Francois Ozon, abituato ormai da tempo il suo pubblico alla duttilità della sua cinematografia, approda a un tema indubbiamente impegnativo quale può essere quello dell’eutanasia mantenendosi abilmente equidistante dalla sterile polemica ideologica e dal facile patetismo. Se il contesto nel quale si cala la vicenda di Emmanuèle e Pascal, donne mature costrette ad assistere il padre Andrè, vittima di un ictus, è quello tipicamente ozoniano della famiglia borghese, i mezzi espressivi a cui ricorre il prolifico regista francese sono tanto duttilmente adeguati alla diegesi da confezionare un’opera convinta e riuscita al contempo. Dopo aver scandagliato l’animo umano alle prese con l’elaborazione del lutto in due pellicole precedenti, "Una nuova amica" (2014) e "Frantz" (2016), Ozon rivolge la sua attenzione a ciò che accade prima che il trapasso si realizzi, avvicinandovisi per tappe scandite dalle date che danno avvio alle sequenze. Per quanto i risultati della sua arte non siano sempre sorretti dalla medesima vena ispiratrice, c’è da rimanere indubbiamente stupiti per la disinvolta agilità con la quale il regista si muove tra le pieghe dell’inquieta borghesia transalpina, cui pare siano rimaste ormai ben poche certezze. Giudicata dall’esterno e ripresa dalle prime inquadrature, la classe media appare rivestita di una scorza protettiva costituita da case confortevoli, accoglienti, circonfuse dalla rassicurante atmosfera di cui la passione per la musica eseguita, o anche semplicemente ascoltata, vuole essere come un sigillo di garanzia, ad esempio come avviene ne "Il Rifugio" (2009). Accanto alla musica, l’arte, altra musa che i costumi dovrebbe ingentilire e gli animi rasserenare, come avviene in "Nella casa" (2012). In questi contesti i drammi non sono quasi mai legati a ragioni economiche, ma alla scoperta di un vissuto che mette a nudo la natura effimera del mito della civiltà borghese. Rispetto alle pellicole precedenti, in "È andato tutto bene" questo quadro idillico iniziale è in verità sacrificato all’esigenza di rimescolare le carte e sorprendere lo spettatore.
Emmanuèle, donna di mezza età, apprende da una telefonata che Andrè, il padre ottantenne, ha avuto un ictus. Precipitatasi in ospedale realizza che egli non potrà più aspirare a una vita pienamente autonoma, ma è disposta a prendersi cura di lui per affrettarne il recupero. Ben presto, tuttavia, è proprio Andrè che non accetta la propria condizione, tanto da confessare senza mezze misure la volontà di morire e affida anzi a Emmanuèle il compito di occuparsi degli aspetti burocratici connessi al proprio intento. Andrè è un padre forte e volitivo, poco assertivo e dai modi diretti. Narratologicamente, infatti, ad andare incontro all’arco di trasformazione del personaggio non è tanto lui quanto Emmanuèle: la figlia dovrà suo malgrado accondiscendere alla volontà paterna. Fin quando (nella prima parte del film) dura la distanza tra le due posizioni, quella della vita a tutti i costi e quella della morte assistita, il divario tra il padre e le due figlie non assume mai i contorni di un agone dialettico, non viene trasferito all’esterno del nido familiare, non diventa occasione per cortei o prime pagine sui giornali, ma viene scisso dal contesto sociale e ricodificato attraverso precise scelte di inquadratura. Ozon, infatti, conscio di quanto sarebbe stato goffo imbastire una continua diatriba tra padre e figlia, preferisce esprimerla collocando i due agli antipodi dell’inquadratura. Vi è ad esempio un’inquadratura assai efficace nella quale si nota che la linea disegnata dal profilo di Emmanuèle e Pascal (sedute sulla sinistra) disegna una linea perpendicolare rispetto a quella del padre (sdraiato sulla destra). Anche la complicità tra le due sorelle passa più attraverso le immagini che le parole: una messa in quadro ce le regala mentre si stringono le mani rivolgendosi l’una verso l’altra al centro del profilmico. Il cineasta francese si è insomma lasciato alle spalle alcuni eccessi verbosi de "Grazie a Dio" (2019) dovuti soprattutto a causa dell’insistito ricorso alla voce fuori campo. Inoltre, rispetto alla succitata opera, caratterizzata da una prospettiva che da intima si fa corale per abbracciare tutta una serie di personaggi accomunati dal medesimo destino di quello principale, qui il focus rimane costantemente sul rapporto tra il padre e le due figlie.
Senza svelare eccessivi dettagli, va detto che "È andato tutto bene" spiazza lo spettatore già nel titolo, giacchè questo si rivela fuorviante rispetto alle attese. In quest’ottica, anche i flashback sono più evocativi che esplicativi. Il soggetto del film è tratto dall'adattamento del romanzo autobiografico di Emmanuèle Bernheim (già sceneggiatrice di quattro film di Ozon). Una trasposizione originatasi da un testo di taglio comportamentista, e soprattutto asciutto, già vicino quindi allo stile filmico di Ozon. Per quanto si tratti di un’opera dall'impianto drammatico, Ozon continua a sperimentare e innovare, e nella pellicola non mancano venature da commedia, come in qualche battuta arguta, o nell’ossimorica sequenza dell’ultima cena, che fonde la giovialità dei convitati alle lacrime di Emmanuèle. La leggerezza, la giusta dose di ironia sapientemente disseminata sono tra gli ingredienti della gradevolezza del film, come quando Serge, l’impacciato cinefilo, non riesce a far entrare la carrozzina nell’ascensore. A colpire, ancora, è soprattutto il tono medio, la giusta distanza (anche nelle inquadrature), la scelta di mostrare più che dimostrare, e la rinuncia a prendere una posizione netta che metta fuori gioco qualcuno dei personaggi. Per quanto la vicenda narrata sia seria, con Ozon ci sentiamo all’interno della stanza dell’ospedale, vediamo i personaggi agire, ma non ce ne sentiamo giudici. La seconda parte del film si fa invece più incalzante, tingendosi di giallo: Andrè andrà fino in fondo o cambierà il suo proposito? Per quanto attiene il tema dell’omosessualità, costantemente presente nei suoi film, stavolta esso è rimasto più defilato. In conclusione, se è lecito indicare una battuta che riassuma il film, si potrebbe citare quella di Andrè: “Vivere non è sopravvivere”.
cast:
Sophie Marceau, André Dussollier, Géraldine Pailhas, Charlotte Rampling, Éric Caravaca, Hanna Schygulla, Grégory Gadebois
regia:
François Ozon
titolo originale:
Tout s'est bien passé
distribuzione:
Academy Two
durata:
113'
produzione:
Mandarin Films
sceneggiatura:
Emmanuèle Bernheim, François Ozon, Philippe Piazzo
fotografia:
Hichame Alaouie
scenografie:
Emmanuèle Duplay
montaggio:
Laure Gardette
costumi:
Ursula Paredes Choto