Con quasi due anni di ritardo viene distribuito in Italia “L’uomo dal cuore di ferro” di Cedric Jimenez che narra l’ascesa di Reynard Heydrich a capo delle SS fino alla sua uccisione il 27 maggio del ’42 da parte di un gruppo di soldati cecoslovacchi a Praga.
La figura di Heydrich e l’operazione militare che ha portato alla sua uccisione sono il soggetto di altre cinque pellicole nel passato, fin da subito dopo la sua morte, con “Anche i boia muoiono” di Fritz Lang e “Il pazzo di Hitler” di Douglas Sirk, girate nel 1943, basate su notizie e informazioni ancora lacunose degli eventi. “L’uomo dal cuore di ferro” è l’ultimo in ordine di tempo, tratto dal romanzo di Laurent Binet, “HHhH”, - acronimo di “Himmler’s Hirn heißt Heydrich,” in italiano “Il cervello di Himmler si chiama Heydrich” – vincitore del premio Goncourt come miglior romanzo d’esordio. Il regista francese compie una ricostruzione storica sviluppando la pellicola su due linee narrative distinte. Così abbiamo la descrizione della storia personale di Heydrich (interpretato da Jason Clarke) da ufficiale della marina tedesca, alla sua espulsione con ignominia, al matrimonio con Lina (appartenente a una ricca famiglia decaduta dopo la crisi del ’29), tra le prime iscritte al neonato partito nazista e ammiratrice di Hitler, che introduce il marito alla corte di Himmler. Heydrich compie una carriera che lo porta a essere protagonista dell’ascesa del nazismo in Germania, arrivando a essere nominato, appunto, capo delle SS, del servizio segreto nazista e della Gestapo, la polizia politica del Reich.
Heydrich è stato il fautore della “soluzione finale” dello sterminio degli ebrei e spietato governatore della Boemia e Moravia durante la Seconda Guerra Mondiale. La descrizione psicologica è resa in modo molto puntuale, un uomo figlio di musicisti, che sapeva suonare il piano e il violino, ma allo stesso tempo senza nessun freno morale e dedito lucidamente all’assassinio di massa di un intero popolo. La violenza fisica e morale è il tratto caratteriale che viene messo in luce e fa da contraltare con le scene familiari, in particolare con i figli. Il rapporto con la moglie (Rosamund Pike in una prova molto accademica) si ribalta nell’evoluzione della narrazione: se dapprima Lina è la figura forte che dietro le quinte crea la carriera politico-militare del marito, al momento dell’affermazione di Heydrich nelle file naziste arriverà a minacciarla di morte se s’intrometteva ancora nell’attività segreta che compiva agli ordini di Himmler.
La seconda linea narrativa si svolge da metà film illustrando la preparazione dell’Operazione Anthropoid, organizzata a Londra dal governo cecoslovacco in esilio insieme agli inglesi. Sono così rappresentati i giovanissimi Jozef Gabčík e Jan Kubiš, paracadutisti cecoslovacchi e protagonisti dell’azione dell’eliminazione di Heydrich. “L’uomo dal cuore di ferro” poi racconta il sacrificio dei giovani resistenti che saranno uccisi dopo un sanguinoso scontro a fuoco avvenuto in una chiesa e la feroce rappresaglia delle SS che sterminarono l’intera popolazione di due villaggi nei dintorni di Praga solo per il sospetto della presenza di parenti di soldati cecoslovacchi.
“L’uomo dal cuore di ferro” ha una struttura asincronica: inizia con Heydrich che esce dalla sua casa a Praga per dirigersi alla sede del governatorato al Castello e l’inizio dell’azione da parte dei due soldati; con uno stacco improvviso ci ritroviamo nel 1929 con Heydrich ufficiale alla base navale e la narrazione della sua ascesa fino al giorno della sua morte. Altro stacco e ci ritroviamo alla base dei soldati cecoslovacchi in Scozia e da qui parte la visione dell’organizzazione dell’intera operazione fino al giorno dell’attacco. Da questo momento in poi inizia una terza parte finale che mette in scena il sacrificio dei due giovani, dei loro compagni e della popolazione.
La forza e il limite di un film come “L’uomo dal cuore di ferro” è proprio nel suo essere didattico, nel suo voler dire tutto nei minimi dettagli, nella sua ricostruzione storica. La materia magmatica e complessa sembra a tratti voler implodere su se stessa e dal punto di vista cinematografico l’impianto scenico appare quello di uno sceneggiato a puntate sintetizzato in due ore di film.
Se la scelta della messa in serie delle linee narrative non è convincente fino in fondo, quello che lascia perplessi è la simbologia messianica dei salvatori fin troppo insistita da parte del regista francese, come, ad esempio, l’immagine della croce nella chiesa dello scontro finale oppure il dettaglio della corona del rosario che galleggia nell’acqua dopo il suicidio dei due soldati prima di cadere nelle mani del nemico. Certo, però, rimane meritorio, da parte di Jimenez la messa in scena della normalità della nascita dell’orrore, rappresentato da un uomo come Heydrich, emblema di quella “banalità del Male” descritto da Hannah Arendt. Un monito per non dimenticare come il Male alligni ovunque e sia sempre presente e che il pericolo del ritorno di questi orrori non sia poi così lontana, ma è sempre pronta a ripresentarsi.
cast:
Jason Clarke, Rosamund Pike, Mia Wasikowska, Jack O Connell, Jack Reynor
regia:
Cédric Jimenez
titolo originale:
HHhH
distribuzione:
Videa
durata:
119'
produzione:
Film Nation Entertainment, Echo Lake Entertainment, Lantern Entertainment, The Weinstein Company, Lé
sceneggiatura:
Audrey Diwan, David Farre
fotografia:
Laurent Tangy
scenografie:
Jean-Philippe Moreaux
montaggio:
Chris Dickens
costumi:
Olivier Beriot
musiche:
Guillaume Roussel