Nel 1957 lo Sputnik raggiunse l'orbita terrestre e l'Ovest scoprì con terrore che l'Est gli era superiore nell'esplorazione spaziale. Nel 1988 uscì "Akira" e l'Occidente scoprì con meraviglia i livelli a cui l'animazione era giunta in Oriente. Dalla tecnica alle tematiche affrontate, "Akira" faceva sembrare i film di animazione occidentali come i disegni che i bambini fanno a Natale per i genitori.
Come spesso accade ai film distopici ambientati nel futuro prossimo, spesso si è evocato "Blade Runner" per parlare di "Akira". Ma a parte la suggestiva presenza di robot e un vago accenno alle colonie extra-mondo non sappiamo nulla del mondo di "Blade Runner". "Akira", come la fantascienza più bella, in sole due ore crea una realtà - in primo piano abbiamo una splendida storia di amicizia ("Fanno sempre così, con i nuovi arrivati"), nel piano immediatamente successivo scontri tra gang di motociclisti appena adolescenti in una città al neon, come sfondo sociale una società corrotta e tecnocratica che non riesce ad affrontare il futuro, con violenti scontri di piazza e tentazioni autoritarie, come filosofia di base l'idea che le potenzialità dell'essere umano siano illimitate e in attesa soltanto di essere liberate. Questo si rispecchia in un livello di dettaglio bruegeliano e soprattutto dinamico: le azioni dei protagonisti non si stagliano su fondi acquerellati, ma su un una città in delirio, brulicante di inquieta umanità, in cui ogni tassello è dotato di vita propria.
Volontà di potenza
Hiroshima, Nagasaki, decine di migliaia di morti in un istante. Da qui parte "Akira". Se l'uomo costantemente trasforma in distruzione i suoi progressi tecnologici, cosa accadrebbe se avesse accesso a una potenza maggiore, se fosse in grado di manipolare il tessuto che tiene unito l'universo? La riflessione sul potere è il primo livello di lettura di "Akira". Un potere per cui si lotta su tutte le scale: la gang di Kaneda e i clown lottano sulle strade, i manifestanti, i terroristi, il governo e il Colonnello lottano per controllare il Giappone, Tetsuo lotta contro tutti al solo fine di dimostrare di essere il più forte.
In un fumetto precedente di Otomo ("Domu - Sogni di bambini," molto bello) si narra della lotta tra un vecchietto che si diverte con i suoi poteri a suicidare gli abitanti di un gigantesco condominio e una bambina con gli stessi poteri che cerca di impedirglielo. Dopo molti scontri violenti e spettacolari, la resa dei conti è silenziosa, in un giardinetto, e le persone circostanti neanche se ne accorgono, O meglio, gli adulti non se ne accorgono, ma se guardiamo attentamente i dettagliatissimi disegni di Otomo notiamo che molti bambini del giardinetto e alle finestre dei palazzi circostanti hanno lo sguardo rivolto allo scontro, senza dire niente.
Anche in "Akira" lo scontro di potere assume connotati generazionali. Il vero potere è inaccessibile agli adulti, che tentano solo di analizzare, guidare, sfruttare la potenza dei giovani, e alla fine non riuscendoci scelgono sempre di reprimerli. Il vascello ideale per il potere sono addirittura i bambini con il loro cervello duttile e la loro innocenza. Cosa succede una volta che il potere appare nel corpo di un adolescente ribelle come Tetsuo? Grossi guai. Al di là dell'uso che ne fa, il problema è proprio che Tetsuo non sembra in grado di contenere il potere e questo è visualizzato da una serie di visioni di disgregazione del corpo, che culminano nel barocchissimo, strabordante climax finale nello stadio in costruzione in cui pare che il potere prenda il sopravvento non solo sul corpo di Tetsuo, ma sulla stessa narrazione che si fa eccessiva, visionaria, irrazionale. A Tetsuo sono riservate le scene più sconvolgenti, con scene che a posteriori possiamo definire cronenbergeriane (l'incubo nella camera) o miikiane (i soldati spappolati nei corridoi).
Il contraltare di Tetsuo è l'amico/nemico Kaneda. Kaneda è il personaggio più cool in senso classico: non piega la testa davanti alle autorità (letteralmente), ha una moto incredibile che è l'oggetto d'attrazione tanto per gli spettatori quanto per gli altri personaggi del film (ed è infatti diventata l'icona del film). E' il protagonista action del film, con acrobazie e scontri mozzafiato, e da vero eroe moderno si ritrova coinvolto in storie più grandi di lui mentre persegue i suoi scopi personali: conquistare la bella terrorista Kei, vendicare l'amico Yamagata, e soprattutto aiutare Tetsuo. Il rapporto fra i due è di amicizia e al contempo di potere è uno dei temi principali del film. Cosa si prova ad essere continuamente salvati dall'amico più grande? Solo gratitudine? Cosa si prova quando il proprio amico sempre in difficoltà diventa a un tratto più importante di noi? Solo ammirazione?
