Vienna, 1877. Elisabetta di Baviera (Vicky Krieps, "Il filo nascosto"), imperatrice d’Austria-Ungheria, vive tra fatalismo e apprensione la soglia dei quarant'anni e, con la perdita degli ultimi scampoli di giovinezza, assiste al lento decadimento del suo fisico impeccabile e della rinomata bellezza, nonostante la rigidissima dieta e i continui sforzi fisici, le lunghe cavalcate, la scherma, la palestra. Ma la lotta non è solo contro il suo corpo: la psiche non sembra reggere, tra sbalzi d’umore, (finti) svenimenti e la malcelata insofferenza al rigido protocollo imperiale; neanche l’amore, tra gli spettri di un matrimonio, quello con il Kaiser Francesco Giuseppe, ormai alla deriva, gli slanci adulterini non consumati con lo stalliere inglese Bay (Colin Morgan, "Belfast") e quelli indecifrabili col cugino, l’eccentrico re bavarese Ludwig II. Si nutre di varie incomprensioni anche il rapporto con i figli; l’unica con cui pare esserci una perfetta simbiosi, seppur ammantata di servilismo e rinunce, è la dama di corte Marie (Katharina Lorenz, "Lou von Salomé").
Il cinema austriaco è spesso erroneamente considerato poco più di un'appendice di quello tedesco, eppure, finalmente anche il cinema della Kreutzer, finora non distribuito in Italia, conosce per la prima volta con "Il corsetto dell’imperatrice" l’apprezzamento del pubblico internazionale. Giunta al suo quinto lungometraggio, la regista di Graz ha firmato opere solo apparentemente molto diverse tra loro. Apparentemente perché "Il corsetto dell’imperatrice" può essere considerata una summa, molto riuscita, dei lavori precedenti. Le tematiche dell’individuo colto in un momento di travaglio esistenziale, in un’età di passaggio, sono tipiche dei suoi lavori, così come i dialoghi lapidari e la regia minimalista, venata di improvvisi inserti. Il suo è un approccio moderno al tema della famiglia, a cui contrappone il ruolo dell’individuo, considerato come entità e istituzione a sé stante nel complesso mondo che ci circonda, ad esempio come nel precedente lavoro "Der Boden unter den Füßen" (titolo internazionale "The Ground Beneath My Feet") del 2019. Anche nella rappresentazione in costume di "Il corsetto dell’imperatrice", lo sguardo è quello di un occhio contemporaneo, che si riverbera sulla messa in scena, sulla caratterizzazione dei personaggi e sul conseguente stravolgimento della Storia.
Inoltre, a colpire di "Il corsetto dell’imperatrice" è il lavoro in sottrazione della regia, debitrice dell’approccio della Berliner Schule, e quello sugli attori, specie con Vicky Krieps. È stata giustamente celebrata la sua prova, nonché premiata a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Il film su Sissi, soprannome con il quale l’imperatrice è universalmente nota, pare essere stata una sua idea. Difatti, tra regista e interprete esiste un’intesa che parte da lontano: avevano già lavorato insieme nel film "Was Hat Uns Bloß So Ruiniert" (titolo int. "We Used to Be Cool") del 2016, gioiellino indie un po’ strampalato sulle difficoltà di diventare genitori. Un’altra cifra stilistica della Kreutzer è quello dell’utilizzo della musica, sia diegetica che extradiegetica. Nel succitato film, la stessa Krieps interpretava alla chitarra delle canzoni a suggello della sua nuova, spaesata condizione. In più, da documentarista, filmava le altre coppie di amici-genitori.
