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recensione di Davide Spinelli
7.0/10

Per la prima volta in lingua inglese, Almodóvar adatta "What Are You Going Through" romanzo di Sigrid Nunez e si porta a casa il Leone d’Oro a Venezia 81. Da un lato, la sinossi è semplice: Martha (una Tilda Swinton di cui già si parla come favorita per la corsa all’Oscar), ex giornalista di guerra malata terminale, sceglie di ricorrere all’eutanasia, e chiede all’amica di un tempo, Ingrid (Julianne Moore), di accompagnarla negli ultimi giorni della sua vita. Dall’altro lato, la materia narrativa resta complessa, quella di un memoir, inchiesta, tanto escatologica quanto esistenziale. Il titolo, infatti, si rifà alla nota citazione da Simon Weil, “L’amore per il nostro prossimo nella sua pienezza significa semplicemente essere capaci di dire, che cosa stai attraversando?”.

La morte è la protagonista di "The Room Next Door". Sin dai primi dialoghi, infatti, una domanda - perché si muore? – sembra alimentare la storia. È un quesito tutt’altro che banale, perché guarda caso manca spiegazione scientifica condivisa a oggi (per la “morte naturale”). In ogni caso, questa domanda, sottende un colpevole preciso, il corpo, quello di Swinton, scavato in volto, coperto da vestiti lunghi e senza forma, a tendaggio. L’obiettivo è accentuare l’a-specificità della morte e al contempo respingere il lessico militare che spesso accompagna la narrazione contro il tumore, in stile opposto, per esempio, a quello di Susan Sontag. Si tratta di una suggestione anti-capitalista, che caratterizza la morte come antagonista dell’iper-consumo, dell’iperproduzione, come nei testi di Byung-Chul Han. La morte d'altronde è il grande omissis della società in cui viviamo.

La dimensione psicoanalitica della filmografia recente di Almodóvar torna allora utile e miscela colloquio e soliloquio come flusso di coscienza, accanto al classico tappetto musicale allodiegetico. Il regista plasma la confessione à la Bergman, sovrappone il tema dell’amicizia, in senso etimologico, ossia il concetto chiave nell’antica Grecia secondo cui il legame tra due persone è anzitutto fisico prima che dell’anima (l’amore platonico è infatti tutt’altro che senza eros). Martha e Ingrid, infatti, occupano panotticamente lo spazio, giocano a riempiere la messa in scena. Tuttavia, pare che Almodóvar sia in parte "vittima" della cosiddetta “relatività linguistica”, la teoria che sostiene (riassumendo) che il tipo di lingua che parli determini i tipi di pensieri che fai; ecco, la lingua inglese sembra a tratti irrisolta per il regista, come se le coordinate del suo cinema avessero cambiato posizione e non forma, un caso di allofonia diremmo sempre in linguistica, quando lo stesso suono ha diverse realizzazioni. Ciò che resta - gli evidenti contrasti cromatici, che regolano anche profilmico, costumi, testo e paratesto, come il quadro di Hopper – a volte stridono, appiattiscono l’intensità e l’emotività di un testo, quello del libro, frammentato, incoerente, discrasico. Almodóvar sembra affidarsi troppo a ciò che conosce, per poi ripeterlo a-criticamente a volte, come il patchwork della neve che cade (tratto dall’epilogo di “Eveline” di “Gente di Dublino”, libro preferito da Martha) che ritorna spesso nel film.

Il regista spagnolo, dunque, all’età di 74 anni, non trova l’epifania di “Dolor y gloria”. La tematica, però, è così stratificata, lavica, erosiva, che per molti aspetti sorregge da sé la pellicola, e, infatti, in tandem con le due interpretazioni superlative di Moore e Swinton, ha valso il Leone d’Oro (in un'edizione della Mostra che forse, a parte "The Brutalist", non ha visto grandi acuti). Nel gioco di campi e controcampi, le due attrici fondano una ritualità grezza, purissima, che ispessisce una narratologica fin troppo asciutta nei confronti del libro, e, parallelamente, conferisce alla pellicola la forza politica che rincorre. Anche nella scelta delle due protagoniste di ritrovarsi dopo tanto tempo. Ricorda un tema che Murakami, il romanziere cult giapponese, ha rubato a sua volta da Fitzgerald, quello che precede la solitudine, quando due persone, all’improvviso, senza apparente motivazione smettono di parlarsi. Succede in "Novergian Wood", nel "Grande Gatsby" per esempio. "The Room Next Door" è un film anche su questa domanda potentissima: "cosa sarebbe successo se?" Insomma, non perdersi, o farlo “anticipando il tempo”, come dice Martha, è una scelta politica.


08/09/2024

Cast e credits

cast:
Tilda Swinton, Julianne Moore


regia:
Pedro Almodóvar


titolo originale:
The Room Next Door


durata:
107'


produzione:
El Deseo (Agustin Almodóvar, Esther García)


sceneggiatura:
Pedro Almodóvar


fotografia:
Edu Grau


scenografie:
Inbal Weinberg


montaggio:
Teresa Font


costumi:
Bina Daigeler


musiche:
Alberto Iglesias


Trama
Ingrid e Martha erano care amiche da giovani, quando lavoravano per la stessa rivista. Ingrid è poi diventata una scrittrice di romanzi semiautobiografici mentre Martha è una reporter di guerra e, come spesso accade nella vita, si sono perse di vista. Non si sentono ormai da anni quando si rivedono in una circostanza estrema ma stranamente dolce.