Grazie al successo dell'iniziativa della Nexo Digital che l'anno scorso fece uscire la versione restaurata e rimasterizzata di "Akira" di Katsuhiro Otomo, anche nel 2014 vi è stato un ciclo di uscite dedicate all'animazione giapponese e, dopo la maratona di "Ghost in the Shell", viene distribuita per la prima volta nelle sale italiane un'opera di Makoto Shinkai, "Il giardino delle parole".
Shinkai, classe 1973, è un giovane regista di anime con al suo attivo un titolo che nel 2007 si rivelò un vero fenomeno, "5 centimetri al secondo". La storia ruotava intorno a un amore adolescenziale che segna la vita del ragazzo protagonista, seguendone il percorso nei tre atti in cui è suddiviso il lungometraggio: Shinkai disegnava un coming of age sentimentale e malinconico, focalizzandosi sulla difficoltà di gestire ed esprimere le proprie emozioni, e sulle barriere che vengono a interrompere i sentimenti più puri, siano esse reali distanze geografiche o puramente virtuali. Premiato e osannato in ogni dove, qualche rivista arrivò persino a indicare il regista come l'erede di Hayao Miyazaki, etichetta con cui viene sponsorizzato ancora oggi. Non ce ne vogliano i fan di Shinkai ma bisogna ammettere, col senno di poi, che il clamore suscitato da "5 centimetri al secondo" fu effettivamente esagerato: al di là di una notevole abilità tecnica, Shinkai si ispira in maniera piuttosto evidente alle tematiche di Wong Kar-wai, imitandone a tratti anche lo stile nei montage sui dolenti ricordi, recitati fuori campo. Una cosa che manca però al regista giapponese è l'originalità stilistica, la capacità di nobilitare la propria visionarietà in una poesia che non si sbiadisca in inutili effetti estetizzanti. E "Il giardino delle parole", che arriva, nella filmografia dell'autore, dopo un tentativo di narrazione più ambizioso come "Viaggio verso Agartha - Children Who Chase Lost Voices", conferma tutti i limiti del giovane autore.
Il parco nazionale Shinjuku Gyoen è il luogo dove il quindicenne Takao Akizuki ripara nei giorni di pioggia, poiché ha deciso che in quei giorni non andrà a scuola; in un gazebo trova una donna più grande di lui che siede trangugiando un insolito snack composto da cioccolata e birra. Il ragazzo la scambia per un'impiegata che ha saltato un giorno di lavoro, la osserva incuriosito, poi inizia a disegnare sul suo taccuino modelli di scarpe: infatti, l'umile sogno di Takao è quello di fare il calzolaio. È la stagione delle piogge, pertanto, il ragazzo salta spesso la scuola, ritrovando ogni volta la stessa giovane donna: inizia una consuetudine fatta di silenzi e di sguardi, poi di qualche conversazione formale, fino a una conoscenza reciproca che sospende le solitudini dei due personaggi in questa bolla di vicinanza affettuosa. Come al solito, Shinkai segue entrambi i propri protagonisti, mantenendo il segreto identitario che avvolge la donna, che romperà in seguito gli equilibri nel rapporto tra i due.
La tecnica di Shinkai, che disegna, gira e monta i suoi film in totale autonomia, è votata a un suggestivo fotorealismo che tende a creare momenti di lirismo e di poesia: le pozzanghere su cui continuano a cadere gocce di pioggia, gli scorci sul cielo e sullo skyline di Tokyo, il grigio affollamento delle strade, e il verde smeraldo che si spande attorno al solitario gazebo, sono immagini maniacalmente curate dal regista attraverso l'animazione digitale e un'attenzione spasmodica alla rifrazione della luce sui colori. Il montaggio non lineare e fortemente ellittico è naturalmente l'arma migliore per legare insieme episodi di una vicenda dalla trama molto esile ed evanescente: per ricordi, associazioni e confessioni, scopriamo di più delle vite dei due protagonisti. Se, come detto, sono indubbie le capacità tecniche del regista e gran parte del lavoro si focalizza sull'apparato visivo, è inevitabile notare come esso attivi certi meccanismi di fascinazione (o dovremmo dire di distrazione?) quasi per sopperire doti narrative assai modeste. Takao e Yukari, allontanati dalla pace bagnata di pioggia del giardino, divengono personaggi che Shinkai tenta di spiegare attraverso varie scene i cui toni si fanno sempre più didascalici, fino al finale gridato e imbarazzante nel suo pressappochismo, per un mediometraggio che aveva fatto della compostezza e dell'ordine la via maestra.
La chiosa demandata a una canzone che sintetizza il senso dell'opera è tipica di molti anime, ma l'uso sdolcinato che ne fa Shinkai rovina parzialmente anche quanto di buono costruito in precedenza, poiché appare come un modo semplicistico per concludere senza troppi patemi un arco narrativo che non si sa più dove condurre, pompando altre immagini perfettamente patinate che hanno ormai intorpidito i sensi dello spettatore; ad esempio, la rinascita spirituale di un'anima in stasi esistenziale sembra una destinazione scelta a priori dall'autore piuttosto che un percorso effettivamente esperito dalla protagonista femminile. Si spera che gli impacci adolescenziali di Shinkai nell'esprimere le emozioni che è così bravo a suggerire attraverso le immagini, verranno a cadere con opere più mature, e che questo talento dell'animazione giapponese non rimanga confinato alla categoria delle eterne promesse.
"Il giardino delle parole" è preceduto dal cortometraggio "Someone's Gaze": una storia di ricordi infantili dai colori tenui, ambientata nella Tokyo di un futuro molto prossimo. E pur nella sua brevissima durata, non manca la didascalica canzone finale.
regia:
Makoto Shinkai
titolo originale:
Kotonoha no niwa
distribuzione:
Nexo Digital
durata:
46'
produzione:
CoMix Wave
sceneggiatura:
Makoto Shinkai
fotografia:
Makoto Shinkai
montaggio:
Makoto Shinkai
musiche:
Daisuke Kashiwa