Alle soglie dei cinquanta film, cosa potrai mai dirci di nuovo
Woody Allen? In verità ben poco e il regista è il primo ad averne coscienza se il suo cinema si ripresenta, a cadenza annuale, non soltanto come una eterna variazione sui temi già affrontati, ma come un reiterato scavo nell'essere umano di cui illustra di volta in volta i sentimenti, le nevrosi, la morale e il disarmante vuoto di senso che si nasconde tra le pieghe della normalità. La sua filmografia costituisce un
corpus di opere di cui si possono riconoscere le sezioni e le diverse stagioni compositive, discriminando tra i capitoli ispirati e quelli meno riusciti, ma l'unitarietà è indiscutibile.
Ginny (Kate Winslet nell'ennesima intensa performance sfoderata da un'attrice per Allen) è una cameriera che, da giovane, ha avuto una breve carriera di attrice di teatro. Humpty (Jim Beluschi) è il suo rozzo marito, che lavora alle giostre di Coney Island. Si sono conosciuti cinque anni prima, quando erano due alcolizzati alla deriva e si sono fatti forza vicendevolmente. Sarebbe una bella storia, ma non è quella che interessa al regista: narrato dal bagnino Mickey (Justin Timberlake), il plot si dispiega attraverso una serie di incastri che rimodulano il racconto, ampliando le angolazioni e le implicazioni che intercorrono tra i protagonisti. Il bagnino sottolinea come la sua aspirazione sia quella di essere un grande drammaturgo e come, per natura, sia incline al romanticismo: dunque, Mickey interagisce inizialmente col pubblico posizionandosi sulla soglia dell'azione e dando il la al racconto. Ad esempio, è lui che introduce l'entrata in scena di Carolina (Juno Temple), figlia di primo letto di Humpty, scappata anni prima con un gangster che ora la sta cercando - poiché l'ormai ex moglie ha fatto "il canarino" con l'FBI. Successivamente, però, il ragazzo rivela di avere una relazione con Ginny che ripercorriamo in un flashback: Mickey, tutt'altro che un osservatore esterno, è invischiato nella storia, interpretando un ruolo di cui non arriva a prevedere le conseguenze. In una scena dal carattere simbolico e profetico scenderà dalla sua postazione di bagnino, soprelevata rispetto agli astanti, per parlare con la giovane e bella Carolina: lui stesso si rende conto che il Caso gli sta giocando un tiro inaspettato. In questo quadrilatero di caratteri, s'inserisce una nota stonata, un personaggio che pur restando ai margini è spesso presente: si tratta di Richie, il figlio di Ginny avuto dalla relazione con un affascinante jazzista (il cui ritmo risuona ancora nella testa della donna), scomparso nel nulla dopo aver scoperto il di lei tradimento. Richie, somigliante fisicamente a molti degli alter ego infantili di Allen, è un piromane che ama il cinema: la sala è l'unico luogo nel quale è tranquillo, fuori è una bomba a orologeria che prima o poi manderà in fumo tutto quanto. Nessuno sa quali siano le ragioni del suo comportamento e le sue azioni rimarranno prive di senso e inspiegabili fino alla fine. D'altra parte, il male e l'azione malvagia non hanno sempre una spiegazione razionale. Curioso che il parco di divertimenti di Coney Island, quando il film è ambientato (verosimilmente all'inizio degli anni 50), fosse già stato danneggiato da un incendio.
