"Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude, isteriche trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa... A fumare nel buio soprannaturale di soffitte ad acqua fredda fluttuando nelle cime della città, contemplando jazz.." ("Howl")
Un altro film sulla Beat Generation. Quel movimento artistico-letterario, nato in contrasto con l'ipocrisia maccartista, che negli anni 50 esordì in America fino ad espandersi a macchia d'olio, che tutti conosciamo a menadito e che ha sdoganato la Cadillac e le polverose strade americane, è oggi una sorta di entità totemica, un sigillo di garanzia definitivo su velleità anticonformiste di plastica. Finanche per il cinema si presenta, dunque, come un territorio insidioso su cui far calare la cinepresa. Nonostante ciò, è proprio in sala che la beat generation ritorna - dal 1991, anno de "Il pasto nudo" - sotto l'ala protettiva del cinema indipendente del Sundance Film Festival, che negli ultimi anni ha dedicato a Kerouac e amici qualche film: l'ibrido "Howl" di Rob Epstein e Jeffrey Friedman sui tormenti di Allen Ginsberg (James Franco), "Big Sur" di Michael Polish che ha appena debuttato al suddetto festival e (probabilmente non) ultimo "Giovani ribelli". Senza dimenticare "On The Road" del regista brasiliano Walter Salles, presentato a Cannes appena l'anno scorso.
John Krokidas, aiutato in fase di scrittura dall'amico Austin Bunn, presenta la sua opera prima e arrischia già due scommesse da vincere: in primis, la più lapalissiana, affrancarsi da una ulteriore banalizzazione, di cui non si sente davvero il bisogno, del ribellismo di questi autori maledetti; mentre l'altra e più cocente sfida è dare a Daniel Radcliff una identità cinematografica nuova dopo otto anni di Harry Potter.
Da occhialuto maghetto a - altrettanto occhialuto - Allen Ginsberg.
Come già la sua collega Emma Watson, vista in "Noi siamo infinito" e "Bling Ring", Daniel Radcliff si lascia alle spalle il passato e si confà al suo ruolo in modo quantomeno dignitoso. A rubargli la scena, però, c'è chi non vede rivali, Dane DeHaan, attore dall'immagine quasi androgina, in cui la purezza assume un certo grado di pericolosità, e grazie a questo è credibile e magnetico nelle vesti retrò di Lucien Carr.
1944, Columbia University. La scelta di argomentare della beat generation senza, invero, parlarne - il film sembra un fumoso noir degli anni 40 incentrato com'è sull'episodio minore di un omicidio e sul tentativo pedante di ricreare il mood di quegli anni - appare fiocamente vincente. Siamo nel 1944, agli albori di un mito che ancora non era tale, quando Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs erano solo degli studenti della Columbia University, laddove la ricerca poetica era in nuce e la dissoluzione della metrica ancora blasfemia, tanto da essere relegata a un ruolo pseudo accessorio nel film; ad attrarre l'attenzione dello spettatore è la costruzione e perdizione di queste identità, prima del processo di beatificazione posteriore. Se l'idea è buona, però, la sua realizzazione tecnica lo è meno, dal momento che non riesce a disarcionarsi dalla superficie e finanche autodistruzione e depravazione sembrano derivati romantici. La messinscena è elegante ma artificiosa; una confezione scintillante e dinamica, ma irrimediabilmente convenzionale. Elementi, questi, da considerare determinanti nel valutare al ribasso la portata di un film che, a conti fatti, non si discosta dalla maniera nonostante i buoni propositi (?) e qualche sorpresa, come l'uso di musica anacronistica (Tv On The Radio, tra gli altri) a suggello adrenalico di scene chiave.
cast:
Daniel Radcliffe, Dane DeHaan, Michael C. Hall, Elizabeth Olsen, Jennifer Jason Leigh, Ben Foster, David Cross, Kyra Sedgwick, Jack Huston
regia:
John Krokidas
titolo originale:
Kill Your Darlings
distribuzione:
Notorious Pictures
durata:
104'
produzione:
Killer Films, Benaroya Pictures, Dontanville / Frattaroli Management
sceneggiatura:
Austin Bunn, John Krokidas