Dopo quattro lungometraggi, il percorso autoriale del Garrel regista sembra ormai essere definito e proiettato verso il modello della commedia, talvolta contaminata da spunti di attualità (come in "La crociata") e in qualche caso mescolata ai toni del dramma ("Due amici" e "L'uomo fedele").
In questo "L'innocent", in realtà, più che alla commistione con il dramma, Garrel guarda smaccatamente al genere, e all'heist movie in particolare, calandolo però in un contesto chiaramente da commedia, appunto.
Abel, l'ormai solito alter ego garreliano che fa il verso all'Antoine Doinel di Jean-Pierre Léaud (qui però nel film meno truffautiano di Garrel), è alle prese con le bizze di una madre agée, Sylvie, che si innamora – non per la prima volta – di un detenuto a fine pena, Michel, che sposa quando lui è ancora in carcere. Una volta uscito di prigione, Michel sembra iniziare una nuova vita, offrendone una anche alla sua neo sposa, aiutandola ad aprire un negozio di fiori nel centro di Lione. Come però ci sia riuscito resta un mistero, sollevando i dubbi dell'apparentemente paranoico Abel.
Ancora una volta una trama solida, ben delineata, innegabilmente accattivante. Ed è una costante del cinema di Garrel, che ha sempre scritto (o contribuito a scrivere) le sceneggiature dei suoi film senza mai risultare banale, cercando sempre lo spunto eclettico. In "L'innocent" quello spunto è rappresentato dall'idea del compagno ex detenuto della madre del protagonista, che traina la pellicola verso il suo naturale approdo, appunto costituito dalla sottotrama "heist".
Come si arrivi a quel momento e come se ne esca verso un finale tutto sommato ben congeniato (un nuovo matrimonio celebrato dietro le sbarre), è il percorso che Garrel compie in questa commedia sì stilisticamente matura, sì ben organizzata, sì esilarante, ma priva di quella profondità che ha reso la commedia francese un prodotto facilmente esportabile nel nostro paese, perché, di fatto, superiore alle produzioni nazionali medie (basti pensare a una commedia sentimentale come "Les Olympiades", da noi semplicemente impensabile).
"L'innocent" è infatti un'opera troppo innamorata dei suoi personaggi, è un'opera che affronta una moltitudine di temi (l'amore senile, l'elaborazione del lutto, i rapporti madre-figlio, l'amicizia uomo-donna) in maniera soltanto abbozzata, senza mai andare a fondo.
Eppure, "L'innocent" ha comunque momenti degni di rilievo, che se non salvano del tutto la pellicola, quanto meno la rendono degna di essere ricordata per alcuni aspetti peculiari. A partire da quello della cinefilia di Garrel, che trova qui espressione in una duplice direzione, quella metatestuale che trasforma larghi tratti del film in un'opera sulla recitazione (e in senso lato sulla menzogna), e quella più banalmente citazionista.
"L'innocent" si apre con un personaggio che interpreta una parte (un aspetto rivelato invero dopo pochi istanti) e prosegue, in una delle sue sequenze centrali, con un momento di recitazione orchestrato per mettere in atto il colpo che costituisce lo snodo narrativo del film. Un esperimento che diventa uno showdown emotivo in cui realtà e finzione finiscono per mescolarsi, con Abel che, impegnato a recitare una parte, finisce per dichiarare i suoi reali sentimenti alla donna che ha preso il posto che nel suo cuore era della moglie defunta.
Dall'altro lato, invece, le citazioni. La stessa scena del ristorante (e in fin dei conti, lo stesso rapporto tra Abel e Clémence) non può che richiamare, mutatis mutandis, l'iconico parametro di riferimento rappresentato da "Harry ti presento Sally".
In altro frangente, invece, azzeccata è la scelta di sfruttare la paranoia di Abel, convinto che il nuovo marito della madre non abbia abbandonato per nulla la carriera criminale, per citare un'opera cardine del filone paranoico come "Blow Out". Abel ascolta a distanza (come in "Blow Out", ma anche come in un altro classico della paranoia come "La conversazione" di Coppola) le conversazioni di Michel, e l'intera sequenza sembra assumere i colori e le dinamiche del film di De Palma, con tanto di ingresso di un fino ad allora inedito split screen. E lo split screen si ripete più tardi, portando però la paranoia sui binari della comicità, quando serve a rivelare il goffo tentativo del protagonista di nascondersi mentre sta spiando Michel in una chiesa.
Il citazionista Garrel è del resto l'evoluzione matura del co-protagonista di "The Dreamers", il cinefilo Théo, che citava i classici assieme alla sorella Isabelle e all'amico Matthew, un po' per gioco, un po' perché quasi indispensabile nella propria quotidianità di persona che vede il mondo attraverso il filtro della passione cinefila.
Borges diceva che il suo orgoglio erano i libri che aveva letto, più di quelli che aveva scritto. E Garrel probabilmente direbbe la stessa cosa dei film che ha visto, più di quelli che ha diretto. Eppure sarebbe un peccato se l'abile citazionista Garrel e l'abile scrittore Garrel non cambiassero passo per trasformarsi nell'abile autore Garrel, che finora abbiamo intravisto soltanto a sprazzi.
cast:
Louis Garrel, Roschdy Zem, Noémie Merlant, Anouk Grinberg
regia:
Louis Garrel
titolo originale:
L'innocent
distribuzione:
Lucky Red, BIM
durata:
99'
produzione:
Les Films des Tournelles
sceneggiatura:
Louis Garrel, Tanguy Viel
fotografia:
Julien Poupard
scenografie:
Jean Rabasse
montaggio:
Pierre Deschamps
costumi:
Corinne Bruand
musiche:
Grégoire Hetzel