"Volevo che tu mi salvassi"
Il capitalismo è di spalle, ha un'arma da fuoco puntata alla nuca ed è ormai prossimo alla morte. A pochi mesi dall'uscita di "A Dangerous Method", David Cronenberg torna sul grande schermo adattando uno dei romanzi postmoderni più controversi dell'ultimo decennio, "Cosmopolis" di Don DeLillo, apologo oscuro e (sur)reale sul nuovo millennio alle porte, che a quasi dieci anni dalla pubblicazione, è stato in grado di anticipare di gran carriera il fulmineo processo di putrefazione della società dei capitali oggi prepotentemente in atto. Si tratta di un libro incredibilmente denso di materia cronenberghiana, al punto tale che è come se le parole di DeLillo, vomitate di getto e in preda a un flusso di coscienza joyciano, fossero state scritte simbioticamente dallo stesso regista canadese, in linea col suo pensiero. Leggendo "Cosmopolis", è come se l'odore fetido dei corpi arrivasse alle narici del lettore senza filtri.
FAME
Cronenberg conferma tale simbiosi con la scelta di riportare episodi e dialoghi perfettamente estrapolati dal romanzo, una trasposizione eccessivamente fedele e quasi maniacale della fonte scritta. La limousine bianca, colonna portante di questo tour on the road che conduce dritto all'inferno, è la porta di accesso al "giro di vite" del post-capitalismo che si affaccia alla corte del re Eric Packer, giovane multimilionario immerso tra tecnologia e capitale, persona viscida e lurida che tra sesso, piscio e visite prostatiche, continua indefesso sulla propria strada ignaro del pericolo incombente (così come il protagonista capricciosamente decide di voler continuare il tragitto nonostante innumerevoli ostacoli e minacce, allo stesso modo depaupera il suo impero non tirandosi indietro da una sciagurata scelta finanziaria che lo vede vertiginosamente in perdita).
Alla corte del re transitano giovanissimi esperti di informatica e hackeraggio, "bambini" di ventidue anni padroni del mercato finanziario già "vecchi" per questo mestiere, donne esperte di finanza assuefatte al desiderio di sesso, che interrogano e si interrogano sul valore dei soldi ("Che significato ha il denaro? Un dollaro. Un milione"), che alludono al giorno libero, ai figli e al relax ma che al tempo stesso sono vittime di discorsi allucinatori sul parto tecnologico ("Sono una madre che sta correndo nel parco quando il telefono le esplode nell'ombelico"). E qual è la reazione di Eric di fronte a tutto ciò? Fame. Una irrefrenabile fame che lo porta a fare colazione, pranzare, e poi mangiare di nuovo, portare panini in macchina, sgranocchiare noccioline... Fino alla saturazione e alla consapevolezza che qualcosa si è irrimediabilmente incrinato.
ASIMMETRIA
Elise, moglie di Eric da pochi giorni, funge da elemento esterno al raccordo dei vari personaggi che ruotano attorno alla vicenda. È l'unica infatti a non essere mai ospite della limousine e incarna con estremo cinismo l'alienazione di un essere divenuto stupido, insensibile. Praticamente un oggetto, capace ancora di lanciare impulsi inibitori senza però esternare sensazioni ("Emani odore di sesso"). In Eric invece la sensazione che più lo attanaglia è una tanatofobia che lo costringe a fare check-up quotidiani al fine di monitorare costantemente la sua salute ("Morire è uno scandalo") fino a quando il medico a bordo della limousine gli riscontra un'asimmetria della prostata: Eric è preoccupato, pur non conoscendo il significato della diagnosi. Mentre la manifestazione no-global, punto massimo di instabilità all'interno del programma narrativo, fa da sfondo al profondo dialogo sul futuro e sul tempo tra il giovane e la composta e disincantata Vija Kinski, decisamente uno dei punti più alti del film. È l'immagine di un sistema invisibile chiamato cyber-finanza che non sa reagire alle imprevedibilità del vissuto quotidiano, capace di sciogliere e demolire letteralmente Packer, che lungo il suo tragitto perde prima la giacca, poi la cravatta, viene poi sfregiato simbolicamente da una torta in faccia e umiliato da uno sciagurato e deforme taglio di capelli che lo spoglia di dignità, carisma, estetica, potere.
