Non serve avere una conoscenza profonda della storia del cinema per sapere che i franchise sono sempre stati un elemento costitutivo dell'industria hollywoodiana, a partire dai vari serial avventurosi degli anni 10, passando attraverso i grandi successi dell'Età dell'oro e le produzioni di Roger Corman e affini. Fra tutte queste produzioni una certa rilevanza spetta ai film Universal con protagonisti vari mostri ricavati da tutto l'immaginario orrorifico dei 150 anni precedenti, anticipanti, per così dire, l'ossessione contemporanea per il
crossover, così come l'inserimento di elementi comici in narrazioni seriose e di genere (i vari "Abbott and Costello Meet"), nonché, si potrebbe insinuare, una certa piattezza estetica e la scarsa efficacia drammaturgica delle sceneggiature (perlomeno nelle produzioni più tarde). E pertanto poteva la medesima major, in quest'epoca di "universi espansi" e "transmedia storytelling", esimersi da rielaborare quanto fatto tra anni 30 e 50?
No, di certo, come si evince dal logo "Dark Universe" che riempie lo schermo ancora prima che il film (e la saga) inizi e la cui transizione è probabilmente la cosa più interessante del prologo della pellicola, tra logorroici flashback che descrivono gli artefatti della vicenda e la stereotipica presentazione da
buddy movie del divo Cruise e dell'ignavo coprotagonista Jake Johnson. Miliziani nerovestiti appellati semplicemente come "ribelli" e bombardamenti con droni sottolineano il
setting contemporaneo della vicenda, il quale però non viene sfruttato per inserire nessun possibile nuovo spunto tematico ma si limita a privare questa versione de "La Mummia" dell'efficace per quanto grossolano esotismo del precedente
reboot del '99 (che a posteriori non è difficile considerare come parziale precursore, con inferiori intelligenza e classe, de
"La maledizione della prima luna"). Unica differenza meritevole di citazione, oltre all'organizzazione di "cacciatori di mostri" capeggiata da Henry Jekyll (!), è l'antagonista, dai trascorsi ancor più fumosi e velleitari del povero Imhotep e stavolta di sesso femminile per adeguarsi agli standard della Hollywood contemporanea, ben rappresentati dal mediocre
"Wonder Woman" di Patty Jenkins.
Dopo l'abbandono, evidente proprio a partire da quest'ultimo film, del
mood cupo e serioso che aveva precedentemente caratterizzato le produzioni Warner/DC, optando per criteri estetici più vicini a quelli della "rivale" Disney/Marvel, il panorama mainstream contemporaneo pare ormai privo di opere che in un qualche modo divergano da quelli. La speranza che il Dark Universe si opponesse effettivamente a questa standardizzazione sfuma però già dopo pochi minuti di pellicola con i già citati siparietti dei due protagonisti maschili e i doppi sensi da scuole medie (pardon, elementari) che introducono la protagonista femminile Annabelle Wallis. Seguendo la scia del predecessore (illegittimo) "Dracula Untold", in origine iniziatore del DU, il film di Kurtzman (regista quanto mai discutibile, eppure produttore di serial interessanti come "Fringe" e da tempo sodale di J.J. Abrams) sposa l'estetica PG-13 degli
action coevi, quella delle carneficine senza sangue e pathos e degli scontri tra superumani. In effetti sono proprio quest'ultimi a rappresentare al meglio la deriva di questo macrogenere con il loro caotico tripudio di CGI e la mancanza di drammaticità determinata dalla condizione divina o quasi dei combattenti. Adottando nel prefinale anche questo cliché "La Mummia" si conferma nulla più di una delle tante varianti di questo genere produttivo e rivela come il Dark Universe non abbia probabilmente molto da dire che non sia la brama della Universal di un posto nell'arena della transmedialità. Al botteghino l'ardua sentenza (il cui responso pare già essere piuttosto negativo).