Todd Haynes è un autore a cui piace confrontarsi su più piani. Da un lato, è un grande direttore di attrici e quest’ultimo “May December” ne è un'ulteriore dimostrazione. Oltretutto, avvalendosi per la quinta volta di Julianne Moore, sua attrice prediletta, già presente nei precedenti “Safe”, “Lontano dal paradiso”, “Io non sono qui” e “La stanza delle meraviglie”. Dall’altro, è un regista a cui stanno a cuore temi in cui i rapporti tra individui e le loro dinamiche amorose sono centrali, così come una certa ricerca intellettuale che si esprime su diversi registri estetici e culturali ben presente fin da “Poison” sua opera prima del 1991. In questo senso, “May December” lo si può definire un meta-thriller psicologico in cui si assiste a una doppia detection: una emotiva e una artistica.
L’indagine emotiva
Elisabeth Berry (Natalie Portman) compie una vera e propria indagine su Gracie Atherton (Julianne Moore) e del suo rapporto con il giovane Joe Yoo (Charles Melton) per capire la psicologia della donna che dovrà interpretare in un film. Il confronto tra le due diventa una ricerca di una verità possibile da parte di Elisabeth su quale sia stato l’evento che abbia fatto innamorare un’adulta, sposata e madre di tre figli, di un tredicenne. Il ritratto che fa Haynes è ambivalente di entrambe. Da un lato, Elisabeth appare ossessionata da Gracie: intervista l’ex marito, il figlio maggiore, l’avvocato che la difese nel processo per pedofilia, per cui la donna scontò un periodo in carcere, fino a introdursi all’interno del nucleo famigliare; dall’altro, Gracie sembra una donna fragile e in preda alle sue manie, ma nella realtà, proprio nel prefinale di “May December” è instillato il dubbio allo spettatore di quanto possa essere una manipolatrice che sa perfettamente come muoversi in una comunità che la tollera.
L’esempio eclatante è fornito dal duplice incontro che Elisabeth ha con Georgie, il figlio maggiore di Gracie. In un primo incontro le confessa di come odia sua madre perché gli ha rovinato la vita; in un secondo, le rivela che la madre ha subito molestie sessuali continuative dai suo fratelli. Per Elisabeth ciò permette di razionalizzare le cause del comportamento di Gracie, per poi essere sconfessate quando Gracie, nel salutarla alla fine della sua permanenza presso la loro famiglia, le dice che “non crederà alla fantastica storia che le ha raccontato mio figlio, vero?”. Perché Gracie lo sente tutti i giorni e le dice sempre tutto. Così, quello che ha saputo Elisabeth, e lo spettatore insieme a lei, può sembrare solo un coacervo di mezze verità e punti di vista che scalfiscono appena la psicologia di una persona e il mistero dell’innamoramento.
Dell’atteggiamento manipolatorio di Gracie abbiamo una esempio più subliminale nella sequenza in cui lei ed Elisabeth sono in un negozio ad accompagnare la figlia che deve scegliere il vestito per la festa del diploma. Haynes inquadra in un totale frontale le due donne sedute: Gracie appare doppia grazie al suo riflesso in uno specchio posto al lato dell’inquadratura. Mentre la ragazza prova i vestiti, lei risponde alle domande di Elisabeth, ma riesce a convincere la figlia a sostituire un vestito scollato con uno con le maniche lunghe per non mostrare le braccia “troppo grosse”. Gracie, con estrema naturalezza, fa passare un’affermazione crudele nei confronti della figlia (l’insulto al suo fisico) come un complimento (l’ammirazione per il suo coraggio che lei non avrebbe). La sua doppia personalità, in un continuo travaso tra pubblico e privato, tra moine e durezze, tra pianti e ordini, è tutta emblematicamente sottesa in questa sequenza.
