Nel Cratere, l’eco di uno stretto dialetto campano giunge di primo acchito con tracce che sovente hanno nel corso degli anni 2000 regnato in un territorio che ha espresso al cinema tutta la propria problematicità. Il titolo del film ha una doppia valenza: quella del vuoto e della distanza che viene a crearsi (o che c’è sempre stata) tra il padre e la figlia e quella che fa riferimento a Crater, costellazione poco o per nulla visibile perché fin troppo luminosa, come – secondo le intenzioni degli autori – i due protagonisti della pellicola.
Quando nel prologo la tredicenne Sharon ripete meccanicamente una lezione scolastica incentrata sul verismo ed il suo più illustre esponente, Giovanni Verga, il film traccia una duplice linea retta: da una parte la protagonista spazza fin dal principio la possibilità di un’educazione culturale che possa poi aprirsi oltre la propria realtà che sta vivendo, dall’altra il film e i suoi autori delineano uno sguardo che parte da un vissuto marginale e lo abita secondo una propria metodologia.
Omonimi, i personaggi del film interpretano dunque se stessi, in un cinema che introduce allora delle premesse non dissimili da quelle sviluppate dalla coppia formata dall’italiana Tizza Covi e l’austriaco Rainer Frimmel.
In un microcosmo che molto si sente ma che poco si vede al di là delle proprie pareti, due sono i corpi, le voci e le anime al centro della vicenda: la giovanissima Sharon Caroccia e suo padre Rosario.
È, in primo luogo, come ovvio che sia, un film sul rapporto padre-figlia. L’inestricabilità del legame si percepisce permanentemente ma ciò che ne frutta non si premura di mescolare l’amore e l’odio delle circostanze, quanto piuttosto piantare i paletti verso un’arena dove emergono le scorie di quel conflitto che non soltanto non riesce a sanarsi ma che, anzi, nasconde ulteriori segreti, sentimenti e sensazioni mai espresse o proprio inconsapevoli.
Siamo al di sotto di un sottobosco di tanto in tanto raccontato da dossier televisivi, dove una cantante neomelodica come Fortuna può essere un modello da seguire, forse già irraggiungibile, dove le feste di piazza e le serenate sono un’alta meta. C’è dunque nella vita del film una zona ed una condizione piantata nei mercati rionali, un’eventualità immaginata che genera una tentazione.
Tematicamente emerge l’ombra di un mercato dell’abuso morale del minore, spinto quantomeno con violenza psicologica ad esercitare date attività per provare a materializzare quella stessa tentazione. I tour de force in sala di registrazione, l’ingresso in un circolo competitivo, un cammino che esclude libertà giornaliere, levano a queste giovani ragazzine le naturali fasi di vita proprie dell’adolescenza: i peluchie venduti, difettosi, massacrati e gettati via possono essere letti come una metafora della giovinezza rubata, mai lasciata in dono.
Già documentaristi, Luca Bellino e Silvia Luzi, al primo lungometraggio di finzione, vogliono però evitare sia il film di denuncia che l’analisi psicologica. La concentrazione è tutta sui due protagonisti, tanto che più volte l’immagine finisce con lo sfocare ciò che gli gira attorno, ciò che loro stesso vedono, in un alternarsi di pedinamento alla fratelli Dardenne (talvolta con la macchina da presa che segue Sharon anche di spalle) e primi piani alla ricerca di un’espressività dedita a catturare l’urgenza del momento, un qui e adesso fisico ed emozionale più che psicologico. In ciò il film risulta molto più a fuoco quando si affida alla figura e alle capacità sceniche di Sharon, in grado di fornire quello scarto tra finzione e realtà importante per dialogare con lo spettatore e per rendere autenticità al film stesso. Convince meno, o comunque è meno articolata ed interessante, la figura del padre, chiuso nella monodimensionalità del suo mondo: Rosario di rado sembra andare oltre la rappresentazione di se stesso e, di conseguenza, quando il film verso il finale gioca in modo esplicito le carte della teoria, il passaggio tra i due piani è disarmonico, perché rinunciando fin dal principio a progressioni di carattere melodrammatico, pur preparato fin dalle retrovie il piano concettuale cozza con gli aspetti più sanguigni della realtà esplorata: il conflitto resta insanabile, ma grazie anche alla indiscutibile forza dell’attrice, il sospeso atto conclusivo di Sharon sa essere anche ripartenza verso un altrove cinematografico; riuscendo a concedere al film quell’ulteriore piano teoretico che cercava.
cast:
Sharon Caroccia, Rosario Caroccia, Tina Amariutei, Assunta Arcella, Imma Benvenuto, Eros Caroccia, Mariaelianna Caroccia, Rosario Junior Caroccia
regia:
Luca Bellino, Silvia Luzi
distribuzione:
La Sarraz Pictures
durata:
93'
produzione:
Tfilm, Rai Cinrma
sceneggiatura:
Luca Bellino, Silvia Luzi
fotografia:
Luca Bellino, Silvia Luzi
montaggio:
Luca Bellino, Silvia Luzi
musiche:
Alessandro Paolini