Lontano dalla borghesia intellettuale newyorkese, Allen perde il gusto per la battuta fulminante e per la satira, ma ritrova l'abilità artigianale dello scrittore che, per mezzo di un intreccio semplice ma solido, realizza con "La ruota delle meraviglie" un altro drammatico ritratto al femminile, nel solco dei classici "Interiors" e "Un'altra donna". Nella riuscita del quarantottesimo lungometraggio è significativo il contributo della fotografia di Vittorio Storaro, il quale lavora ancora sul digitale: Storaro ha operato, almeno stando al piano visivo, una vera e propria resurrezione del cinema alleniano, ormai ripiegato in una pigrizia che confinava, talvolta, con la sciatteria (si pensi ai lunghi dialoghi risolti in piani fissi in campo medio di "
Magic in the Moonlight"). Le sontuose e artificiali luminescenze fotografiche che rimandano sia al melò
sirkiano che alla sua rielaborazione contemporanea, ossia al lavoro di Ed Lachmann per Todd Haynes ("
Lontano da Paradiso"), hanno un ruolo primario nell'elaborazione cinematica del film: infatti, la ricostruzione dell'affollata spiaggia di Coney Island e il colorato parco di divertimenti fanno da sfondo senza mai diventare soggetto dell'inquadratura che predilige la spiaggia o il celebre
boardwalk quando sono deserti, e i set-décor sono spiccatamente teatrali, spazi (quasi sempre angusti) nei quali i personaggi si muovono anticipati o seguiti da una mobilissima cinepresa che sfrutta al meglio il
long take. Se la diversità della palette cromatica in "
Café Society" aveva una funzione prevalentemente narrativa, in "Wonder Wheel" ha una risonanza strettamente emotiva: le immagini si accendono di chiaroscuri caravaggeschi, inoppugnabile firma di Storaro, del blu della notte e della solitudine e, in particolare, di un rosso fuoco correlato ai momenti romantici o autenticamente passionali in cui Ginny si sente finalmente protagonista, ora di un romanzo d'amore, talora, di un grande dramma teatrale.
Se il riferimento a Tennessee Williams è scontato, dopo la riscrittura di "
Un tram che si chiama desiderio" operato in "
Blue Jasmine", emerge come ulteriore ispirazione letteraria il nome di Eugene O'Neil e senza dubbio questo lavoro è scritto all'ombra dei due grandi drammaturghi americani. Anche la bassa estrazione dell'ambientazione acuisce il senso di disagio di fronte alle traversie di personaggi che non sono mai stati protagonisti; se ad Humpty per divertirsi è sufficiente andare a pesca, Ginny percepisce la realtà che vive quotidianamente come estranea: "Recito una parte, la parte di una cameriera" confessa a Mickey per prendere le distanze da ciò che potrebbe apparire dall'esterno. Mickey è disponibile alle eventualità che la vita gli offre, non ritraendosi perché crede che grazie alle esperienze potrà scrivere una vera pièce: in realtà, non si discosta dagli altri personaggi ed è il perfetto contraltare di Carolina, ragazza ingenua sposatasi giovanissima con un gangster per il brivido della trasgressione e costretta a nascondersi a casa del padre per non venire raggiunta dai sicari che la stanno cercando. Se volessimo trovare una traiettoria, una parabola ne "La ruota delle meraviglie" sarebbe sicuramente la scoperta del male da parte di un drammaturgo senza talento. Male che non ha nulla di tragico o di eroico, niente a che vedere con la fredda pianificazione di un omicidio di "Crimini e misfatti", "
Match Point" o "
Sogni e delitti". Qui il male è privo del solito oscuro fascino ma si sviluppa nella gratuità di un gesto immorale che, qualsiasi cosa provochi, non sembra cambiare lo stato delle cose. Come la ruota delle meraviglie che continua a girare e a girare, nella vita, non potendo scendere si continua ad andare avanti chiudendo gli occhi per paura di scorgere il proprio fallimento.
Nel finale, dopo la scena madre recitata dalla strepitosa Winslet tra vecchi vestiti di scena riesumati, accensioni cromatiche ed esplosioni in primo piano, Mickey esce di scena e la donna resta sola finché non rientra il povero marito: ecco che la fotografia si fa improvvisamente realistica, dalla wonder wheel non penetra nessun riverbero. Col solito pessimismo, Allen fa calare il sipario sullo spettacolo e lascia Ginny e Humpty a continuare la recita della loro vita. Spenti i brillanti colori del cinema, riemerge lo squallore della realtà.
15/12/2017