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recensione di Davide Spinelli
7.5/10

Buddy (Jude Hill) è un bambino di nove anni e vive a Belfast. A scuola la maestra assegna una ricerca sull'allunaggio e Margaret Thatcher inizia la sua scalata a Primo Ministro. Buddy da grande vuole fare il calciatore nel Manchester United come George Best, ama i film d'avventura e ha una cotta per la sua compagna di classe Catherine. Lei è cattolica, lui protestante, come la sua famiglia. È l'agosto del 1969, l'inizio dei Troubles in Irlanda del Nord.

"Belfast" è l'Amarcord di Kenneth Branagh. Il punto di vista di Buddy è l'oggetto-soggetto della pellicola: da un lato il movimento di camera è iper-subordinato alla sua presenza, dall'altro la sua (apparente) assenza è soggettivizzata dalla macchina da presa "ad altezza Buddy" – come dice Branagh al Times. I disordini in Irlanda del Nord non sono il focus narrativo del film, semmai rappresentano il collante coesivo dell'autobiografia di Branagh, un determinante esistenziale che a livello metanarrativo rende superflua ogni presa di posizione storico-politica. A tenere banco sono i consigli del nonno (Ciarán Hinds) per conquistare Catherine, i furti delle barrette di cioccolato nel negozio in fondo alla strada, le moltiplicazioni a quattro cifre, i primi film con gli effetti speciali, il detersivo biologico della madre (Caitríona Balfe).
La dimensione intensionale ed estensionale di "Belfast" coincide, da qui, forse, la preferenza bicromatica. Una scelta cruciale a livello narratologico che, per esempio, segna una differenza sostanziale tra il film di Branagh e "Roma", a cui (a ragione) "Belfast" è spesso accostato: se nell'apprezzatissimo armarcord di Cuaron il bianco e nero digitale (come in "Belfast") è ontologia, in Branagh è un veicolo assiologico, di interpretazione del reale, che non è scelta ma passaggio – oltre i colori dei murales della Belfast di oggi. "Roma" è una pellicola anche neorealista, "Belfast" no.

Branagh racconta dei Troubles in (sole) due sequenze lontane tra loro. La prima, in apertura, funge da innesco proiettico al film; la carrellata circolare che isola Buddy in Mountcollyer Street e al contempo seziona le violenze nel campo lungo di-mostra il gioco di prestigio del regista britannico: una pellicola in cui il contesto è metadiscorso del/sul focus narrativo. La seconda, drammatica, ribadisce l'intenzione prolettica: durante l'ennesimo scontro tra protestanti e cattolici, sarà la paura di perdere la propria famiglia a convincere la madre di Buddy a lasciare Belfast per Londra (dove il marito ha trovato lavoro), uno dei pochi episodi in cui l'orizzonte della camera resta alto.

"Belfast" è un film senza nomi propri, ne conosciamo solo due, Buddy e Catherine. Ma', Pa' (Jamie Dorman), Granny (Judie Dench) sono gli epifenomeni di una narrazione dell'interpretazione (di e con Buddy). Nella pellicola di Branagh è sempre la conseguenza al centro, mai la causa: "Se andrò via da Belfast", dice il ragazzo, "mi prenderanno tutti in giro per come parlo e non avrò più amici". "Belfast" è alimentato da un ricircolo narrativo continuo, che ricolloca il dettaglio. I long take non dicono l'opposto: il ricordo ha un'elaborazione lenta, ma un carattere estemporaneo e ricorsivo, come le colonnine allargate della ringhiera che Buddy sfrutta per andare a giocare o tornare a casa. 

Questa sovrapposizione tra intensione e estensione – di cui si diceva - conferisce al film un'atmosfera provocatoriamente inconsistente, infantile, persino atopica nella scena/sogno in cui Jamie Dorman (finalmente di ritorno ai film d'autore con cui aveva cominciato la carriera, prima di essere Mr. 50 sfumature) e Caitríona Balfe ballano "Everlasting Love" nella versione dei Love Affair; una scelta paradossale in una pellicola così storicamente connotata, che però restituisce uno degli ingredienti chiave del "a m'arcord" ("io mi ricordo") in "Belfast": la nostalgia. Un esercizio alla filosofia – il nonno "era un gran filosofo" – e alla ri-conoscenza, quella di Pa' per sua moglie, per aver cresciuto i figli da sola. Il rapporto tra Pa' e Ma' è una delle sottotrame più belle di "Belfast".

Come in "Roma" e/o in "È stata la mano di dio" - l'altro amarcord a cui "Belfast" è stato paragonato - anche la pellicola di Branagh ha un intertesto ricchissimo, dai western a Rachel Welch in "Un milione di anni fa" alla colonna sonora di Van Morrison, il controcampo impalpabile di "Belfast". Non a caso, la carrellata circolare attorno a Buddy è forse l'unico grande silenzio del film. Branagh ha scelto un tessuto sonoro riconoscibile, invadente, didascalico, talvolta onirico. La soundtrack di Morrison è la controparte ideale dello sguardo di Buddy. Lo spirito onirico di "Amarcord" diventa l'unica arma da contrappore a chi mette in vendita il senso di appartenenza: "Sei protestante o cattolico?"

"Belfast" condivide la verità emotiva di "Anni '40" di John Boorman. L'impressione è che il regista britannico abbia costruito un racconto disinteressato, disimpegnato, divertente e intimista come in Boorman e con un tema omnicomprensivo: del ricordo/memoria. Di nuovo, estensione e intensione si mischiano. La componente mnemonica intreccia la misura strumentale (il bianco e nero), interpretativa; il piano semantico è del ricordo. Il verbo di "Belfast" è (non) scordare. La necessità di andare avanti di cui parla Vulture circoscrive un territorio (romantico) che a Branagh interessa poco; "Belfast" "accorda" al centro ciò che è distante, "ri-corda". Ecco la carrellata circolare, e l'ultima battuta del nonno: "Non andrò in un posto dove non potrai cercarmi". A ognuno il suo amarcord.


28/02/2022

Cast e credits

cast:
Colin Morgan, Jude Hill, Jamie Dornan, Judi Dench, Caitriona Balfe


regia:
Kenneth Branagh


distribuzione:
Universal Pictures


durata:
97'


produzione:
TKBC


sceneggiatura:
Kenneth Branagh


fotografia:
Haris Zambarloukos


scenografie:
Jim Clay


montaggio:
Úna Ní Dhonghaíle


costumi:
Charlotte Walter


musiche:
Patrick Doyle


Trama
"Belfast" racconta la vita di una famiglia protestante nell'Ulster dal punto di vista del figlio più piccolo Buddy, di nove anni, nell'agosto del 1969, l'inizio degli scontri che travolgeranno la vita dell'Irlanda del Nord e che passeranno alla storia come Troubles.
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