Tre ore e mezza di acute disquisizioni politico-teologiche nella fastosa residenza di campagna di un nobiluomo transilvano. Con un radicalismo elegante e sfrontato Puiu va a prendersi il titolo di miglior regista della sezione "Encounters" al 70° Festival di Berlino, adattando i "Tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo" (circa 1900, pubblicato postumo nel 1915) di Vladimir Solovyov*, filosofo e mistico russo. In barba a Roland Barthes, che già nel 1967 dichiarava morto l’autore, "Malmkrog" dimostra invece che l’autore è vivo e vigoroso, e si appalesa lungo l’intero arco dei duecentoeuno minuti nei calibrati movimenti di macchina, nella studiata successione dei piani, nella lussuosa austerità del décor, nella simmetria formale di vicende umane e volumi architettonici.
Per complessità e meccanica "Malmkrog" si avvicina a un cubo di Rubik e infatti la critica ci si è scornata, battendo la fronte contro gli spigoli. Hanno quasi tutti parlato d’altro, tirato in ballo la storia del cinema romeno, russo, gli scritti di Dostoevskij, Bulgakov, lo Slow Cinema e la resurrezione di un’etica storicista-modernista in risposta al nichilismo postmoderno (come se il postmoderno non fosse in grado di restituirci uno sguardo critico sulla Storia, o una prospettiva etica: si riveda a titolo di esempio "Il petroliere", e per il rapporto tra P.T. Anderson e postmodernismo si legga l’ottimo Jason Sperb, Blossoms and Blood, University of Texas Press 2014).
Non è semplice interpretare una trasposizione cinematografica così sofisticata e fedele senza introdurre il testo e il pensiero di Solovyov. Ai tempi in cui scriveva, il militarismo imperialista si opponeva al pacifismo di cui Tolstoj (odiato da Solovyov) era il più noto rappresentante. Agli altri vertici del quadrato semiotico, il misticismo cristiano era un impulso conservatore idealmente opposto al progressismo sociale. Il pensiero di Solovyov abita il triangolo ACD, cercando una mediazione fra misticismo e progressismo, nell’ottica sottesa di un militarismo votato alla difesa armata contro il "Pericolo Giallo" (le civiltà dell’Asia). Le vocazioni gnostiche, militariste e xenofobe lo rendevano insomma, già a fine Ottocento, un araldo del pensiero conservatore.
A. Misticismo religioso
B. Pacifismo
C. Progressismo
D. Militarismo
L’impianto dei dialoghi di Solovyov si ritrova intatto in "Malmkrog", dove ogni personaggio corrisponde più o meno a uno dei vertici rappresentati, oltre al misterioso Nikolai (Z., nel libro) che più di tutti sembra personificare la prospettiva originaria dell’autore. Non mancano però alcune differenze. Proprio il confronto con la fonte permette di comprendere dove c’è stato adattamento ("un adattamento segnala una relazione con una fonte o matrice informativa") e dove appropriazione ("appropriazione spesso imprime uno scarto più decisivo dalla fonte informativa verso un prodotto culturale interamente nuovo", distinzione tratta e tradotta da Julie Sanders, Adaptation and Appropriation, Routledge 2006, p.26). Benché in "Malmkrog" prevalga il modello dell’adattamento, ovvero la fedele trasposizione di un codice semiotico da un linguaggio a un altro (dal testo scritto al testo audiovisivo), la mano di Puiu è ben visibile in almeno quattro punti. Primo, due personaggi – maschili in Solovyov – cambiano di sesso. Secondo, l’ambientazione si sposta dall’azzurro della riviera francese al bianco della Transilvania innevata. Terzo, l’onnipresente azione della servitù guadagna addirittura un capitolo (la parte di Istvàn). Quarto, un’insurrezione stermina tutti i nobili senza ucciderli, suggerendo che le facce dei personaggi siano in realtà maschere di una sovrastruttura ideologica che muta continuamente lasciando però intatti gli equilibri di potere.
Fatta salva l’introduzione delle quote rosa, i rimanenti tre punti legano chiaramente il piano speculativo a una critica surreale e antiborghese che ricalca l’impianto buñueliano (come dichiarato dallo stesso Puiu). Se tuttavia in Buñuel la forma dialogica arguta e vivace è sempre funzionale all’equilibrio dell’opera, in "Malmkrog" il rigore argomentativo del testo di Solovyov (volto a raffigurare l’Anticristo nei tratti di Tolstoj) soverchia e soffoca ogni velleità ironica, indebolendo anche il sottotesto (o sovratesto) di critica socio-politica. La borghesia di Buñuel era sezionata con perizia autoptica nelle sue manie, nei suoi tic, nelle sue ossessive particolarità. Puiu ironizza invece con lo scalpello, fissando in un monolito audiovisivo le sembianze grossolane di maschere universali e denunce universalissime (i ricchi parlano e mangiano, ripeteva già Rod Steiger in "Giù la testa"), che proprio per la loro ambizione universale di riferirsi a tutti in generale si riferiscono, in realtà, a nessuno in particolare. Insomma ci troviamo lontanissimi dal modello: se l’operazione si può anche definire ironica su un piano metatestuale, bisogna ricordarsi che ironia significa innanzitutto leggerezza: ironie, c’est s’absenter, scriveva Blok.
