"Blue Jasmine", nuova pellicola di Woody Allen, è certo una singolare evoluzione del convenzionale approccio piacevolmente sarcastico, a lui peculiare. Il regista, intellettuale newyorkese per antonomasia, ha infatti abbandonato nel suo nuovo film quel tocco leggero e autoironico, tipico della sua satira sociale, più volte legata a una acuta riflessione meta-cinematografica (ne sono un esempio "Hollywood Ending" o "La rosa purpurea del Cairo"). La svolta artistica è sicuramente frutto di un cambiamento notevole di prospettive, che non tocca solo l'ultimo lavoro dell'autore, ma che ne caratterizza da anni la produzione. Emblematico risulta allora "Match Point", in cui la precedente centralità della sceneggiatura, della verve dialettica, è abbandonata per una maggior problematizzazione psicologica: il risultato è un thriller che declina nello spietato e acre esame della ascesa sociale, nella constatazione del contrasto tra amore e interesse.
La medesima visione fosca dei rapporti interpersonali, la dominanza di falsità, opportunismo ed egoismo vigono anche in "Blue Jasmine", in cui all'implicito imperativo homo homini lupus si aggiunge l'altalenante status di follia della protagonista, Jasmine. La donna, elegante dama dell'alta società newyorchese, dopo il tracollo finanziario del ricchissimo e disonesto marito, è costretta a ripiegare nella dimessa abitazione della sorella a San Francisco, dove si trasferisce nel tentativo di ricostruirsi una vita. Lungi dal rispecchiare, dopo la caduta, la rimonta tipica dell'eroe americano, il film è senza dubbio privo non solo di ottimismo, ma anche della benché minima speranza di redenzione: Jasmine, personaggio snervante e spocchioso, ripete sempre il medesimo errore, mentire e preporre solo aspetti materiali, fino al fallimento, alla totale perdita della ragione. Cate Blanchett, seppure dalla recitazione decisamente caricata, crea nello spettatore il giusto senso di fastidio e crescente avversione verso colei che interpreta.
Il simpatico ossessivo compulsivo alleniano diviene allora la sua cupa controparte femminile, assai affine alla Blanche Dubois di "Un tram che si chiama desiderio" firmato nella sua versione filmica da Kazan, ma precedentemente ideato per il teatro da Tennessee Williams. L'analogia con la pièce teatrale (e con la sua resa cinematografica) non si limita alla caratterizzazione del personaggio principale, diversi aspetti della trama sono decisamente affini: sebbene con le debite differenze si ripresentano in "Blue Jasmine" il trasferimento iniziale ed il fallimento amoroso della protagonista, la relazione della sorella con un uomo rozzo e l'epilogo del tutto pessimistico. Se l'eroina di Williams risulta però, almeno in buona parte, incolpevole del suo destino, in Allen traspare meno indulgenza per la donna, la cui pazzia e rovina paiono essere una meritata ricompensa al suo operato: vi è una latente condanna a tutto un sistema valoriale, alla sua vacuità.
Anche il montaggio, nella strutturazione diegetica, ribadisce la mancata metamorfosi del personaggio centrale: Jasmine ottunde nei suoi difetti, in una climax d'insoddisfazione e autonegazione, fino allo stravolgimento della personalità. L'affinità tra presente e passato, tra San Francisco e New York, è confermata da un abile uso degli strumenti filmici, creando un sottile parallelo con la situazione interna al personaggio: la normale divisione cronotopica, la distanza tra periodi e luoghi tra loro diversi è nel film del tutto annullata. Le digressioni non sono introdotte da alcuna cornice, ma si alternano liberamente nella narrazione, di norma anticipate solo da un elemento semantico, una parola, un sintagma che nel presente per affinità insinua un ricordo passato. La menzione della frode alla sorella, del tradimento, del profumo francese aprono altrettante parentesi visive nello svolgimento della trama, in un disvelamento lento ma costante del passato di Jasmine, della sua reale natura che via via si rivela sempre più meschina.
L'occhio giudicante del regista non si limita però alla sola protagonista, seguendo un trend ormai alquanto inflazionato (almeno dal tracollo di Lehman Brothers del 2007) è aperta a latere una critica alla realtà finanziaria americana. Perfetto rappresentante di essa è il truffaldino marito di lei, Hal, trasposizione filmica di Madoff ed interpretato abilmente da Alec Baldwin. Se l'argomento non risplende certo per originalità, s'inserisce comunque intelligentemente nelle dinamiche della vicenda: il ricco ambiente sociale legato alle speculative élite finanziarie è sicuramente lo sfondo perfetto per la amorale e frivola Jasmine.
Per quanto la visione lasci nel pubblico un considerevole senso di angoscia e nonostante i personaggi siano tutt'altro che nobili, la performance degli interpreti, le capacità tecniche del regista ed un intreccio ben ponderato rendono la pellicola più che fruibile: dalla fusione di un dominante modello teatrale e dell'abusato dramma da alta finanza è dunque scaturita un'opera dal valore tutt'altro che trascurabile.
cast:
Cate Blanchett, Alec Baldwin, Bobby Cannavale, Louis C.K., Andrew Dice Clay
regia:
Woody Allen
titolo originale:
Blue Jasmine
distribuzione:
Sony Pictures, Warner Bros.
durata:
98'
produzione:
Perdido Productions
sceneggiatura:
Woody Allen
fotografia:
Javier Aguirresarobe
scenografie:
Santo Loquasto
montaggio:
Alisa Lepselter
costumi:
Suzy Benzinger
musiche:
Christopher Lennertz