Accorgimenti che si ripetono anche in "Il corsetto dell’imperatrice", con più forza e meglio centrati. Durante il soggiorno in Inghilterra, in visita alla sorella, Elisabetta fa la conoscenza del francese Louis Le Prince, uno dei papà del cinema, il più sfortunato (morì in circostanze misteriose prima di mostrare al pubblico americano i suoi lavori), che propone all’imperatrice di essere ripresa in video. Un’esperienza alla quale Elisabetta non si sottrae, anzi, che accoglie con allegria e che soddisfa la sua vanità. Questi brevi, divertiti filmati forniscono materiale che puntellano il film, in giustapposizione alla straziante partitura principale della cantautrice transalpina Camille. Il ritornello Go Away della canzone "She Was" è un’eco che vorrebbe sospingere altrove l’inquieta imperatrice, il più possibile lontano da Vienna, ma anche da sé stessa. In chiave diegetica sono utilizzate altre canzoni moderne, che Elisabetta e i nobili ascoltano o ballano, come l’esecuzione dal vivo di pezzi di Kris Kristofferson e dei Rolling Stones, dettagli anacronistici che portano l’opera della Kreutzer fuori dal suo tempo, avvicinandolo al nostro.
Molti anche i livelli simbolici di lettura. L’elemento primordiale dell’acqua, ad esempio, che dà forma liquida al desiderio di vita dell’imperatrice e, allo stesso tempo, della sua continua ricerca della morte. Non è un caso che Elisabetta sia presentata allo spettatore mentre si immerge nella vasca con gli occhi sbarrati e in apnea, per un lungo minuto. In seguito, la vedremo lanciarsi per un bagno liberatorio all'aperto, sotto lo sguardo atterrito dei suoi cani. Ironicamente, il cugino Ludwig la metterà in guardia dalle sue tendenze suicide, proibendole di lasciarsi annegare nelle acque della sua tenuta (il re bavarese morirà nello Starnberger See anni dopo). E ancora, avremo una canzone moderna, la marziale "Italy" della musicista austriaca Soap&Skin (presente anche nella colonna sonora di "Sicilian Ghost Story"), a dare senso al viaggio in mare ad Ancona: una rilettura favolistica della fine dell’imperatrice (la vera Elisabetta fu uccisa da un anarchico italiano sulle sponde del lago di Ginevra, dove Sissi s’imbarcò nonostante la ferita mortale).
Sembra quasi che la regista, coadiuvata dalla Krieps al pari di una seconda autrice, si permetta di giocare con lo spettatore. Difatti, lo sguardo dell’attrice finisce spesso in camera e sfonda la quarta parete, oppure ci mostra la lingua o alza il dito medio. Come a dire: non sono una persona vera, ma solo un altro personaggio che interpreta una parte. Una rappresentazione di Sissi dentro il postmoderno che però evita con accuratezza il pastiche o una narrazione caotica. Invece, l’equilibro è la forza di questa pellicola: la mancanza di scene madri è tutta in favore di un’opera sospesa e irrisolta, che deve alla sua eterogenea uniformità la sua bellezza. L’imperatrice non diventa una semplice martire dell’opprimente vita alla corte degli Asburgo, dell’ottuso marito, dei suoi obblighi e del suo ruolo, perché lei stessa a volte prende decisioni insensate o egoiste. Come l’imposizione che infligge alla sua dama di corte di rinunciare a sposarsi, per starle accanto e farsi sostituire nelle cerimonie ufficiali ai quali non vuole, o non può, prendere parte. Il corsetto del titolo altro non è che il simbolo di ogni costrizione sociale a cui l’individuo non può sottrarsi, a meno di non rinunciare alla propria identità. Finché l’imperatrice resta sé stessa, infatti, esige che le venga stretto addosso come una morsa. Così anche Sissi comprenderà che per andare avanti deve autodistruggersi e rigenerarsi, perseverare fino all’oblio, dimenticare di aver già vissuto.
cast:
Vicky Krieps, Katharina Lorenz, Colin Morgan
regia:
Marie Kreutzer
titolo originale:
Corsage
distribuzione:
BiM Distribuzione
durata:
114'
produzione:
Alexander Glehr, Johanna Scherz
sceneggiatura:
Marie Kreutzer
fotografia:
Judith Kaufmann
scenografie:
Martin Reiter
montaggio:
Ulrike Kofler
costumi:
Monika Buttinger
musiche:
Camille