Del resto, anche il giovane Joe è una vittima del comportamento manipolatorio di Gracie. Ormai adulto, sposato con lei da vent’anni e con cui ha avuto tre figli, si dichiara sempre innamorato della moglie a Elisabeth, ma inizia a nutrire dubbi sul loro rapporto. Nel suo comportamento sempre tranquillo, Haynes dissemina indizi in differenti scene della sua immaturità emotiva. Innanzitutto, Joe alleva una specie di farfalla in pericolo di estinzione e collabora con una comunità di appassionati, e ha continui contatti in chat con una giovane donna a cui a un certo punto chiede se voglia fare un viaggio nel luogo dove emigrano le farfalle adulte. Lei stupita le scrive: “Ma non sei spostato?” A sottintendere la proposta di adulterio, di ricerca di evasione dal rapporto con la moglie. E del resto, l’adulterio lo compie proprio con Elisabeth in un rapporto fisico fugace, da lui interpretato in evento particolare, al contrario della donna per la quale è semplicemente del sesso.
Ancora, quando sul tetto della casa c’è il dialogo tra lui e il figlio che andrà al college. Gli chiede di poter fumare anche lui lo spinello che si è acceso. Il crollo emotivo di Joe a seguito dell’assunzione della droga è in contrapposizione al controllo del ragazzo. È lui a confortare il padre tanto da farlo apparire più insicuro. E infine il battibecco tra lui e la moglie in cui si capisce come l’assunzione di responsabilità del loro rapporto sia riflessa da ognuno nell’altro, con un’evidente posizione manipolatoria della donna adulta nei confronti di quello che era (è ancora dal punto di vista emotivo) un adolescente.
Se gli snodi narrativi sono in costante equilibrio, soprattutto per la sceneggiatura ben scritta, la creazione di una continua suspense è dovuta alla bravura nella messa in scena di Haynes. “May December” è immerso in un luce calda e porosa, grazie alla fotografia di Christopher Blauvelt, che avvolge Savannah in un ambiente umido, rendendo perfettamente l’atmosfera scivolosa in cui si muovono i personaggi. Così come il tema musicale principale, un adattamento di un pezzo di Michel Legrand composto per “Messaggero d’amore” di Joseph Losey, ne accentua, da un lato, la tensione emotiva e, dall’altro, cita temi melodrammatici che sono caratterizzanti il cinema di Haynes (“Lontano dal paradiso”, “Carol”).
La mimesi interpretativa
L’indagine artistica è quella metacinematografica che Haynes compie attraverso il personaggio di Elisabeth. Il regista americano con “May December” mette in scena un vero e proprio saggio di immedesimazione nel ruolo da parte di un'attrice. In questo senso, Elisabeth applica un “metodo” di ricerca e comprensione iniziale dei fatti, della prossemica al soggetto della sua attenzione (Gracie), la sostituzione con esso e, infine, il calarsi in una perfetta mimesi.
In effetti, Elisabeth entra a far parte del nucleo familiare di Gracie come ospite prima accettato con curiosità, ma poi sempre più mal tollerato. Haynes procede per passi, per piccoli scarti e grandi eventi melodrammatici. Elisabeth, in un primo momento, raccoglie informazioni dalla documentazione giornalistica all’epoca dello scandalo, che ha visto coinvolta Gracie, e dai rapporti di polizia che ci vengono mostrati in scene di raccordo, mentre Elisabeth ne prende visione.
Poi, intervista i testimoni, ma soprattutto si confronta con Gracie stessa in un serrato e costante confronto in cui Elisabeth cerca la verità, mentre Gracie le propone una verità. Ma le scene più interessanti e che danno la cifra del percorso attoriale di Elisabeth sono quando i due personaggi vengono inquadrati in primo piano frontale e in cui si assiste a un allineamento tra le due donne. In particolare, quando Gracie spiega come si trucca a Elisabeth e questa ripete gli stessi gesti e poi userà gli stessi prodotti. Elisabeth va poi oltre, mimando, ad esempio, l’atto sessuale all’interno del magazzino del negozio di animali dove lavorava Gracie: abbiamo un primo saggio di interpretazione dell’attrice nel personaggio. Ma la sostituzione avviene anche nel prendere il posto di Gracie nei rapporti con il figlio maggiore oppure nel sostituirsi come amante con il giovane marito. Il tutto per provare le medesime sensazione della donna che deve interpretare.
