"Si chiama profezia dell'armadillo qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli".
La vicenda di Zero si fonda tutta su tale profezia, su questa duplicità frustrante: sull'incontro-scontro tra soggettività e obiettività, tra l'energia cinetica dell'ideale (politico, sociale o artistico che sia), e l'irremovibile peso statuario della realtà. La vita nel quartiere di Rebibbia, alla periferia di Roma, si traveste di leggende, di sogni e di utopie, di scheletri di mammut occultati e di ribellioni giovanili. Zero costruisce la sua esistenza su valori cui è necessario attenersi con ligia ortodossia in ogni ambito del quotidiano, su un sistema di regole precise dettate da una fede cieca in un mix di rivoluzione proletaria e anarchia punk: dalla repulsione per il centro storico, all'imprescindibilità di Kassovitz, passando per gli
zombie di Romero. Se scaviamo in profondità e abbandoniamo le sovrastrutture, rimane, a far da sfondo a tutto ciò, la certezza che esista una giustizia, un Giusto in sé a cui puntare e verso cui dirigersi: bisogna guardare al bene e al male, il concetto di "legale" a quel punto passa in secondo piano, spiega Zero durante le ripetizioni.
Ma in questo disegno ben architettato si intravede a un certo punto una falla, un elemento che non si riesce a collegare al resto del sistema e che dunque mina il sistema stesso: la morte di Camille, vecchia amica e primo amore inconfessato di Zero, trasferitasi da anni a Tolosa e consumata dall'anoressia. Ecco il peso della realtà che contrasta l'ideale, ecco lo scontro, ecco la profezia dell'armadillo. La notizia della morte di Camille arriva come una sassata, perché sì: davanti ai corpi tumefatti degli scontri armati tra studenti e polizia sappiamo come reagire, sappiamo arrabbiarci, sappiamo ancora identificare una giustizia da perseguire; ma davanti a una morte inattesa, davanti alle membra scheletriche di Camille non possiamo insorgere, non possiamo ribellarci, non possiamo dare la colpa a nessuno. Non c'è un "giusto" a cui rivolgerci, presso cui consolarci, c'è soltanto la fredda realtà, dura e apparentemente insensata, che ci si pone davanti.
"La profezia dell'armadillo" in questo senso diventa romanzo di formazione,
sui generis, perché non dà una soluzione, ma pone la domanda. Non si arriva alla fine a una sintesi, ma lo scontro si gioca tutto nell'antitesi succitata tra idealità e realtà e nell'implicita considerazione che, per vivere, ci servono entrambe.
La drammaticità di questo scontro, unita alla capacità di inserire le vicende in una cornice comica, fatta di gag spassose e di personaggi strampalati, capaci di donare leggerezza al tutto, era già una caratteristica dell'omonima graphic novel di Zerocalcare, da cui il film è tratto, che aveva dato il
La alla fortunata carriera del suo autore.
A partire da ciò Scaringi riesce a confezionare un film che si discosta il giusto dal materiale di partenza, introducendo alcune scene nuove e modificando alcuni dettagli, ma che tutto sommato rimane fedele nelle atmosfere e nei personaggi al fumetto, grazie anche alla scelta di attori (Simone Liberati e Pietro Castellitto) ben calati nelle parti di Zero e dell'amico Secco.
Il pezzo forte sta poi nella resa dell'armadillo, coscienza critica di Zero, interpretato da un Valerio Aprea (il latinista di "
Smetto quando voglio") travestito con una maschera imperfetta e casereccia, che ci risparmia il pericolo di una computer grafica malfatta e fastidiosa: meglio un costume casalingo, che degli effetti speciali inefficaci e banali.
A ben vedere "La profezia dell'armadillo" non era così facile da rendere sul grande schermo, data l'assenza di una vera e propria trama, la struttura spezzettata della narrazione, l'incontro di realtà e fantasia. Possiamo allora dire che, pur senza grandi slanci artistici, l'obbiettivo è stato raggiunto, ma il merito del film resta forse un po' troppo legato alla penna di Zerocalcare e non credo che esso abbia la forza per regalarci, in futuro, un eventuale "capitolo secondo".