Il nuovo film di Hirokazu Kore-eda sta venendo distribuito in Italia con il discutibile titolo "L'innocenza". Quello originale è "怪物" ("Kaibutsu"), ossia "mostro", traduzione fedelmente usata anche per il mercato anglofono ("Monster").
Il dispiegamento di forze messe in campo per realizzarlo è stato impressionante. Si è trattato del suo primo film in giapponese dai tempi di "万引き家族" ("Manbiki kazoku", in Italia: "Un affare di famiglia") del 2018, dopo due produzioni internazionali, nonché del secondo di cui non ha firmato la sceneggiatura dai tempi di "幻の光" ("Maboroshi no hikari", in Italia: "Maborosi"), che segnò il suo debutto nel 1995.
Lo sostituisce alla scrittura colui che ha ideato il progetto, Yuji Sakamoto, uno dei più grandi autori che la televisione giapponese abbia avuto a disposizione negli ultimi trentacinque anni, firmatario di drama quali "Tokyo Love Story" (1991), "Mother" (2010), "それでも、生きてゆく" ("Soredemo, ikite yuku", 2011) e "Quartet" (2017), tutti considerabili fra le migliori serie delle rispettive epoche. La fotografia è curata da Ryuto Kondo, che oltre ad aver già collaborato con Kore-eda in "Manbiki kazoku", è stato al servizio di registi di spicco quali Shuichi Okita e Nobuhiro Yamashita.
Il cast è di livello altissimo, con il coinvolgimento di Sakura Ando (già protagonista di "Manbiki kazoku" e nota ai cinefili occidentali sin da "Love Exposure" di Sion Sono), Eita Nagayama (che ha lavorato in diversi drama scritti da Sakamoto) e la leggendaria Yuko Tanaka, la cui ultra-quarantennale carriera iniziò come protagonista dell'asadora "Oshin" (1983-84), senza esagerazione indicabile come la più importante serie giapponese di tutti i tempi, almeno all'infuori del mondo dell'animazione.
I ruoli dei due protagonisti sono affidati agli emergenti Soya Kurokawa e Hinata Hiiragi (rispettivamente dodici e dieci anni all'inizio delle rispese), che Kore-eda riesce a far interagire con grande naturalezza accanto ai nomi rodati di cui sopra; va del resto precisato come il regista sia specializzato nel trarre grandi prove attoriali da soggetti di giovane età, basti ricordare che sotto la sua direzione il dodicenne Yuya Yagira vinse il premio come miglior attore a Cannes nel 2004, per il film "誰も知らない" ("Dare mo shiranai", in Italia: "Nessuno lo sa"), stabilendo un record a tutt'oggi imbattuto.
La partecipazione più commovente al film è tuttavia quella di Ryuichi Sakamoto (nessun legame con lo sceneggiatore), che ha accettato di realizzare le musiche, ma ormai debilitato dalla malattia è riuscito a comporre soltanto due brani per pianoforte. Per il resto della colonna sonora il musicista ha concesso a Kore-eda di utilizzare altri brani dal suo repertorio: ne sono così stati selezionati uno da "Bttb" del 1998, due da "Out Of Noise" del 2009 e due da "12" del 2023 (il suo ultimo album in studio). Si è purtroppo spento prima di poter assistere alla presentazione del film.
La meccanica di "Kaibutsu" è in apparenza basata sul cosiddetto effetto Rashomon [1], tuttavia Kore-eda e Yuji Sakamoto lo utilizzano solo per creare la situazione di stallo che sembra incatenare il film fino a un certo punto, per poi concedere lo scioglimento del nodo nella parte finale: l'effetto Rashomon in effetti non prevede una risoluzione, ma l'opera in questione mira a un risultato diverso, ossia non tanto a sottolineare la differente percezione della realtà a seconda dei punti di vista, quanto piuttosto a far riflettere sugli effetti che le percezioni individuali possono avere sugli altri quando portate avanti con granitica convinzione, senza considerare l'eventualità che possano mancare elementi fondamentali per una ricostruzione esatta degli eventi. Per questo motivo, non era necessario che l'enigma rimanesse senza soluzione.
La trama è in apparenza semplice, ma ogni volta che la storia è inquadrata dalla prospettiva di un personaggio diverso sembra complicarsi, per poi sciogliersi quasi di schianto e vedere risolti tutti gli interrogativi.
