Se ci fosse la pasticca "A.M." ("
Americano Medio") sarebbe una specie di mentos al cubo ricoperta di strass di glassa, al gusto di fritto e bufalo, con dentro una mistura fast & furios di polvere da sparo, iperspazio e frasi ad effetto. E l'irrisoria percentuale di cervello incolume sarebbe impegnata a chiedere: ancora. Di più, ancora. Questo per dire che - non c'è niente di male - l'americano ama l'eccesso. Perciò grazie al genio visionario di Jeunet, assecondato dalle intuizioni fotografiche di Delbonnel, Amelie sbarcò oltreoceano facendo incetta di nomination. La sua favolosa visione del mondo - pur essendo un mondo di piccole cose - si dosava con il giusto eccesso che gli valse la piena attenzione dell'Academy.
L'hollywoodiano medio ignora Moretti e importa Sorrentino, così come impazzisce per il rosso onnipresente di Almodovar. Nel caso di Jeunet, chissà se anche T.S. Spivet, come Amelie, riuscirà a combinare le giuste dosi di leggerezza e bizzarria, raggiungendo la soglia di eccesso tale da essere americanamente riconosciuta.
L'ispirazione è tratta dal romanzo d'esordio di Reif Larsen "The Selected Works of T.S. Spivet" edito in Italia da Mondadori col titolo "La mappa dei sogni"; Jeunet scrive la sceneggiatura con Guillaume Laurant, come quattordici anni fa per "
Il favoloso mondo di Amelie".
T.S. Spivet (Kyle Catlett, alla sua prima apparizione cinematografica) è un bambino di dieci anni, che vive insieme al fratello gemello Layton (Jakob Davies), alla sorella Gracie (Niamh Wilson) e ai genitori (Helena Bonham Carter e Callum Keith Rennie) in un ranch del Montana.
E' sua la voce narrante che ci introduce ad un'armonia familiare presto infranta da un tragico evento. "A Layton è toccata l'altezza, a me i neuroni" dice T.S. quasi cercando di giustificare il suo genio. Grazie all'invenzione di una macchina a moto perpetuo, capace di creare energia con un'autonomia di circa quattrocento anni, T.S. si aggiudica "Spencer Baird Award" un prestigioso premio indetto dall'istituto Smithsonian di Washington.
Jeunet abbandona la satira cannibale di "Delicatessen" e quella anarchica de "
L'esplosivo piano di Bazil" e riprende invece il filo dolce e onirico di Amelie. In un attimo il mondo che T.S. conosceva bene è travolto e quel che rimane sfugge anche alla comprensione della scienza. L'amore, inspiegabilmente, non basta. E allora diventa straordinaria, più che il viaggio, la decisione di partire. T.S. innesca una reazione che non cambierà il passato, ma determinerà un nuovo equilibrio, una nuova armonia.
Thomas Hardmeier eredita lo scomodo testimone di Bruno Delbonnel (che ha collaborato con Jeunet oltre che ne "Il favoloso mondo di Amelie" anche in "Una lunga domenica di passioni" e che ha realizzato la bellissima ambientazione di "
A proposito di Davis" dei Coen) e dirige la fotografia secondo l'approccio alla realtà del piccolo protagonista. Rispetto alla Parigi "desaturata" che vedevamo attraverso gli occhi di Amelie Poulain, la realtà di T.S. è osservata e catalogata, l'intensità del colore corrisponde all'attenzione che il bambino presta a tutto ciò che lo circonda e la varietà dei toni alla gran quantità di oggetti e idee che riempiono le scenografie, opposte in questo senso alle vuote vastità del Montana (gli esterni, ad eccezione di Wasghington, sono stati girati in Canada). Allo stesso modo i movimenti di macchina seguono lo sguardo del bambino o il suo pensiero, che non produce mai visioni cartoonesche o magiche - come Amelie - ma semmai ipotesi concrete e misurate.
I personaggi sono ben caratterizzati e rispettano le vocazioni dei "colleghi" del romanzo: l'esordio del piccolo Catlett è pienamente all'altezza; senza particolare spessore le prove di Bonham Carter (madre di T.S., studiosa di insetti) e Keith Rennie (il padre, un cowboy di altri tempi); "Due Nuvole" è Dominique Pinon, attore presente in ogni film di Jeunet, fin dalla celebre testa "impiattata" in "Delicatessen" del 1991. Non ci sono personaggi veramente "negativi". Il maestro di scuola elementare è semplicemente frustrato dal genio di T.S. e poi resta in scena poco più di una comparsa; la sig.ra G.B. Jibsen dello Smithsonian vorrebbe soltanto approfittare dell'appeal mediatico di T.S. per lucrare un po'. Niente di grave.
Rispetto ad Amélie manca certamente una colonna sonora come quella di
Yann Thiersen. Manca forse la vena poetica e musicale, ma non mancano certo l'amore e l'immaginazione. Due cosette necessarie, per andare avanti, visto che siamo testardi esseri umani e non gocce d'acqua.