Stieg Larsson ci manca molto. Lo avevamo già pensato quando dalla sua Svezia era arrivata la prima trilogia cinematografica tratta dalla sua saga "Millennium" e lo continuiamo a pensare ora, anche dopo che a cimentarsi con il suo misterioso e meraviglioso mondo si è confrontato il regista americano forse più in linea con la sua poetica labirintica.
Ma anche se David Fincher fa un lavoro di adattamento encomiabile dal punto di vista dell'adesione a un'idea originale intaccabile, la nuova versione di "Uomini che odiano le donne", diciamolo subito, perde nettamente il confronto con il capolavoro letterario del giornalista e scrittore morto prematuramente nel 2004. Quando Larsson se ne andò, nessuno sapeva che dietro alla sua attività ufficiale di corrispondente, cronista ed esperto di estrema destra, si nascondeva in realtà l'abilità di un genio del genere poliziesco. Ci siamo dovuti mettere alla prova direttamente per potervi credere: i suoi tre romanzi, che narrano delle avventure investigative della strana coppia Blomkvist-Salander, si sono rivelati una costruzione letteraria profonda e indelebile. Tre romanzi polizieschi capaci di affondare la lente dello scrittore in molteplici piani di osservazione, dall'oscura e ipocrita storia del Paese scandinavo al dramma di emarginati che vivono all'ombra di una società fin troppo sacralizzata nella sua perfezione da parte dei racconti mediatici.
Tutto questo, tutta questa atmosfera di malato e di viscido, era stato colto dal primo adattamento del romanzo, quel "Uomini che odiano le donne" diretto dallo svedese Niels Arden Oplev. A mancare, in quel caso, era un respiro davvero coinvolgente sul piano della messa in scena visiva. Il film mancava di troppi elementi necessari per rendere un thriller un'opera davvero indimenticabile: la costruzione della tensione era vanificata da un montaggio fin troppo piano e didascalico.
Ma Fincher, reduce dallo straordinario "The Social Network", ha le caratteristiche giuste per non ripetere gli errori di chi lo ha preceduto. E infatti il suo film è una pellicola esemplare nell'assemblaggio di un'atmosfera rarefatta e lugubre che, finalmente, porta lo spettatore là dove Larsson aveva condotto il lettore. Accompagnato ancora una volta dal tappeto musicale di Trent Reznor (i due ormai paiono davvero inseparabili), il regista americano disegna una Svezia livida e nebbiosa, con il giusto dosaggio di effetti visivi e fotografici che sottolineino la differenza fra la colorata Stoccolma e il bianco dell'isola dei Vanger. Ma Fincher, forse proprio dopo l'esperimento clamorosamente riuscito del suo ultimo capolavoro, tenta nuovamente una missione fin troppo ambiziosa: con una pellicola di genere, e stavolta di totale finzione, punta a tratteggiare i caratteri più oscuri di un'intera nazione. Ci era riuscito con i suoi Stati Uniti, grazie all'epopea di Mark Zuckerberg. Ci riprova ora con uno Stato che deve averlo davvero affascinato, se è riuscito a convincere la produzione a girare il remake conservando l'ambientazione geografica originale.
Ma tralasciando se la Svezia nascosta raccontata da Fincher si avvicini a quella immaginata da Larsson, è in un altro campo che il film paga eccessivamente dazio. E, curiosamente, è proprio l'argomento che poteva essere il punto forte del film. La costruzione articolata in mille rivoli dell'indagine, la ricerca dell'assassino di donne, la ricomposizione del puzzle da parte di Mikael e Lisbeth risulta diluita dal minutaggio che Fincher, e la sceneggiatura del sodale Zaillian, dedicano all'introduzione dei due personaggi e alla messa in scena degli ambienti esterni. Il mistero finisce così per essere in secondo piano, in una soluzione del caso cui non viene neanche dedicato il finale. È stata una scelta, pensiamo, ben decisa e anche coraggiosa che, da adoratori della perfetta macchina narrativa imbastita dal mai abbastanza compianto scrittore svedese, ci lascia perplessi per gli snodi possibili che la pellicola avrebbe offerto e che invece ha solo tratteggiato "in potenza".
Fincher, maestro del giallo e del nero, stavolta mette da parte il thriller e l'indagine e si occupa del grigio: di quello di un intero Paese e di quello insito nell'anima di Lisbeth, vera creatura fincheriana fino al midollo. Personaggio femminile conturbante e sconvolgente, cui Rooney Mara regala un'interpretazione "fisica" che quasi spaventa per la sua dedizione. Possiamo sintetizzare così: Fincher batte Oplev. Ma Larsson batte entrambi.
Per saperne di più: Rooney Mara, David Fincher - Speciale Millennium - Uomini che odiano le donne
cast:
Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skarsgård, Steven Berkoff
regia:
David Fincher
titolo originale:
The Girl with the Dragon Tattoo
distribuzione:
Sony Pictures
durata:
158'
produzione:
Film Rites, Metro-Goldwyn-Mayer, Scott Rudin Productions, Yellow Bird Films
sceneggiatura:
Steven Zaillian
fotografia:
Jeff Cronenweth
scenografie:
Donald Graham Burt
montaggio:
Kirk Baxter, Angus Wall
musiche:
Trent Reznor, Atticus Ross