L’apice della mimesi l’abbiamo quando Elisabeth legge una lettera d’amore segreta di Gracie inviata dal carcere al suo giovane amante. Unica conservata da Joe che consegna a Elisabeth per farle comprendere l’amore tra loro due. Ecco che Haynes decide di riprendere Natalie Portman in un primo piano frontale mentre recita il testo della lettera con il difetto di pronuncia di Gracie, con il suo sguardo, il suo tono di voce, citando in qualche modo la stessa inquadratura iniziale di “Lanterne rosse” di Zhang Yimou protagonista Gong Li. Assistiamo a un gioco di specchi in cui Portman interpreta Elisabeth che interpreta Gracie che interpreta Julianne Moore che interpreta Mary Kay Letourneau (l’insegnante statunitense che adescò uno studente di dodici anni e a cui il film si ispira). Insomma, una mise en abyme senza soluzione di continuità, dove il corpo attoriale si adatta e la psicologia dell’attrice si travasa nel personaggio attraverso l’interpretazione del ruolo davanti alla macchina da presa.
Simboli di trasformazione
“May December” è anche un film sulla trasformazione. I personaggi sono colti in un momento topico delle loro vite e il loro incontro scatena una mutazione. Joe inizia ad avere dubbi sul legame con Gracie e ormai sente la necessità di voler conoscere il mondo esterno, di vivere nuove esperienze. Gracie capisce in qualche modo che il mondo intorno a lei sta cambiando e cerca in tutti modi di controllarlo. Del resto, l’accettazione della venuta di Elisabeth e del film che gireranno sulla sua vita è come una sorta di immobilizzazione della sua esistenza all’interno della realtà filmica. E la stessa Elisabeth agogna alla mutazione nel personaggio di Gracie in un’ossessione di ricerca di perfezione.
Haynes rende compiuta la mutazione dei personaggi attraverso tre particolari sequenze.
Joe libera la farfalla dalla pupa che ha allevato con amore. La farfalla è simbolo supremo di trasformazione e in questo senso rappresenta il ragazzo che forse può diventare uomo e sentirsi finalmente libero e compiuto.
La seconda scena è la mattina in cui c’è la cerimonia del diploma dei due figli e Gracie invece va a caccia e incontra una volpe nel bosco. L’animale nella tradizione folcloristica rappresenta il femminino e il suo fascino, il potere di affrontare e superare qualsiasi difficoltà. In questo senso, diventa il simbolo della forza di Gracie che le permette di affrontare la mutazione del suo mondo esteriore e interiore.
Per ultima, la sequenza che vede protagonista Elisabeth nel finale di “May December”. Siamo sul set del film che sta girando. Interpreta Gracie mentre circuisce Joe con un serpente in mano. Il simbolo del peccato originale, ma soprattutto assistiamo alla trasformazione di Elisabeth in Gracie con la sua ossessione di una ricerca del vero, tanto da chiedere al regista di ripetere la scena ancora e ancora per trovare il momento perfetto. Il film che termina nella creazione filmica in un cortocircuito tra finzione e realtà dove i confini diventano liquidi tra chi rappresenta e ciò che è rappresentato.
cast:
Natalie Portman, Julianne Moore, Charles Melton
regia:
Todd Haynes
titolo originale:
May December
distribuzione:
Lucky Red
durata:
113'
produzione:
MountainA, Gloria Sanchez Productions, Killer Films
sceneggiatura:
Samy Burch
fotografia:
Christopher Blauvelt
scenografie:
Sam Lisenco
montaggio:
Affonso Gonçalves
costumi:
April Napier
musiche:
Marcelo Zavros