"Akira" è tratto da un manga eccezionale, innovativo e complesso, una delle opere più ambiziose e riuscite che il mezzo-fumetto abbia mai creato. Curiosamente, la serie era ancora in corso quando è stato realizzato il film, e quindi questo pone la sua conclusione a uno snodo critico della storia, ma il lettore sa che c'è molto altro. Per questi motivi ci sono temi molto importanti nel fumetto che nel film sono solo accennati (la religione) o assenti (il rapporto Giappone-Stati Uniti, volendo simile a quello Tetsuo-Kaneda). Il film è un'opera conclusa in sè che non richiede neanche la conoscenza dell'esistenza del fumetto, ed è un altro dei suoi pregi. Ma non possiamo non consigliare vivamente anche la lettura del manga, anche per le numerose soluzioni "cinematografiche" che emergono dalla composizione della pagina e delle singole vignette di Otomo.
Sons et lumières
Quando gira il film di "Akira", Otomo è ben intenzionato a superare i limiti tecnici del fumetto e quelli del film di animazione. Alcuni esempi. Il cinema è costretto all'inquadratura rettangolare, mentre effetti notevoli possono essere ottenuti nel fumetto dall'uso di vignette di forma più bizzarra. Otomo sopperisce con un certo uso di inquadrature non parallele al suolo. Nel fumetto il tempo di lettura delle vignette è in teoria in mano al lettore in pratica guidato dal disegnatore - puoi dilatare il tempo con una serie di vignette con differenze impercettibili. Otomo fa spesso uso del ralenti. Parte dell'epica dell'apocalisse tipica del film è data dal fatto che ogni volta che ci sono dei vetri infranti (ogni tre minuti) questi vengono visti cadere al rallentatore e sembrano quasi neve, dando un effetto poetico alla distruzione. Infine, grazie all'animazione e all'uso sapiente di ombre, ad alcuni oggetti centrali del mondo di "Akira" (il fuoco e il fumo, l'acqua e i vapori, il sangue) viene data una consistenza eccessiva, come se fossero praticamente solidi, dando un effetto di iperrealismo straniante per lo spettatore.
Ma i due elementi centrali sono la luce e il suono. A differenza della realtà, nel fumetto e nell'animazione nulla osta alla luce totale (alla Duccio di "Boris") che investe in modo forte e unifome tutta la scena, ma questo significherebbe rinunciare a un mezzo potente del cinema, e allora Otomo addirittura fa della distribuzione della luce una tecnica centrale del film. Dall'inseguimento iniziale definito dalle strisciate dei fari delle moto in mezzo ai neon della città, all'uso continuo di torce, fari, riflettori che selezionano una inquadratura (non rettangolare) all'interno dell'inquadratura, dalla luce "mistica" dell'aura del potere, a quella nera dell'apocalisse, dai giochi di ombre accentuati sui volti dei protagonisti ai raggi di luce quasi solidi che trafiggono le nuvole nel finale.
La colonna sonora del collettivo Geinoh Yamashirogumi è altrettanto barocca e potente. Stilisticamente mescola musica elettronica, classica europea e tradizionale dall'Indonesia e dal Giappone. Come risultato abbiamo pezzi di straordinaria tensione ("Kaneda", "Battle against the clown"), pezzi sognanti ("Illusion" e "Requiem") e pezzi in cui le due atmosfere mutano l'una nell'altra ("Doll's polyphony"). L'incastro tra musiche e narrazione è così perfetto che si ha quasi l'impressione che già quando scriveva il fumetto Otomo le avesse in mente. O forse sono solo tutti molto bravi.
C'è infine un momento bellissimo, irreale, in cui luce e suoni si fondono. Una scena notturna con dialoghi molto intensi ha luogo pochi metri sotto dei giganteschi elicotteri dell'esercito in azione. I protagonisti a rigore non dovrebbero sentire niente. Ma il suono delle pale viene sentito da spettatori e personaggi solo quando entra nell'inquadratura la luce dei fari, creando un alternarsi di buio intimo e silenzioso e luce intrusiva e violenta molto efficace.
Live action film (in pre-production)
Si parla da più di dieci anni di una versione reale di "Akira". Non se ne farà mai niente, e per due motivi. Il primo è tecnico. Soltanto in anni relativamente recenti gli effetti speciali si sono sviluppati al punto di riprodurre alcune scene di piccolo calibro di chiara ispirazione akiresca (il rainmaker di "Looper" e il finale di "Chronicle", che è quasi un plagio). Prima che si giunga a riprodurre l'intero spettro dell'apocalisse di "Akira" in maniera abbastanza realistica da non sembrare animazione a sua volta ci vorrà così tanto tempo che del film originale si sarà persa memoria. Ma il vero motivo è stilistico. Non si può giungere in live action a tali vette di barocco senza che risulti eccessivo. Pensate alla fusione uomo-macchina-edifici del pre-finale. Nell'animazione è sconvolgente, ma siamo in grado di processarla e accettarla. Dal vivo risulterebbe talmente impressionante da fare del film un prodotto di nicchia per appassionati di horror e altererebbe l'equilibrio del film. O, più semplicemente, pensate ai bambini-vecchi o a dei ragazzini di 15 anni che tengono testa all'esercito. Quello che nel mondo di "Akira" è poetico ed emozionante nel nostro triste mondo reale sarebbe grottesco. Non solo non avremo mai la versione live action di "Akira", ma probabilmente non avremo mai anime di questo tipo: Otomo ha fatto un solo tentativo ("Steamboy") decisamente fallito, ed è poi tornato ai fumetti con qualche incursione non-anime nel cinema. Teniamoci quindi stretti questo irripetibile capolavoro che è "Akira" e andiamo a vederlo al cinema ancora una volta o, i più fortunati, per la prima volta.