Caso letterario dell'anno, bestseller internazionale, tradotto praticamente dappertutto, "Uomini che odiano le donne" è diventato un film. A realizzarlo ci ha pensato una produzione totalmente "nordica" - Svezia e Danimarca - e già questo è un segnale di atipicità. Normalmente, quando qualche romanzo diviene fenomeno letterario, gli Stati Uniti sono i primi ad accaparrarsi i diritti per sfornare l'ennesimo blockbuster. Tuttavia, purtroppo, questo è forse l'unico, vero indice di diversità rispetto ai tipici thriller d'oltreoceano.
Realizzare un film adattandolo da un romanzo è sempre rischioso. Se poi il romanzo è famosissimo, l'impresa è davvero ardua. Pur apprezzando lo sforzo produttivo nella gestione di un tale "onere", ci si chiede se sia corretto valutare il film a prescindere dal libro. Ammettendo anche per un attimo che questo sia possibile - potrei metterci tutta la mia obiettività, ma non sarebbe comunque facile - è veramente giusto considerarlo indipendentemente dal libro? Forse no. Chi scrive è convinto che un tale privilegio lo meritino solo alcuni esempi di personale e intenso stravolgimento dell'opera originale. Ed è una cosa che non tutti possono permettersi di fare. A meno di essere Kubrick alle prese con "Shining" o Altman con "Il lungo addio". Oplev, per quanto bravo, questo privilegio non ce l'ha.
Girato con mano sicura, degnamente fotografato - splendidi alcuni "quadri", merito, oltre che della fotografia, delle architetture e dei paesaggi svedesi - "Uomini che odiano le donne" è un classico thriller a suspense al quale, su tutto, pare doveroso concedere il merito di aver "eliminato" quel centinaio di pagine iniziali del romanzo che, per moltissimi, sono estremamente noiose. Senza esagerare con eccessiva truculenza, recitato con nerbo, mai esagerato (neanche nella scena dello stupro, tutto sommato) e piuttosto composto nelle interpretazioni, è indubbiamente un film che si lascia guardare. Intricato quanto basta - anche se un uso eccessivo dei flashback sembra quasi voler spiegare tutto - lascia giusto in fondo alla pellicola qualche dubbio irrisolto. Ma va da sé che, volendo sfruttare gli altri due romanzi della trilogia "Millennium", Oplev e soci abbiano deliberatamente lasciato qualcosa in sospeso.
Rispetto al libro è forse un po' "piatto", come film, perché manca di certo scavo psicologico e della importante dimensione della violenza sulle donne, che nel film è di fatto "relegata" a mera motivazione alla base della vicenda. Qualche personaggio è stato eliminato e il finale è meno "nero" delle scrittura di Larsson. Dal punto di vista della mise en scène, siamo comunque di fronte a un buon thriller, recitato bene, girato con mestiere, fotografato in maniera professionale. Non mancano i colpi di scena e mantiene, nonostante la notevole durata, ritmo alacre.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Forse è questa "perfezione" che non permette al film di essere speciale, oltre la norma. Non lo rende "personale", lo priva di quel carattere atipico, necessario per emergere e durare nel tempo, riducendolo così a film qualunque. Potete vederlo, certo. Vi piacerà anche, a parere di chi scrive, ma è probabile che presto lo dimenticherete. Anche perché, se siete alla ricerca di un significato un po' più "alto" di un semplice esercizio cinematografico pieno di suspense, è meglio che leggiate il libro.
15/06/2009