Di tutte le possibili reazioni a un lutto, Elisabeth Kübler-Ross forse non aveva previsto quella che Naomi Watts affronta in "Il libro di Henry".
Watts è Susan Carpenter, madre single di Peter e Henry, cameriera di una tavola calda e asse sbilenca di un quadro famigliare già squilibrato all'avvio. Henry è un piccolo genio dal Q.I. stratosferico e Susan gli ha delegato il compito di prendersi cura della quotidianità dei Carpenter, mettendosi in una virtuale linea anagrafica orizzontale con i figli. Assolve pochi, superficiali impegni materni (rimboccare le coperte, accompagnare a scuola) e la sera, di ritorno da lavoro, si pianta davanti ai videogames sparatutto oppure scola vino insieme alla collega superkitsch Sheila (la comica Sarah Silverman). Il che non ne fa una cattiva madre, piuttosto non ne fa un madre, punto: ama Peter e Henry in un sistema di rapporti dove i ruoli sono confusi e le responsabilità pedagogiche sono prerogativa di Henry, riferimento falsamente adulto della situazione.
È Henry stesso, consapevole delle proprie doti, a porsi in tal modo in relazione paritaria con gli adulti attorno a lui, dalla preside della scuola al medico che lo curerà una volta scoperto il tumore che lo sta uccidendo.
La malattia terminale segna la fine del primo tempo, votato ai colori del film per ragazzi, e introduce il secondo nella tinta drammatica stesa su Susan dall'assenza di Henry. La morte del bambino le è doppiamente dolorosa perché apre un vuoto laddove prima c'era non solo un figlio ma qualcuno che le stava gestendo la vita in sua vece. Disperazione, depressione, cenni psicotici, fino al ritrovamento di un quaderno in cui Henry ha stilato misteriosi appunti sui vicini di casa, e di una musicassetta su cui il figlio ha registrato precise istruzioni post mortem per Susan. Un'audioguida all'omicidio premeditato con la quale la donna rivive il fantasma di una presenza autoritaria a cui affidare le sorti di un'esistenza priva di scopo, sgravandosi dagli obblighi e dalla percezione della maturità che dovrebbero esserle naturali.
Colin Trevorrow, dopo "Jurassic World", era stato designato alla regia del nono capitolo di "Star Wars"; le malelingue dicono sia stato silurato dopo la pessima accoglienza critica ed economica riservata a "Il libro di Henry". Un'accoglienza in parte giustificata in parte no: il film non è pessimo ma sconta il fatto di non avere un'impronta o un collante a unire gli umori diversi che si avvicendando bruscamente per la sua intera durata, costringendo le buone idee presenti a sbocchi paratelevisivi. L'affinità con la serialità tv viene in mente in negativo, dando spesso l'impressione di assistere a una miniserie di otto puntate compressa in cento minuti.
Un'altra possibile simmetria si può azzardare con una versione rovesciata di "Sette minuti dopo la mezzanotte" che anziché affittare il fantasy prova l'itinerario thriller, guardando a "La finestra sul cortile". Sul piano dell'immedesimazione il film di Trevorrow ha circa gli stessi pregi e difetti di quello di Bayona, fra insistenze sentimentali ricattatorie e, in potenza, un notevole spessore caratteriale dei protagonisti; invece, da una prospettiva strutturale, Bayona avanza compatto - forse troppo - mentre Trevorrow procede a spezzoni senza mai agguantare l'unisono in cui invece si esprimeva, per restare nei paraggi, "Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet" di Jeunet.
Aguzzando la vista un filo conduttore si scorge, un intreccio sotterraneo che segue i dettami del giallo, semina indizi all'inizio e spiega l'inspiegabile alla fine, come uno Shyamalan under 13. Sia questo sia l'elaborazione del lutto sono gradini sulla scala di maturazione di Susan, pronta a ristabilire incarichi ed equilibri dopo aver quasi perso la testa nella devozione alla voce incisa su nastro magnetico di Henry, bambino geniale ma pur sempre bambino.
Però manca una mano davvero autoriale al capo del filo, che compia movimenti più fluidi e non sappia soltanto ciò che sta facendo ma anche perché e come. Nel cercare una pluralità di messe a tema e messe in scena, a Colin Trevorrow sfugge il progetto, e nella trascuratezza della commistione di registri (in astratto né un valore aggiunto né uno tolto) il ritratto femminile della comunque brava Naomi Watts perde contorni e definizione, uniformandosi all'inconsistenza complessiva di un prodotto che aveva belle carte e le ha sprecate.
cast:
Naomi Watts, Jacob Tremblay, Dean Norris, Maddie Ziegler, Sarah Silverman
regia:
Colin Trevorrow
titolo originale:
The Book of Henry
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
105'
produzione:
Sidney Kimmel, Carla Hacken, Jenette Kahn, Adam Richman
sceneggiatura:
Gregg Hurwitz
fotografia:
John Schwartzman
scenografie:
Kalina Ivanov
montaggio:
Kevin Stitt
costumi:
Melissa Toth
musiche:
Michael Giacchino