Fra i tanti temi trattati ci sono il bullismo scolastico, gli abusi di potere da parte degli insegnanti, il livello di accettazione dell'omosessualità nella società giapponese, la macchina del fango mediatica che si attiva inarrestabile sui fatti di cronaca, il rapporto genitore-figlio (da quello più sano a quello più disfunzionale), le meccaniche tossiche che si sviluppano sul posto di lavoro nonostante nessuno le abbia davvero volute e soprattutto la maturazione di due bambini verso l'adolescenza. Alcuni degli argomenti in questione sono trattati solo in quanto uno o più protagonisti sono convinti della loro presenza, altri sono invece effettivi, ma il loro peso è paritario per lo sviluppo della vicenda.
Per una comprensione profonda dell'opera è senz'altro propedeutica la lettura del racconto "銀河鉄道の夜" ("Ginga tetsudou no yoru", letteralmente "Notte sulla ferrovia galattica", ma in Italia pubblicato come "Una notte sul treno della Via Lattea"), capolavoro di Kenji Miyazawa pubblicato postumo nel 1934 e da allora diventato un caposaldo della letteratura, un'opera di diffusione trasversale che ha influenzato alcune fra le più importanti creazioni artistiche giapponesi: su tutte l'omonimo film anime di Gisaburou Sugii del 1985, che ne è un adattamento, ma anche il manga "Galaxy Express 999" di Leiji Matsumoto, la serie anime "Mawaru Penguindrum" di Kunihiko Ikuhara, il film anime "L'isola di Giovanni" di Mizuho Nishikubo, le canzoni "Take 5" di Hikaru Utada e "Campanella" di Kenshi Yonezu, per non parlare di musical e adattamenti teatrali.
Così come il racconto, pur denso di simboli, rappresenta la maturazione di due bambini, il loro legame profondo e il confronto con le avversità scolastiche e familiari, così fa il film di Kore-eda (pur introducendo tematiche che all'epoca non sarebbero potute emergere e rinunciando alla componente religiosa). Non è un caso che il luogo in cui i due bambini si incontrano segretamente è il vagone di un treno abbandonato in un bosco. Certo, non bastasse l'evidenza del girato, Kore-eda ha tenuto a precisare di aver scelto i due attori dopo aver fatto leggere loro il racconto di Miyazawa.
Per la difficilmente ripetibile densità dei talenti coinvolti e dei riferimenti a vecchi classici della cultura giapponese, che vengono trasmutati e adattati all'epoca del mondo digitale, mostrandone così l'universalità, "Kaibutsu" rischia di essere l'opera più riuscita di quello che già prima di ora poteva considerarsi uno dei più grandi registi asiatici.
[1] È bene precisare che in Giappone per indicare una situazione difficile da districare a causa di testimonianze contraddittorie, quale appunto l'effetto Rashomon, si usa più comunemente il termine "藪の中" ("yabu no naka", traducibile come "nel cespuglio", "nel boschetto"), dal titolo del racconto pubblicato nel 1922 da Ryunosuke Akutagawa. Da quel racconto nel 1950 Akira Kurosawa trasse il film "Rashomon" (titolo di un altro racconto di Akutagawa, di cui però nel film finirono solo elementi di contorno). Il film ottenne fama internazionale e ne derivò il termine poi entrato in uso in diversi ambiti (è apparso addirittura in saggi antropologici e resoconti giudiziari); in Giappone invece si ricorre al titolo del racconto originario, essendo Akutagawa una delle figure centrali della loro cultura, benché purtroppo poco noto a livello internazionale.
cast:
Soya Kurokawa, Hinata Hiiragi, Sakura Ando, Eita Nagayama, Yuko Tanaka
regia:
Hirokazu Kore-eda
titolo originale:
Kaibutsu
distribuzione:
Lucky Red, Bim Distribuzione
durata:
125'
produzione:
Gaga, Toho
sceneggiatura:
Yuji Sakamoto
fotografia:
Ryuto Kondo
scenografie:
Keiko Mitsumatsu
montaggio:
Hirokazu Kore-eda
costumi:
Kazuko Kurosawa
musiche:
Ryuichi Sakamoto