In “La grande partita” la storia di Bobby Fischer (Tobey Maguire), uno dei più grandi scacchisti di ogni tempo, viene colta durante la sfida per il titolo mondiale svoltosi nell’epocale scontro con il campione sovietico Boris Spassky (Liev Schreiber) tenutosi a Reykjavík in Islanda nel luglio e agosto del 1972 su 24 partite.
Dirigere un film sul mondo degli scacchi non è un’impresa facile: un ambiente chiuso ed elitario, crudele psicologicamente, dove per giocare ad alti livelli bisogna rinunciare a tutto. Uno scacchista ha una vita dettata dalle 64 caselle della scacchiera che diventa campo di battaglia continua, sfida contro se stesso e l’avversario. La nascita del gioco degli scacchi si perde nella notte dei tempi (originatisi in India intorno al VI secolo e arrivato in Europa intorno all’anno Mille), un gioco che rappresenta lo scontro cruento dei terreni di battaglia riproducendolo sulla scacchiera. Un modo di continuare la guerra tra popoli senza spargimenti di sangue, dove si sfidano intelligenze in strategie e tattiche complessissime: dopo l’apertura - le prime quattro/cinque mosse -, le varianti del gioco possono essere miliardi, quanto le stelle nella galassia, esemplificativo di quello che una partita di scacchi possa essere. Un tema ostico per uno spettatore che non sia un appassionato o conosca un minimo le regole e le dinamiche.
Per questo il regista Edward Zwick sceglie un taglio psicologico e storico, trasformando lo scontro di Fischer e Spassky come la continuazione della Guerra Fredda tra Usa e Urss che imperversava in quel determinato periodo storico. In tutto lo sviluppo diegetico di “La grande partita” si ripetono richiami allo scontro politico tra le due superpotenze dell’epoca e Bobby Fischer era l’araldo solitario contro lo strapotere sovietico nel gioco. Del resto, le varie guerre che si combattevano nel mondo (a cominciare da quella del Vietnam), la competizione dell’esplorazione dello Spazio, il confronto sociale tra capitalismo liberale e socialismo sovietico sono continuate negli scacchi e Fischer diventa ben presto il campione americano che doveva difendere l’american way of life contro la minaccia del comunismo. Un mondo chiuso, dicevamo, e infatti, Zwick interpola la narrazione privata con brevi sequenze, in un montaggio veloce, con gli accadimenti dell’epoca, scegliendo il formato televisivo, che era esterno alla vita di Fischer completamente dedito al gioco fin da bambino. Ma è anche la messa in scena della forza mediatica della televisione che riusciva a rilanciare e fagocitare qualsiasi notizia ingigantendola. E Fischer, oltre a esser un geniale scacchista, fu anche il primo che comprese la potenza della televisione e la popolarità che da essa ne derivava, esigendo e ottenendo maggiori compensi economici.
Ma oltre a questo, il regista americano, punta molto sulla rappresentazione del personaggio Fischer, uomo che era affetto da paranoia e da manie ossessive, che dopo la conquista del titolo mondiale esplosero, portandolo a una vita da barbone, persino cacciato da quel paese che prima lo osannava e poi lo costrinse a vivere i suoi ultimi anni in esilio proprio in Islanda (dove muore il 17 gennaio del 2008), dopo che nel 1992 andò a giocare un torneo in Jugoslavia, sottoposta a embargo, e si scontrò con il Dipartimento di Stato Usa che gli aveva proibito di giocare nei paesi Balcanici.
Ma al di là del tema storico-politico, “La grande partita” lo si può leggere come un ritratto sul labile confine tra genialità e follia. Fischer probabilmente era affetto da una forma di nevrosi e la monomania per gli scacchi era l’elemento principale dove la sua follia si tramutava in genio. Tobey Maguire (interprete degli “Spiderman” di Sam Raimi) riesce mirabilmente a disegnare la complessa personalità del personaggio con un’interpretazione che rasenta il mimetismo, lavorando non solo sui gesti, ma soprattutto sullo sguardo, sia verso il mondo esterno sia verso l’universo della scacchiera, trasformando il corpo attoriale in un’icona dell’uomo solo, dove genialità e follia convivono.
Edward Zwick (autore di film mainstream come “L’ultimo samurai”, “Glory”, “Vento di passioni”, “Blood Diamond”) si circonda di un cast di eccellenti caratteristi e utilizza la fotografia desaturata di Bradford Young, riuscendo a ricostruire l’atmosfera degli anni 60. E partendo da un incipit che mette in scena un Fischer immerso nella paranoia di essere spiato dai russi, mentre smonta la camera della casa a Reykjavík, compie un lungo flashback composto da brevi sequenze che raccontano il cammino del campione americano fin da bambino, quando compie i primi passi nel mondo degli scacchi, il suo difficile rapporto con la madre e la sorella maggiore e la sua ascesa al successo, in un montaggio sincopato. Anche la messa in quadro è funzionale allo sviluppo della psicologia del protagonista, utilizzando primi piani distorsivi o dettagli del volto e del corpo per comunicare allo spettatore la follia che il giocatore viveva.
Un film, insomma, che può interessare un pubblico generalista, - distribuito in Italia direttamente in home video due anni dopo la sua uscita - non necessariamente esperto (anche perché alla fine il gioco degli scacchi diviene un volano per raccontare anche altro).
La sequenza finale, dove sono montate delle immagini del vero Bobby Fischer invecchiato, si può collegare idealmente al bellissimo documentario “Bobby Fischer Against The World” di Liz Garbus di cui suggeriamo una visione – o prima o dopo aver visto “La grande partita” - per chi volesse approfondire la vita di uno dei più grandi e geniali giocatori della storia millenaria dell’affascinante e immortale gioco degli scacchi.
cast:
Tobey Maguire, Liev Schreiber, Lily Rabe, Peter Sarsgaard, Michael Stuhlbarg
regia:
Edward Zwick
titolo originale:
Pawn Sacrifice
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
114'
produzione:
Gail Katz Productions, MICA Entertainment, Material Pictures, PalmStar Entertainment, PenLife Media
sceneggiatura:
Steven Knight
fotografia:
Bradford Young
scenografie:
Isabelle Guay
montaggio:
Steven Rosenblum
costumi:
Renée April
musiche:
James Newton Howard