Stanley Kubrick si comportava con i suoi film esattamente come nella vita privata. Non si fidava. Era totalmente reticente con i giornalisti che cercava di tenere alla larga il più possibile: "Se sanno quello che sto facendo, poi lo scrivono sui giornali, e qualcuno in un paio di mesi fa un film sullo stesso argomento e mi frega", commentava spesso, ben consapevole del proprio tallone d'Achille: i tempi lunghi. In quest'ottica i nastri registrati dal critico francese Michel Ciment nello spazio di quattro interviste a Stanley (da "Arancia meccanica" a "Full Metal Jacket") oltre a rappresentare il cuore pulsante del doc di Gregory Monro, "Kubrick By Kubrick", appaiono come l'esito felice di una schermaglia lunga un'intera carriera ed appaiono in tutta la loro (ir)realtà soltanto ammettendo che nella mente del regista si fosse arrivati al giusto grado di sedimentazione. Poter godere della voce di Kubrick è innanzitutto un'esperienza soprannaturale che i fratelli transalpini non avevano saputo cogliere quando nel 2011 France Culture aveva trasmesso i nastri in radio nell'arco di cinque puntate, compiendo però l'errore marchiano di proporli con una traduzione audio in simultanea in cui la voce del doppiatore francese si sovrapponeva a quella del regista.
Il contatto Terra-Kubrick innescato da Monro aveva in sé un potenziale enorme e un coefficiente di difficoltà altissimo. Non potendo offrire al pubblico il contenuto integrale delle registrazioni (per intenderci non potendo compiere il miracolo di tramutare un documentario di ottanta minuti scarsi in un libro-intervista alla maniera di Truffaut con Hitchcock) si sono dovute compiere delle scelte drammaturgiche che ad ogni snodo presentavano un conto salatissimo: dover rinunciare a parte delle risposte e delle spiegazioni fornite dal regista in relazione a questo o quel film. Un incombente macigno sulla testa che deve aver spinto Monro a credere di compiere il male minore cercando un porto sicuro nel corollario visivo del doc ed affidandosi al (presunto) potere decomprimente delle interviste frontali. Risultato: 'la quantità di Kubrick' presente nel film è piuttosto ridotta e produce nello spettatore lo stesso effetto che si ha guardando il celeberrimo filmato del dietro le quinte di "Shining" girato da Vivian Kubrick: vorremmo molto più Stanley e invece ci tocca sperare di imbatterci nella sua figura soltanto incidentalmente, ad una nuova svolta nei labirintici corridoi dell'Overlook Hotel.
In "Kubrick By Kubrick" a rosicchiare tempo al suo protagonista sono – si diceva – interviste ad attori e collaboratori di Stanley che per lo più ne ricordano (alternativamente) il genio e le sregolatezze, come se per tenere insieme una figura così gigantesca fosse necessario dare un colpo al cerchio ed uno alla botte; e ad esse si aggiungono diversi inserti da una trasmissione televisiva in cui lo stesso Ciment racconta il suo rapporto con Kubrick e fa considerazioni di natura critica. Insomma anziché dare libertà di espressione al contenuto delle interviste, Monro cerca costantemente di tracciare le coordinate e giustificare quel che stiamo ascoltando, ora mettendolo in relazione con i suoi interlocutori d'allora, ora ribadendo il contesto nel quale quei nastri furono realizzati. Ma il suo più grande errore, quello che davvero lascia l'amaro in bocca, consiste nella selezione degli estratti che in moltissimi casi riguardano gli aspetti puramente tematici dei film di Kubrick: il regista parla della violenza in relazione a "Full Metal Jacket" e "Arancia meccanica", del cosmo e della tecnologia per "2001: Odissea nello spazio", della censura per "Lolita"; il tutto senza entrare mai nel dettaglio della tecnica cinematografica (fa eccezione l'arcinota, peraltro appena sfiorata, vicenda degli obiettivi Zeiss e dell'impiego della luce naturale in "Barry Lyndon") e della realizzazione dei film.
Tuttavia di qualche perla è costellata la via e non appena Monro allenta la presa eccole scintillare, come quando Stanley apre parentesi sul rapporto con gli attori: "Prima di tutto parliamo del personaggio in generale. E poi parliamo della scena, del comportamento del personaggio sulla scena. Poi viene il momento terribile in cui si prova per la prima volta nell'ambiente in cui verrà girata. È sempre una sorpresa. Non è mai quello che ci si aspettava. Di solito bisogna modificare il testo, in un modo o nell'altro. Poi bisogna rendere la scena realistica e interessante. A quel punto diventa tutto relativamente facile". Ugualmente significativi risultano i contributi che riconducono il lavoro universale del regista ad una dimensione familiare e locale. In Kubrick, proprio come in Fellini (e nella contemporaneità alla stregua di Wes Anderson), la creazione mentale era inversamente proporzionale allo spazio percorso. Tutto doveva essere il più possibile a portata di mano per non distrarsi e perdere il contatto con l'irrealtà. Un lavoro di accentramento che gli permetteva di esercitare dalla sua casa nelle campagne inglesi un controllo millimetrico su un intero universo cinematografico: come quando le esotiche location di un Vietnam sventrato dalla guerra venivano ricreate in fatiscenti fabbriche nei sobborghi di Londra.
E se, sorprendentemente, nella solida impalcatura kubrickiana c'era spazio per improvvise epifanie sul set (come l'idea di Hal 9000 che legge il labiale) Monro ha la buona intuizione di creare come collante del film una curiosa ricostruzione in miniatura della stanza da letto di "2001" nella quale, man mano che il film avanza, convergono gli elementi fondanti della poetica del maestro statunitense. Una stanza che pur accumulando feticci al suo interno, resta impermeabile a modifiche esterne, proprio come un dipinto o uno scatto fotografico. In questo spazio dato Kubrick costruisce i suoi – per dirla alla Peter Greenaway – fictional essays, nei quali alle singole arti spetta il compito di manifestare l'architettura del film. Una relazione che non si limita a due mezzi espressivi – fotografia e cinema -, ma che aggiunge alla serie anche pittura, scultura e architettura. Tutte lavorano sull'immagine statica, e sono la fonte per una dinamizzazione che il regista mette in atto nelle sue pellicole.
"Dirigere un film, se vuoi farlo come si deve, non sempre è divertente, perché entri in conflitto con gli altri. Se vuoi fare le cose per bene, e ci tieni, non è la cosa più divertente del mondo. È immensamente gratificante, a volte, ma si fa molta fatica e c'è molta tensione personale fra tutti. L'analogia militare mi sembra la più adatta". Ecco, forse "Kubrick By Kubrick" somiglia di più al lavoro di un obiettore di coscienza.
cast:
Jack Nicholson, Malcolm McDowell, Shelley Duvall, Marisa Berenson
regia:
Gregory Monro
durata:
73'
produzione:
ARTE, Telemark, Temps Noir
sceneggiatura:
Gregory Monro
montaggio:
Philippe Baillon
musiche:
Géraud Bec