Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
7.5/10

Nella Terra del Fuoco cilena c’è un’insenatura chiamata Bahía Inútil, così battezzata nell’Ottocento dal capitano Phillip Parker King, comandante del HMS Adventure, in considerazione del fatto che non garantiva possibilità di ancoraggio, né di riparo, né di qualsiasi altro vantaggio per il navigatore.
Il fatto che questo "Los colonos" sia prodotto dalla Cinema Inutile, casa di produzione indipendente nippo-americana, è sicuramente una curiosa coincidenza, visto che il film è ambientato proprio da quelle parti, nella Terra del Fuoco cilena. E in particolare vengono citate la località di Porvenir, che sta proprio a nord di quella baia, e la stessa Bahía Inútil, portata come esempio toponomastico del disprezzo riservato dagli uomini civilizzati a quelle regioni remote.
Eppure, inutilità e bellezza vanno spesso di pari passo, come abbiamo avuto modo di evidenziare già in altre occasioni. Ma in "Los colonos" non c’è spazio per la bellezza, se non quella degli straordinari paesaggi fuegini e patagonici che riempiono, con la loro inebriante desolazione, i campi lunghissimi che dedica loro Felipe Gálvez, al suo esordio al lungometraggio (la fotografia è di Simone D'Arcangelo, già d.o.p. di "Re Granchio", anch’esso ambientato in parte nella Terra del Fuoco).

Presentato nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2023, dove si aggiudicò il premio Fipresci della federazione internazionale della stampa cinematografica, "Los colonos" si innesta in quella tradizione dello pseudo-western sudamericano che ha avuto alterne fortune nei paesi dell’America latina, generando in certi casi dei veri e propri filoni (basti pensare al fenomeno del nordestern, il western ambientato nel sertão brasiliano).
Qui, a rigore, dovremmo essere in presenza di un eastern, anziché di un western, visto che la missione dei tre protagonisti della prima parte del film - un "tenente" di marina inglese riconvertitosi a fare il caporale per un ricco possidente cileno, un cowboy texano (guarda caso) e un meticcio di nome Segundo, originario dell’isola di Chiloé - è quella di trovare una via per l’Atlantico, invertendo dunque la tradizionale rotta che portava i coloni nordamericani a puntare verso le terre occidentali e verso il Pacifico. Ma qui non siamo in Nord America e i colonos non sono i pioneers, nonostante la presenza di almeno tre personaggi angloamericani che inevitabilmente dialogano nella loro lingua, che si alterna allo spagnolo del Sud America.

Il film si apre con una scena decisamente forte, che evidenzia quanto poco valesse la vita delle persone in quei luoghi e in quei tempi (siamo nel 1901): dopo un climax di montaggio che mostra i manovali a lavoro per costruire lo steccato di una estancia - una scena che peraltro rivela il passato e la perizia da editor del regista cileno (anche se ufficialmente il montaggio è a cura di Matthieu Taponier) - un salariato viene freddato dal tenente/caporale per aver perso un braccio ed essersi reso quindi inutile al lavoro. Un uomo vale meno del recinto che sta costruendo per salvare le pecore dalle razzie degli indigeni, dunque, e lo dice a chiare lettere il possidente Menéndez, che ha ricevuto dal governo una enorme dotazione di terre nel Sud del Mondo.
In Terra del Fuoco per raggiungere l’Atlantico via terra si deve passare necessariamente in territorio argentino, visto che l’Isla Grande è divisa tra i due paesi sudamericani da una linea che per un lungo tratto è perfettamente longitudinale, separando la parte orientale dell’isola da quella occidentale. Ed è proprio sul confine che i tre protagonisti si imbattono in un drappello di militari argentini che sta scortando un geografo incaricato di identificare e tracciare la linea che demarca le due nazioni. Si tratta di Francisco Moreno, il "Perito" che oggi dà il nome a uno dei ghiacciai più belli e famosi della Patagonia, interpretato da Mariano Llinás, che ha altresì collaborato alla sceneggiatura, portando nella pellicola un po’ dello spirito delle produzioni El Pampero Cine.
Moreno, che da uomo di scienza è avulso dai pregiudizi e dal razzismo di cui invece sono imbevuti i militari, esalta il suo assistente indio per i suoi tratti somatici, simbolo di una innata intelligenza che andrebbe sfruttata portando quei "selvaggi" a Oxford. Non è un caso, quindi, se l’indio viene soprannominato Jimmy, con un evidente omaggio al fuegino Orundellico, meglio conosciuto come Jemmy Button, che nel 1830 fu portato in Inghilterra per essere civilizzato e per poi far sì che, una volta tornato in patria, civilizzasse il suo popolo (ci tornò dopo circa un anno, accompagnato dal Beagle di Robert FitzRoy in cui si era imbarcato anche Charles Darwin, con esiti ben diversi da quelli sperati; ma questa è un’altra storia, che peraltro meriterebbe a sua volta un lungometraggio, il cui soggetto è già scritto: la prima parte dello straordinario romanzo "Ultimo confine del mondo" di E. Lucas Bridges).

Il tema dei rapporti tra bianchi e autoctoni (e meticci) è centrale in tutto il film: "Los colonos" è del resto un film sulle relazioni tra colonialismo, razzismo e (proto)capitalismo.
Se nella prima parte assistiamo alle questioni più "operative", vale a dire la missione sul campo che sfocia in una mattanza senza scrupoli di una tribù Selk'nam, con scena alla Peckinpah, nella seconda parte si affronta invece il giudizio su quei fatti, con una coraggiosa ellissi di sette anni che sposta l’ambientazione geografico-temporale: dal 1901 al 1908, dalla Terra del Fuoco alla città di Punta Arenas, dove il possidente Menéndez si gode le sue ricchezze, fino all’isola di Chiloé, dove Segundo è tornato a vivere con la moglie cercando di dimenticare il suo terribile passato.
Menéndez è incalzato da un politico della capitale che sembra voler far luce su quegli episodi di violenza, salvo poi invece rivelare la propria ipocrisia e la volontà di insabbiare quanto accaduto, pur dietro all’apparenza di un’indagine rigorosa. Lo sguardo silenzioso e furente dell’indigena, che si rifiuta di fare quanto gli viene richiesto, è catturato da una cinepresa degli esordi: lì finisce la Storia e comincia il Cinema.


10/02/2025

Cast e credits

cast:
Camilo Arancibia, Benjamin Westfall, Mark Stanley, Alfredo Castro, Mariano Llinas


regia:
Felipe Galvez Haberle


titolo originale:
Los colonos


distribuzione:
Mubi


durata:
97'


produzione:
Quijote Films, Rei Cine, Quiddity Films, Volos Films, Cine Sud Promotion, Snowglobe, Film I Väst, Fi


sceneggiatura:
Felipe Gálvez Haberle, Antonia Girardi, Mariano Llinás


fotografia:
Simone D'Arcangelo


scenografie:
Sebastián Orgambide


montaggio:
Matthieu Taponier


costumi:
Muriel Parra


musiche:
Harry Allouche


Trama
Terra del Fuoco cilena, 1901. Il tenente MacLennan si mette in missione per conto del proprietario terriero José Menéndez, per cercare una via che conduca all’Atlantico, in territorio argentino. La missione sarà un pretesto per perpetrare il massacro degli indigeni locali.