Se c'è una costante nel cinema di Tizza Covi e Rainer Frimmel, questa si manifesta nell'assoluta priorità che i personaggi hanno nell'economia generale delle cose. A dircelo c'è innanzitutto la filmografia degli autori e il filo rosso che, a partire da "
Non è ancora domani (La pivellina)" e arrivando ai nostri giorni con il lungometraggio appena presentato a Locarno, sembra unire in un unico libro i non molti titoli del loro curriculum. Perché, se già nel bellissimo e misconosciuto "
The Shine of Day", anche lui passato in concorso al festival ticinese, il punto di snodo dei tanti rivoli narrativi era costituito dalla centralità dell'attore Walter Sabel già coinvolto nella realizzazione del film del 2009, così adesso a ritornare sullo schermo nei panni di se stesso è quel Tairo Cairoli che avevamo conosciuto ancora bambino ne "La pivellina", opera davvero seminale per la coppia di registi italo-austriaca. Neanche a farlo apposta, ad avvalorare tale analisi ci viene incontro "Mister Universo" e la novità metodologica utilizzata da Covi e Rimmel per narrare il mondo che ruota attorno alle vicissitudini dell'estroverso domatore di leoni e al viaggio che egli intraprende per incontrare Arthur Robin, primo uomo di colore a vincere il titolo di Mister Universo nel lontano 1957 al quale il ragazzo vorrebbe chiedere in regalo uno degli amuleti portafortuna che l'uomo usava nel corso dei suoi spettacoli, ricavati piegando a mani nude barrette di metallo. Se, infatti, nei lavori precedenti Frimmel e Covi avevano utilizzato sceneggiature aperte in cui il copione era solo il punto di partenza di un percorso cinematografico che lasciava al caso e all'improvvisazione il compito di decidere il corso degli eventi, così non accade questa volta. "Mister Universo", come dicevamo, scompiglia ogni assioma, nascendo con una struttura definita dal principio alla fine e con un copione che pur nutrendosi di impressionismo documentario (dialoghi estemporanei, attori sociali e nessuna ricostruzione ambientale) prevede una messinscena controllata e situazioni anticipate dalla carta scritta. A rimanere inalterato, e a dare continuità a quanto fatto nel passato è invece il materiale umano che da sempre è causa e, davanti alla macchina da presa, forma che inerisce i lavori dei registi. Poiché qui non si tratta, e "Mister universo" ne è la prova, di mettere semplicemente in scena le vite degli altri, cosa per cui basterebbe un rapporto di conoscenza e non il legame d'amicizia che lega registi e attori, bensì di condividere in prima istanza le
tranche de vie composti sullo schermo. Se così non fosse, le tappe di avvicinamento che separano Tairo dall'incontro con il leggendario campione - ognuna della quali contraddistinta dall'introduzione di un membro della sua numerosa famiglia - rimarrebbero aneddoti piacevoli ma certamente inerti sotto il profilo emozionale. Al contrario, la galleria di personalità chiamate a sostenere le gesta del nostro eroe, lungi dall'essere una carrellata di soli tipi umani, diventano la maniera con cui gli autori entrano (virtualmente) in campo per esprimere in maniera concreta il proprio amore nei riguardi di Tairo e più in generale del contesto che entra a far parte della sua sfera d'azione. Sfera che appartiene, perciò, a Wendy, la contorsionista con cui forse il ragazzo condivide qualcosa di più di una reciproca simpatia, ad Arthur Robin, il fenomenale campione che smessi i panni dell'uomo più forte del mondo si gode il meritato riposo con la donna che ama e, infine, ai tanti animali (del circo e non) che in termini d'espressività e di
physique du rôle (tra i tanti citiamo lo scimpanzé che a suo tempo lavorò con
Fellini e Celentano) non hanno nulla da invidiare al resto della compagnia.
Esponenti di punta del documentario italiano dei vari Pietro Marcello, Roberto Di Costanzo e Roberto Minervini di cui i registi di "Mister Universo" condividono metodo di lavoro, profondità di sguardo e senso dell'umano, Tizza Covi e Rainer Frimmel giunti al loro quinto lungometraggio dimostrano di saper andare oltre le formule già sperimentale in favore di un'autenticità che riguarda soprattutto il fattore umano, avvicinato con afflato che anche quando deve raccontare la storia di una crisi - quella di Tairo, scorato della avversità lavorative - trova il modo di farlo privilegiandone gli aspetti più ilari e leggeri. Da questo punto di vista "Mister Universo" ci offre dei piccoli capolavori di comicità e di buon umore, come lo è lo scambio di battute a proposito degli strani fenomeni che si verificano su un tratto di carreggiata molto particolare, oppure le discussioni di Tairo pronto a rinfacciare a Wendy la sua superstizione per poi essere il primo a credere nell'esistenza del soprannaturale. Scampoli di bravura che insieme a molti altri danno vita a una commedia umana di una tenerezza indimenticabile e che fanno di "Mister Universo" il film più bello della sessantanovesima edizione del Festival di Locarno.