Fin dai primi fotogrammi "The Hole in the Ground" sottolinea i propri modelli, proponendo un'intro marcatamente shininghiana (proprio a poche settimane dall’uscita di "Doctor Sleep"), dove una OST opprimente e ricca di suoni distorti accompagna il percorso in auto dei protagonisti verso il loro rifugio/trappola, sottoponendo la macchia da presa a vari virtuosismi aerei che terminano con un completo rovesciamento della prospettiva, rendente il mondo upside down. La prospettiva con cui approcciarsi al film va forzatamente ribaltata rispetto al capolavoro di Kubrick, nonostante il giovane protagonista James Quinn Markey sia veramente simile, soprattutto in certi momenti, a Danny Lloyd e le decorazioni con cui viene tappezzata la nuova abitazione dei protagonisti siano un esplicito rimando alla moquette dei corridoi dell’Overlook Hotel (e al tema del labirinto, ça va sans dire). Questo perchè quel film consisteva nella fuoriuscita dell’horror dal genere per svilupparne il portato speculativo laddove "Hole" è, più classicamente, un affondare (immagine cardine della pellicola) del dramma umano tra le vene fantastiche del genere, riaffermandolo come realtà narrativa parallela.
Long story short, il primo lungometraggio di Lee Cronin è, nonostante i suoi numerosi modelli che trascendono il genere ("Shining", "Le colline hanno gli occhi", "Badabook", etc…), un film perfettamente conforme all’horror convenzionale, concedendosi tutt’al più una digressione fra l’avventuroso e il surreale nel prefinale, quando la protagonista decide di non subire più l’oppressione della creatura che le ha sottratto il figlio e si immerge nel (suggestivissimo) gorgo paludoso in mezzo alla foresta. "The Hole in the Ground", dal titolo forse troppo autoevidente e prosaico per poter contenere una qualche occulta e profonda riflessione, riesce in effetti al meglio sotto il profilo estetico, caratterizzandosi per una fotografia di rara cupezza e una cura per le scenografie e i costumi, e come vengono usati, che lo distingue dal novero di film con una trama simile e che riflette la consapevolezza di un regista che, seppur finora solo con formati più brevi, ha affrontato il genere in numerose altre occasioni. Non a caso i dettagli assumono un’importanza inusitata nella narrazione e nel discorso della pellicola, permettendo alla giovane protagonista e allo spettatore di dare senso a quei disperati momenti di ricerca di minuzie nelle tenebre per ritrovare ciò che si cerca (e per prepararsi al jump scare successivo). Difatti nel momento in cui ciò è più evidente (una corsa nel buio della foresta) ci si affida quasi interamente a una soggettiva shaky.
Europeo più per la caterva di produttori e finanziatori pubblici che per caratteristiche narrative o estetiche "Hole" fa un uso sicuramente efficace a livello visivo ma banale del contesto irlandese, non tracciando mai un rapporto stretto fra i luoghi, apparentemente così centrali, e gli avvenimenti, così come fra il duo al centro della vicenda e il microcosmo provinciale in cui si muovono, che si rivela puramente ornativo data la decisione di focalizzarsi in maniera cogente sul dramma della madre isolata, replica, come sempre avviene nell’horror, genere formalmente riproduttivo per antonomasia, di una tragedia già avvenuta in passato. Per via della dinamica personale al centro della pellicola molti sono stati i riferimenti alla vicinanza con "Badabook" di Jennifer Kent, il quale resta però un inventivo esempio di come confezionare un prodotto saldamente di genere attorno a un complesso (e forse anche un po' pretenzioso) nucleo tematico, laddove come si è già detto il film di Cronin si limita a fornire un gradevole spettacolo. Mentre nel film del 2014 il mostruoso e le sue matrici restavano ambigui fino al finale e gli eventi e i dialoghi raggiungevano spesso vette di parossismo che li rendevano realistici, in "The Hole in the Ground" tutto è addomesticatamente cinematografico, come si può evincere dalla totale mancanza di astio che ha la giovane madre nei confronti dell’irritante figlioletto, per poi divenire aggressiva quando diviene molto più amorevole e posato. Guarda caso il bambino perfetto è un mostro (un changeling, ad essere precisi) e il diavolo sta nei dettagli.
Eppure forse "Hole" qualcosa da dire in più, fra le pieghe della bella confezione e dei cliché, ce l'ha: costituendosi come una sorta di apologia del prodotto di genere conformato (e quindi riproduttivo) e ponendo tanta enfasi narrativa sugli specchi e la loro capacità di riflettere la verità (una ripetizione che arricchisce, come quella fotografica del cinema) non si può che pensare al finale come un tentativo di problematizzare l’affidabilità della visione, tanto più se superficiale, e un invito a rivedere le cose con mediazione e riflessione, cosa resa possibile solo tramite la riproduzione. D'altronde non è tutto oro quel che luccica. Lunga vita alla formularità.
cast:
James Quinn Markey, Seàna Kerslake, James Cosmo, Kati Outinen, Simone Kirby
regia:
Lee Cronin
titolo originale:
The Hole in the Ground
distribuzione:
Koch Media, Midnight Factory
durata:
90'
produzione:
Savage Productions, Wrong Men, Made, Irish Film Board, Bankside Films, Wallimage, VOO, Be TV, BNP Pa
sceneggiatura:
Lee Cronin, Stephen Fields
fotografia:
Tom Comerfeld
scenografie:
Conor Dennison, Derek Wallace
montaggio:
Colin Campbell
costumi:
Lorna Marie Mugan, Saija Siekkinen
musiche:
Stephen McKeon