Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
6.5/10

Incantation



Fin dai primi minuti "Incantation" dimostra di adoperare ogni artificio dell’horror contemporaneo e nello specifico del filone found footage per colpire i propri spettatori, mettendo in scena una sequela di materiali audiovisivi di presuntamente varia origine per incuriosire chi sta guardando riguardo alla natura dell’indefinibile e temibile maledizione al centro della pellicola. Al contempo risulta chiara la caratteristica principale del ricorso ai cliché del genere nel film, ovvero la quasi totale assenza di verosimiglianza della giustificazione narrativa del perché gli sventurati perseguitati da demoni/spiriti/streghe/etc. debbano continuare a filmare fino alla loro prevedibile dipartita. Ponendosi a valle di ormai circa due decenni di successi dell’horror found footage (invero, piuttosto rari negli ultimi anni), il film di Kevin Ko si serve di tutti gli stilemi del sottogenere disponibili, ormai divenuti suoi tratti fondamentali: i punti e i mezzi di ripresa si moltiplicano in maniera praticamente esponenziale, il montaggio è certosino senza ormai nessun pretesto diegetico, la narrazione è ben più complessa di quanto un prodotto found footage verosimile potrebbe mai ambire a essere, il potere dell’entità causa della maledizione è senza limiti e la persecuzione che infligge ai protagonisti è multiforme e spietata (altro che gli spiriti molesti di "Paranormal Activity" e co.).

Pur ritornando al genere che ne ha lanciato la carriera più di un decennio fa col sottogenere spesso più elementare che ci sia dal punto di vista della grammatica horror Kevin Ko infonde il suo nuovo film di una drammaticità che raramente si è vista nel contesto found footage, mettendo al centro della pellicola il percorso della paziente psichiatrica/maledetta Ruo-nan per difendere a tutti costi la normalità riacquistata con la figlioletta Duo-duo, e infine la vita di quest’ultima. Se le due protagoniste attraversano numerose difficoltà fino al tragico, e fatale, finale riuscendo in qualche maniera a sopravvivere, a quasi tutti i comprimari tocca di converso una dipartita rapida e dolorosa, come vediamo fin dai frammenti audiovisivi che accompagnano la riflessione iniziale sul multiprospettivismo del reale. Il film difatti non manca di una certa tendenza speculativa che accompagna il crescendo di orrori e deliri, distinguendosi così dalla maggior parte degli esponenti del filone e avvicinandosi semmai, quantomeno nelle intenzioni, a classici come "The Blair Witch Project" o al sempre influentissimo J-Horror.

Se da un lato la riflessione sulle possibilità della prospettiva adottata di influenzare ciò che si guarda si rispecchia nei numerosi dialoghi riguardo alla difficile discernibilità della realtà di miti e maledizione e della differenza fra una condizione psichiatrica e la maledizione inferta da una spietata divinità, essa viene anche resa filmicamente con la moltiplicazione di strumenti e stili di ripresa, facendo di "Incantation" uno dei più versatili, e tecnicamente complessi, horror found footage di sempre. In modalità forse più interessanti il film di Ko riflette anche sulla viralità delle immagini (e degli audio), portatori di sventura come in "Ringu" di Nakata Hideo (e ovviamente nel remake di Verbinski), una condizione che, coerentemente con l’interpretazione ambivalente di "benedizione" discussa nella pellicola, può rivelarsi però, se non benefica, almeno salvifica, con tanto di colpo di scena. Un video è difatti al centro del film, la ripresa della profanazione di un santuario compiuta dal fidanzato di Ruo-nan e da suo fratello sei anni prima degli eventi principali, matrice di tutte le sventure che càpitano alla protagonista e alle persone attorno a lei, in primis, forse fin troppo banalmente, alla figlioletta appena riconquistata, a quanto pare desiderata anche dall’entità malevola, la cui influenza per fortuna (nostra, ovviamente) supera presto la fase di puerili scherzi domestici in cui buona parte degli horror found footage indulge.

Pur non brillando per originalità, né per intelligenza a eccezione degli spunti succitati, "Incantation" si distingue perlomeno per la radicalità con cui si appropria di tutti i cliché del filone e li accumula fino a farli implodere in un finale in cui, per una volta, si guarda letteralmente in faccia il male ripreso dalle videocamere (e un male che non poteva che avere quel lovecraftiano volto), in sfregio alla basilare regola dell’horror: ciò che non si vede nel buio fa più paura di ciò che è visibile. Ma d’altronde il film di Ko ha già gettato alle ortiche ogni basilare criterio di verosimiglianza che di solito rende interessanti i film found footage, perciò non si può che riconoscerne (apprezzandolo o schifandolo) il cosciente disprezzo per le convenzioni del genere quando non servono a colpire con più forza gli spettatori (come un tir in autostrada, verrebbe da dire pensando al prologo). Ciò finisce d’altro canto per rimarcare la particolare attenzione riservata al dramma materno di Ruo-nan, d’altronde l'elemento che rende più apprezzabile la discontinua sezione ambientata nel presente, decisamente meno stimolante e suggestiva del documentario da ghost hunter che intervalla la trama principale narrando il resoconto di come è iniziata la maledizione.

Fra i pochi (ma buoni) film taiwanesi visti nell’ultima edizione del Far East Film Festival, "Incantation" è stato un grande successo in patria e il perché è abbastanza chiaro, dato che essere un horror found footage ancora capace di spaventare e incuriosire nel 2022 è cosa rara e che denota l’abilità di Kevin Ko nel giocare con l’ormai smisurato materiale di riferimento del filone. Nel desolante panorama del cinema di genere su Netflix può rivelarsi perciò un’aggiunta interessante. Fino a che milioni non avranno visto il famigerato video maledetto (che la stessa Ruo-nan ha evitato scientemente di vedere fino al finale) e si sarà così diluita (diffusa) la benedizione/maledizione in tutto il globo.

Hou-ho-xiu-yi
Si-sei-wu-ma


07/07/2022

Cast e credits

cast:
Tsai Hsuan-yen, Huang Sin-ting, Kao Ying-hsuan, Sean Lin, RQ


regia:
Kevin Ko


titolo originale:
Zhou


distribuzione:
Netflix


durata:
110'


produzione:
Push Yang, Kevin Ko, Chen Chun-lin


sceneggiatura:
Chang Che-wei, Kevin Ko


fotografia:
Chen Ko-chin


scenografie:
Party Art Design Studio, Otto Chen


montaggio:
Kevin Ko


musiche:
Rockid Lee


Trama

Sei anni fa Ruo-nan, insieme al fidanzato e al di lui fratello, si recò (incinta) nel villaggio natale dei fratelli per documentare un oscuro rito compiuto ogni anno da quella comunità isolata nei monti interni di Taiwan, col fine di riprendere del materiale per i loro video da ghost hunter. Curiosi di scoprire di più sul misterioso rituale i tre, e i fratelli in special modo, violarono il santuario della divinità locale, scatenando una maledizione che li perseguitò fino alla morte. Dopo sei anni in una struttura psichiatrica Ruo-nan può riabbracciare la figlia che le è stata strappata a causa dei disturbi conseguenti la maledizione. Non fosse che il ritorno della bambina sembra aver risvegliato un qualche male solamente sopito.