ICARO
Improvvisamente la paura di morire cessa. Ora la solennità, il mito della morte lo elettrizza (la notizia della morte del suo cantante preferito, le immagini di un funerale megalomane e lussuoso in cui anche la salma è alla mercé della massa, del profitto). Inizia il declino e la pazzia del protagonista, deciso a vivere qualcosa di forte, qualcosa di più. Si macchia di assassinio e poi va alla ricerca del suo assassino. Solo ora guarda in faccia alla realtà e si confronta con il debole, ma l'ascesa nichilista e qualche lacrima non possono salvarlo da una mentalità malata e distorta ("Anche quando ti autodistruggi, tu vuoi fallire di più, perdere di più, morire più degli altri, puzzare più degli altri") e da una fine già scritta. Uno spettro si aggira per la città. È il capitalismo.
VIRUS
C'è un virus che ruota attorno a questo formidabile ritorno al cinema putrido di Cronenberg, è il virus della parola, della verbosità. "Cosmopolis" è un film parlato fino alla nausea, a tratti sfiancante, a tratti incomprensibile, a tratti verbalmente allucinatorio. È un film che mette in crisi l'efficacia della parola e dei gesti in un periodo così governato dal caos come lo è questo nuovo inizio di millennio. Lo sottolinea lo stesso DeLillo tra le pagine del libro ("La parola stessa era ormai perduta in una nebbia fluttuante"), lo sottolinea il film che allude al fatto di come l'intera nazione sia costretta ad analizzare grammatica e sintassi nel commento del ministro delle finanze. E così anche i gesti sono inutili. Lo stesso Packer con vivido pessimismo pensa alla durissima e violenta contestazione avvenuta in strada poche ore prima come un evento di cui presto nessuno si ricorderà più. "Cosmopolis" è sicuramente il film del "nuovo" Cronenberg che più si avvicina al passato, a quel body horror che è poi divenuto il suo marchio di fabbrica. Come in "eXistenZ" allucinazione e realtà si distinguono sempre meno, il vissuto è un gioco senza regole molto pericoloso. Impossibile poi non associare il desiderio di eccitazione e trasgressione di Eric Packer con il piacere malato e la meccanica dei corpi di James Ballard in "Crash", un desiderio né identificabile, né quantificabile ma che corrisponde all'impulso sfrenato del sesso sudicio e bestiale (e che risale agli albori de "Il demone sotto la pelle").
Cronenberg approfondisce l'ennesimo "metodo pericoloso" ma questa volta fa leva sulla contemporaneità, non rinuncia a citare Freud ma si sofferma su vari livelli di denuncia che evidenziano un presente/futuro dove i mass-media e la tecnologia inarrestabile rappresentano sempre più "la nuova carne" del vissuto (la tv inquadra la salma del cantante, ma soprattutto indugia sul sadico attentato al presidente del fondo monetario internazionale), un terzo occhio attraverso cui la deriva capitalista e materialista ha potuto inoculare allucinazioni e distorcere la vera natura del "reale".
VAMPIRI (A CANNES)
Il genio di David Cronenberg sta anche nell'aver affidato il ruolo di protagonista a Robert Pattinson, interprete giovane e accattivante, gelido e inespressivo. Vampiro osannato dalla massa ed entrato nell'immaginario collettivo dei più. Pattinson succhia più sangue (e più anime) in "Cosmopolis" che in qualsiasi altro capitolo della saga di "Twilight", emana glamour e magnetismo più che in qualsiasi passerella accerchiata dalle sue accanite ammiratrici. Accompagnato dalla fragorosa parentesi di Paul Giamatti e da una gelida e decerebrata Sarah Gadon, la nuova pellicola del regista canadese è anche una prova di strabiliante amalgama recitativo.
Presentato a Cannes e scalzato dalla lotta alla Palma d'Oro da Haneke (e Moretti), "Cosmopolis" è puro concentrato cronenberghiano, un'opera che sviluppa e completa la visione ultrapessimistica di un autore che sin dagli esordi della sua carriera ha avuto il dono di osservare in profondità il mondo che lo circondava, questa volta anche grazie al sostegno fondamentale di DeLillo. Nella speranza che un giorno il topo non diventi davvero la nuova unità monetaria.
"Sarebbe morto ma non sarebbe finito. Il mondo sarebbe finito"
cast:
Robert Pattinson, Samantha Morton, Jay Baruchel, Juliette Binoche, Paul Giamatti, Kevin Durand, Sarah Gadon, Mathieu Amalric
regia:
David Cronenberg
titolo originale:
Cosmopolis
distribuzione:
01 Distribution
durata:
108'
produzione:
Alfama Films, Kinology, Prospero Pictures
sceneggiatura:
David Cronenberg
fotografia:
Peter Suschitzky
scenografie:
Arvinder Grewal
montaggio:
Ronald Sanders
costumi:
Denise Cronenberg
musiche:
Howard Shore