Ci sono talvolta tesori che rimangono letteralmente chiusi in un baule e, quando riscoperti, suscitano l’interrogativo di come vi siano potuti rimanere così a lungo. È il caso del dattiloscritto redatto nel 1948 da Federico Fellini e Tullio Pinelli, ovvero il trattamento per un film la cui realizzazione è stata successivamente accantonata. Il documento è rimasto in pratica sconosciuto fino al 2005, quando Gabriele Salvatores, venutone in possesso, ne ha fatto il soggetto del suo nuovo film: "Napoli - New York".
Operazione di valore, quella del regista napoletano, che sembra rinverdire i fasti del suo mai dimenticato "Mediterraneo" (1991), vuoi per il fatto che la sua poetica, da sempre incentrata sulla dimensione del viaggio, della fuga, dell’anarchia, della libertà ma anche degli affetti familiari sembra aver trovato nel trattamento la giusta cassa di risonanza, armonica e mai scontata, vuoi per l’equilibrio tra i tre atti in cui si struttura il film, e vuoi, in ultimo, per il merito di aver ridato importanza a quegli aspetti della narrazione che, caduti in disgrazia sotto l’arcigna revisione dei produttori, avevano spinto il Maestro riminese ad abortire il film.
A differenza delle pellicole precedenti, quali ad esempio "Educazione Siberiana" (2013), "Napoli - New York" gode innanzitutto di una solida struttura narrativa, grazie ai tre atti, all’interno dei quali le unità di tempo e luogo ben si saldano con le scelte di fotografia.
Nella prima parte, infatti, Carmine e Celestina, i due bambini orfani protagonisti, in un’ambientazione cupa e sovente notturna, si muovono nella Napoli postbellica brulicante di mani tese, tentando di sbarcare il lunario come meglio possono. In questo che può essere a buon diritto definito un primo atto, grazie alla freschezza interpretativa dei due piccoli attori, emerge il realismo creaturale che fu di Pier Paolo Pasolini e l’attenzione dignitosa e composta, tutta felliniana, per i dimenticati e gli emarginati. Le categorie morali del giusto e dell’ingiusto rimangono sepolte sotto i calcinacci insieme agli affetti più cari. Le modalità di ripresa ad altezza di bambino (come in buona parte del film) si peritano di mostrarci, tuttavia, come vi sia un mondo nel quale si riesce comunque a sorridere, anche quando il pasto dipende da come vada a finire una partita “a mazzetti”.
Nella seconda parte, essendosi i protagonisti clandestinamente imbarcati su una nave di linea diretta negli Stati Uniti, l’ambientazione e la fotografia sono caratterizzate da scelte dicotomiche che, con un alternarsi sinusuidale, contrappongono il meriggio assolato e i lindi passeggeri di prima classe che fanno la bella vita sul ponte all’oscuro sottocoperta stipato di migranti e clandestini. Il ruolo del commissario di bordo (Pierfrancesco Favino) è forse il più interessante sul piano delle funzioni dei personaggi: da borioso e tetragono oppositore, in quanto ufficiale responsabile della ricerca dei clandestini a bordo, sfuma gradatamente in un caricaturale e bonario sorvegliante degli eccessi dei due piccoli imbarcati, per culminare con l'aspirazione alla paternità. Infatti, mondati (non solo metaforicamente) dello stigma di clandestini, essi si danno ora solertemente da fare con gli strofinacci sul ponte o tra le pentole in cucina.
Ma è nel terzo atto che il film spicca il volo, paradossalmente proprio in quella parte per la quale il suddetto trattamento di Fellini comprendeva delle annotazioni che raccomandavano una serie di sopralluoghi a New York, onde rendere più plausibili le eventuali scelte di sceneggiatura adattandole alla location d’oltreoceano. Ebbene, Salvatores supera le perplessità di Fellini soprattutto per quanto riguarda Ellis Island, e dimostra, a differenza di quanto fatto ne "Tutto il mio folle amore" (2019), di saper andare ben oltre il superficiale trattamento della questione migratoria: è un bambino afroamericano colui che salva Celestina da un gesto sconsiderato, così come è la complicità tra il contrabbandiere e Carmine a dare motricità alla trama e a istituire un collante etico tra emarginati che dà rotondità al film. In esso vi è anche lo spazio per il processo nel quale Agnese, la zia di Celestina da tempo emigrata in America, è accusata di omicidio e rischia la pena capitale.
Alle distanze linguistiche, economiche, giuridiche e culturali tra l’Italia e l’America, poco gradite alla produzione postbellica ma fulcro del trattamento felliniano, viene invece ridato il giusto rilievo anche con le modalità di ripresa. La cinepresa è più dinamica in questa parte del film, nel momento in cui fende la folla di Little Italy, soprattutto quando, in un unicum nella cinematografia di Salvatores, dopo aver inquadrato i grattacieli riflessi alla rovescia in una pozza d’acqua, ruota di 180° proiettando su di essi lo sguardo rapito dei due protagonisti: è il segno che la città che li ha accolti freddamente può rivelarsi diversa dalle apparenze, può dare corpo a una speranza. Infine, un regista che sappia il fatto suo lo dimostra anche senza far interloquire gli attori, semplicemente inquadrandone le calzature: ebbene sì, ci sono momenti in cui la pellicola di Salvatores pare un film di scarpe.
Altro aspetto di "Napoli - New York" è il citazionismo. A tal proposito si va da una modalità più velata ("Sacco e Vanzetti") a una più diretta: i tratti somatici di Carmine sono quelli del protagonista di "C’era una volta in America"; ancora, i protagonisti che osservano languidamente i pasticcini oltre la vetrata sono un chiaro calco leoniano. Le sembianze del direttore del giornale ricordano inoltre Vittorio De Sica; ancora, Celestina assiste alla proiezione di alcune sequenze di "Paisà". Per concludere, anche la musica riveste notevole importanza in un film come "Napoli – New York" che ha la duplice necessità di raccontare, in un minutaggio ragionevole, tre luoghi fisicamente ed emotivamente così diversi, in cui sono compresenti tanto la concreta e dura realtà quotidiana quanto i generosi slanci ideali, e di accompagnare l’altrimenti silente movimento di più di duemila comparse.
cast:
Antonio Guerra, Dea Lanzaro, Pierfrancesco Favino, Anna Ammirati, Omar Benson Miller, Anna Lucia Pierro, Tomas Arana
regia:
Gabriele Salvatores
titolo originale:
Napoli - New York
distribuzione:
01 Distribution
durata:
124'
produzione:
Paco Cinematografica con Rai Cinema, Friuli Venezia Giulia Film Commission, Film Commission Regione
sceneggiatura:
Federico Fellini, Tullio Pinelli, Gabriele Salvatores
fotografia:
Diego Indraccolo
scenografie:
Rita Rabassini
montaggio:
Julien Panzarasa
costumi:
Patrizia Chericoni
musiche:
Federico De Robertis