Nel cinema di Pedro Almodovar è ricorrente il topos del ritorno (fisico o mentale) nei luoghi della propria infanzia: in "Dolor y Gloria" era emblematica l’immagine delle lenzuola stese al vento che riecheggiavano nella mente di Salvador Mallo (Antonio Banderas). In "Madres Paralelas", la memoria privata si coniuga con quella collettiva, aprendosi a una dimensione raramente toccata nei suoi film.
Madrid, 2016: Janis (Penelope Cruz), un’affermata fotografa quarantenne, è intenzionata a dissotterrare il cadavere del bisnonno, assassinato dai falangisti durante la guerra civile spagnola e gettato in una fossa comune insieme a molti altri uomini, rimasti desaparecidos. In questa sua missione, viene aiutata da un paleontologo forense, con il quale ha una relazione extraconiugale e una notte rimane per errore incinta. In ospedale, condivide così la sala parto con la minorenne Ana (Milena Smit), anch’essa in attesa di un figlio non desiderato. Lì le due si consolano a vicenda e stringono amicizia; dopo varie vicissitudini le loro strade finiranno per ri-incrociarsi.
A livello tematico, in "Madres Paralelas" ritroviamo un discorso ricorrente in Almodovar, quello relativo al valore delle immagini, a partire dai titoli di testa e di coda, che compaiono come impressi in una pellicola. Se Janis realizza servizi in cui immortalare modelle esteticamente perfette, metafora di una società devota all’apparenza, ben più pregnanza hanno le fotografie che l’unico sopravvissuto alla strage è riuscito a fare ai deceduti, tra cui lei ritrova anche il suo bisnonno. Come ne "Gli abbracci spezzati" (in cui "Madres Paralelas" era il titolo di uno script realizzato dal protagonista, il regista Mateo Bianco) le immagini servono per provare a riallacciarsi a un affetto perduto; e se Bianco toccava lo schermo in cui è proiettato il filmato che ritrae l’amante negli ultimi istanti di vita prima dell’incidente che ne avrebbe causato la morte, come a cercare di ristabilire un contatto divenuto ormai impossibile, allo stesso modo le due madri parallele digitano con accanimento sui volti di chi è distante visualizzati sul loro smartphone.
Nell’opus n. 23, lo stile del regista ha ormai trasceso le forme del cosiddetto "almodrama" e anche quello dello stesso melodramma, virando verso toni commoventi e duri, che si avvicinano a quelli di "Julieta", tessendo un’atmosfera pregna di liricismo e assumendo una compostezza che diremmo quasi classica, riecheggiata anche dalle soventi dissolvenze a cui ricorre. Le battute, i momenti comico/grotteschi si fanno sporadici, epurati anche dalle dinamiche metatestuali: resta, in tutto il suo impatto, un dramma di donne, segnate dall’abbandono e dalla violenza, piene di dolore ma anche strenuamente resilienti. Janis non ha mai conosciuto il proprio padre, un narcotrafficante colombiano, e, quando scopre di aspettare un figlio, decide di tenerlo mettendo da parte momentaneamente la carriera, al contrario dell’amante che compie la scelta opposta. Ana non conosce il padre della propria figlia: è stata stuprata da tre compagni di scuola, rinunciando a denunciarli su imposizione del proprio padre, venendo abbandonata prima da quest’ultimo e poi anche dalla madre, che la lascia sola per inseguire la propria vocazione teatrale, partendo per un tour fuori Madrid. Tra di loro, si crea un nucleo affettivo al di là del sangue.
Sul finale, a suggellare la loro unione un movimento di macchina passa in rassegna le donne riunitesi di fronte al capezzale del bisnonno, richiamando quello, in direzione opposta, che apriva "Volver". Così, riportare alla luce la memoria del bisnonno per Janis è sintomo del bisogno di riallacciarsi all’unica figura paterna positiva, colui che "non era scappato dalle milizie per non abbandonare la figlia e la moglie", disseppellendo il proprio passato così come quello di un’intera nazione, con cui ancora oggi la società civile fatica a confrontarsi, sollecitando Ana a non fare altrettanto.
"La Storia non può restare muta" recita un cartello alla fine del film: ed è allora il potere del cinema a ridare vita a quei corpi, per troppo tempo dimenticati.
cast:
Rossy de Palma, Julieta Serrano, Israel Elejalde, Aitana Sánchez-Gijón, Milena Smit, Penélope Cruz
regia:
Pedro Almodóvar
titolo originale:
Madres paralelas
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
120'
produzione:
El Deseo, Radio Televisión Española, Remotamente Films, Sony Pictures Entertainment
sceneggiatura:
Pedro Almodóvar
fotografia:
José Luis Alcaine
scenografie:
Vicent Díaz
montaggio:
Teresa Font
musiche:
Alberto Iglesias