifico precedentemente accennato. Invece un ulteriore
"ritorno al futuro" riporta la narrazione nell'anno 2092, che pare ormai essere il nucleo della
fabula. Fino a che l'espediente del giovane giornalista infiltratosi nella struttura ospedaliera dove dimora Nemo e della sua intervista
scoop all'ultracentenario riconduce nuovamente l'orologio della storia all'indietro e fa sì che il film si configuri come una
wellesiana ricerca del senso della vita di quest'ultimo tramite la narrazione di questa. Che però pare essere ben più di una.
La confusa e prolissa introduzione qui presente potrebbe confondere il lettore e lasciarlo piuttosto interdetto nel leggere tanti e così repentini stravolgimenti ma essa tenta semplicemente di replicare, in maniera sicuramente meno efficace, la situazione di spaesamento che si prova di fronte ai primi 30/35 minuti di "Mr. Nobody" (che riprende il corto del regista del 1984 "Pericoloso sporgersi"). I già citati sconvolgimenti cedono poi progressivamente spazio al normale svilupparsi della narrazione multipartita delle plurime vite del suo protagonista, focalizzandosi soprattutto sull'adolescenza e la maturità, evidenziando spesso le notevoli differenze che intercorrono fra le diverse linee narrative, esemplificate dalle tre ragazze (Anna, Elise e Jean) che il ragazzo incontra e con cui decide di passare la propria vita, per quanto in realtà siano ben di più, dato che questi svolgimenti vengono a loro volta divisi in base ad ulteriori scelte del protagonista. E dato che, come infatti didascalicamente affermato dal protagonista bambino, "fino a che non scegli ogni cosa rimane possibile" questo permette al regista di focalizzarsi su ciò che da sempre è (o pare essere) al centro del suo cinema, ovvero la dialettica tra scelta e necessità/caso.
Da questo punto di vista l'escamotage fantastico che dona al protagonista la capacità di poter conoscere il futuro (o piuttosto l'avvenire delle cose nella sua interezza) e che quindi gli permette talvolta di ripetere le proprie scelte e mutare così
in fieri il proprio futuro si rivela come il vero punto focale della pellicola e una sorta di antidoto sia all'irrazionale e radicale
invidia per il vissuto altrui che caratterizza il protagonista di "Toto le héros", esordio del 1991 di Van Dormael, sia allo strapotere del sadico Dio del recente
"The Brand New Testament". O perlomeno così pare, fino a che gli ultimi minuti del film si risolvono in un ulteriore
catastrofe, più radicale di tutte le precedenti (e pure metacinematografica), la quale decostruisce quanto visto finora e, oltre a rivelare l'abilità
illusionistica del regista di Ixelles, sposta ancora una volta il centro tematico della pellicola, svelandone definitivamente la natura più intrinseca.
Perché "Mr. Nobody" è, prima che un film sulla succitata dialettica, un'opera sulla libertà, un'opera
di libertà. Libertà autoriale, in primo luogo, dato che il film si configura soprattutto come un saggio di abilità registica e di capacità di gestione di una molteplicità di registri, generi e tecniche cinematografiche, centrifugati con tale foga da apparire a tratti quasi casuali e andanti a formare un
pastiche che proprio in questa apparente casualità sancisce la totale libertà demiurgica del ruolo registico, narrando la vicenda di totale libertà del suo giovane (e maturo e vecchio) protagonista (Jared Leto, forse alla sua prova migliore, come molti degli altri contributi tecnici e artistici), anch'egli vero e proprio creatore del proprio mondo. Dimostrando così la natura
anche metacinematografica dell'intera pellicola Jaco Van Dormael gira quello che forse può essere definito un punto d'arrivo del postmodernismo cinematografico, un'opera che radicalizza ulteriormente la frammentazione narrativa e la molteplicità stilistica che da sempre ne sono i cavalli di battaglia, imitando col linguaggio del cinema la ricchezza di toni e le infinite possibilità della vita. E pazienza per le ingenuità (soprattutto a livello di colonna sonora) con cui talvolta si caratterizzano i decenni passati, oppure per gli snodi narrativi non del tutto chiariti, o ancora per le tematiche e le trovate abbandonate e riprese con forse troppa libertà dal regista. Sta altrove il valore di questo ritorno alla vita tramite il cinema che va a comporre uno dei più grand(ios)i elogi alla libertà mai fatti nel cinema narrativo.
Post scriptumPur essendo sempre il voto una mera indicazione per favorire la contestualizzazione del giudizio del recensore, in pochi casi oltre questo il sottoscritto si è trovato ad ammettere quanto il suo voto in decimali sia nulla più che una "muta effigie". Avrei potuto dare 7 al film per via delle sue piccole ma numerose incoerenze oppure attribuirgli un 9 per la sua sormontante quantità di spunti di riflessione, e la cerenza con cui vengono gestiti. Ma anche fare l'inverso per quasi le medesime ragioni. Ciò che conta è che questa sia solo una delle migliaia di recensioni che avrei potuto scrivere riguardo al film di Van Dormael. Un dimostrazione di libertà e della infinitezza delle possibilità. Applausi.