Ondacinema

recensione di Matteo Pennacchia
5.0/10

Il sole splende sui tetti del New Mexico, mentre negli scantinati si compiono atrocità. Nei giorni in cui in Italia esce "Insidious - L'ultima chiave", la polizia di Los Angeles arresta a Perris (Riverside County) i coniugi Turpin, che da anni segregavano in casa i figli, tenendoli incatenati al letto (horror story non soltanto american, anche in Europa abbiamo la nostra parte di lerciume, ma gli yankee fanno le cose in grande: i prigionieri dei Turpin erano tredici). Fosse tutto un film la simmetria sarebbe inquietante. Il nuovo "Insidious", ambientato a Five Keys (New Mexico), frequenta zone limitrofe di abuso fisico e maltrattamento e qui sta la novità, l'ufficializzazione, dopo molti flirt nei precedenti episodi, dell'unione fra orrori sovrannaturali e orrori reali, con questi ultimi, come usa dire, sempre più terribili dei primi. Già in "Insidious 2" la componente psycothriller terrena giocava un ruolo importante nell'economia narrativa. Qui aumenta in volume, intensità, brutalità, sporcizia, fino a costringere in un angolino (buio, ovvio) un carattere horror che fin dai minuti iniziali si sforza di affermare la sua poca serietà. E così non ci prova nemmeno a fare qualcosa di vagamente brillante in senso di genere (è vero, ma che tensione la lunga scena nel condotto fognario!), scaricando sul nuovo demone l'incombenza di mostrare il patentino da b-movie, col suo aspetto da cugino meno ganzo di Eddie the Head, mentre all'altro capo della stanza qualcuno sta pensando fortemente a "The Woman" di McKee. Le due linee non si incontrano. Si accumulano a blocchi granitici, uno sull'altro, e quando va bene uno dei blocchi pesta duro (quasi sempre solo quello real horror, non fosse chiaro), quando va male il pensiero dallo schermo vola altrove, salvo essere riacchiappato dal primo jump scare che passa di lì con nonchalance. Leigh Whannell, ancora alla sceneggiatura ma non più alla direzione, ha quelle piccole intuizioni che Adam Robitel, pseudoregista con il muso da ex bagnino di Baywatch, non sa connettere insieme. Peccato, perché almeno una di esse (uno scambio di persona/di fantasma) meritava di affiorare dall'elenco della roba nel mucchio e dare un cardine alla trama.

È comunque l'abuso (di qualcuno su qualcun altro) il leitmotiv, fisico e psicologico, coinvolga fantasmi o persone, un padre che randella la figlia, la giustizia made in Usa che frigge i condannati a morte, uno psicopatico che rapisce e tortura le donne, un demone che obbliga a compiere nefandezze. E se ciò non bastasse a rilanciare la questione sempre in voga di un'ontologia della violenza americana, a metà film il ghostbuster supernerd Specs (lo stesso Whannell) spappola la testa a un criminale facendoci cadere sopra un armadio. Ma come è rilanciata, così la questione è ripresa al volo: Specs, in leggera crisi etica, viene rincuorato con una frase tipo "Il mondo dei vivi è pieno di demoni in carne e ossa, tu ne hai solo eliminato uno". Chiusa la questione. Il che dice molto forse non dell'America (però un po' sì), ma certamente di un film che dopotutto non ha grossi obiettivi tranne svuotare il serbatoio di una saga che ormai, come tutte le migliori saghe, per viaggiare usa il carburante dell'affezione del fan accanito ai personaggi ricorrenti. L'amore con cui Whannell tratta la medium Elise (Lin Shaye), presente dalle origini, ne è la dimostrazione. Elise è finalmente protagonista vera, sola, autosufficiente, fornita di un profilo caratteriale e un background che "Insidious 3" aveva giusto abbozzato. Al di là di funzioni semantiche e sottotesti, "L'ultima chiave" è la sua storia, la storia della sua vita, e la regia di Robitel può inscenare tutti gli Altrove Metafisici e le Porte Rosse Su Mondi Oscuri che vuole, e noi possiamo sbizzarrirci con ogni possibile interpretazione simbolica dell'oggetto-chiave, o sul tema della famiglia; tanto qui dentro le regole le stabilisce lei. Meglio così. Presumendo - augurandoci - che questo sia il capitolo finale della saga (giacché disegna una parabola cronologica circolare per cui i suoi titoli di coda combaciano con i titoli di testa del capostipite di James Wan: il cerchio è chiuso, vediamo che ne penserà il box office), a meno di non essere smentiti confessiamo che un po' ci mancherai Elise, ma basta, non incriniamo i rapporti, lasciamoci ora che ci vogliamo bene (anche se avresti meritato un film di commiato meno disorganico), non vogliamo sapere altro sul tuo conto, sul quale comunque non c'è altro da dire. È stato bello. L'unico modo sensato in cui la saga potrebbe andare avanti è senza di te. E siccome riteniamo che "Insidious" di te non possa fare a meno, umilmente riteniamo che, arrivati a questo punto, noi si possa fare a meno di "Insidious".


18/01/2018

Cast e credits

cast:
Lin Shaye, Leigh Whannell, Angus Sampson, Spencer Locke, Kirk Acevedo


regia:
Adam Robitel


titolo originale:
Insidious - The Last Key


distribuzione:
Warner Bros. Entertainment


durata:
103'


produzione:
Jason Blum, Oren Peli, James Wan


sceneggiatura:
Leigh Whannell


fotografia:
Toby Oliver


scenografie:
Melanie Jones


montaggio:
Timothy Alverson


costumi:
Lisa Norcia


musiche:
Joseph Bishara


Trama
La medium Elise è chiamata a risolvere un altro problema di fantasmi, ma questa volta è diverso: la casa infestata è quella in cui è cresciuta, dove per lei covano vecchi ricordi di infanzia poco graditi, come quello del padre che la picchiava spesso e volentieri, e della morte violenta della madre. Con lei gli inseparabili Specs e Tucker, per un vicenda che vede inoltre la macabra scoperta di una serie di donne rapite e tenute prigioniere, catena al collo, nello scantinato dell'abitazione; e che cronologicamente chiude il cerchio della saga "Insidious".