"Malmkrog" non ha niente della leggerezza di Buñuel, e a guardare con attenzione lo si inquadra soprattutto pensando a quello che non è, o che non ha: l’austera precisione degli ambienti di Dreyer, ma senza profondità psicologica; il gusto antiquario di Ivory, ma senza il suo calore; le sembianze di "Gosford Park", ma senza il dinamismo coreografico di Altman; la vocazione meta-filmica de "Il mistero dei giardini di Compton House", ma senza la prontezza di spirito, la creatività impertinente di Greenaway. Un esercizio freddo, oculato, che non lascia alcuna concessione al racconto e si impone allo spettatore innanzitutto come invito a partecipare in qualità di sesto/settimo convitato – più che mai di pietra, petrificantesi, dato il lento, lentissimo incedere – alla riflessione foucaultiana su quell’infinito ipertesto che è la storia, ovvero il discorso faticoso che colma lo scarto tra la manifestazione dei rapporti di potere e l’occultamento dei loro effetti coercitivi, brutalizzanti.
Il problema (per altri, il pregio) di "Malmkrog" è proprio questo rifiuto radicale nell’avvicinare lo spettatore attraverso le malie del medium e dell’affabulazione, configurando un’esperienza estetica profondamente artificiosa per la quale, come giustamente notato anche dai suoi ammiratori, noia, dispetto, sonno e disagio sono parte integrante del piano. Lo stesso Puiu conferma in un’intervista a Filmcomment di essere perfettamente consapevole di aver realizzato un film che a molti riuscirà odioso, suscitando reazioni del tipo "Give me a break. Fuck off. Go to hell" (sic!). Non si tratta nemmeno della classica lentezza da Slow Cinema, ormai codificata da autori come Bela Tarr, Lav Diaz, Nuri Ceylan, Pedro Costa, Tsai Ming-liang. "Malmkrog" possiede sì la tendenza alla dedramatization, ovvero a preferire tempi morti, vuoti, allo sviluppo causale dell’azione, ma manca completamente il mind wandering, la noia contemplativa capace di alterare le percezioni affettive e indurre creatività, innescata dal libero indugiare dello sguardo lungo piani estesi, in larga parte vuoti, animati da poca o nulla azione diegetica, un elemento caratterizzante dello Slow Cinema (AAVV, "Inspired by Distraction: Mind Wandering Facilitates Creative Incubation" in Psychological Science 23.10: 1117–1122).
Di libero rimane ben poco allo spettatore, stritolato da una verbosità senza requie, impossibilitato per ore ad abbassare la soglia dell’attenzione, e la noia assomiglia piuttosto a quella che si patisce in una lunga conferenza priva di rinfresco. A un’opera tanto radicale era arduo non concedere la patente di autorialità, che consente di passare indenni tra le Scilla e Cariddi dell’esercizio di stile e della masturbazione intellettuale. La critica europea ne ha firmate una pletora; meno teneri i critici anglofoni, tra i quali Scott del NY Times che descrive "Malmkrog" come "a Chekhov play without drama, an Oscar Wilde farce without humor, a Visconti film without desire". Se invece vogliamo dirlo in italiano bastano sette parole. Ve ne do tre: "La corazzata Malmkrog…"
*Alla traslitterazione italiana (Solov'ëv) ho preferito quella inglese.
cast:
Frederic Schulz-Richard, Agathe Bosch, Marina Palii, Diana Sakalauskaute, Ugo Broussot, Istvan Teglas
regia:
Cristi Puiu
titolo originale:
Malmkrog
distribuzione:
Mubi
durata:
201'
produzione:
Bord Cadre Films, Cinnamon Film, Doppelganger, Film i Väst, Iadasarecasa, Mandragora, SENSE Producti
sceneggiatura:
Cristi Puiu, Vladimir Solovyov
fotografia:
Tudor Vladimir Panduru
scenografie:
Dinica Tiberiu
montaggio:
Dragos Apetri, Andrei Iancu, Bogdan Zarnoianu
costumi:
Oana Paunescu