A poche settimane dall’uscita del suo ultimo acclamato lavoro (“Crimes Of The Future”), torna nelle sale “Videodrome” il manifesto programmatico del cinema cronenberghiano e del genere body-horror. Un cinema fatto di contaminazioni e di mutazioni, capace di far dialogare arte e corpo stimolando codici di linguaggio e dimensioni cognitive profondamente rivoluzionarie.
Se vogliamo, con “Videodrome”, Cronenberg annulla, riscrivendole le categorie di umano, transumano e postumano. Il corpo, come superficie significante, si presta a molteplici operazioni di contaminazione e in “Videodrome” questo aspetto appare subito evidente. Centrale il concetto di “carne”, già abbozzato in film precedenti come “Il demone sotto la pelle” (1975) , “Rabid. Sete di sangue” (1977) e “Brood. La covata malefica” (1979).
Primo capitolo di un ideale trilogia sull’influenza indotta da media e nuove tecnologie sulla percezione umana (insieme a “Il pasto nudo” e “eXistenz”), “Videodrome” mette in scena un corpo e una carne compromessi dalla malattia e contagiati da un processo di alterazioni mentali irreversibili. La progressiva perdita di controllo del protagonista Max Renn (James Woods), sopraffatto dal potere invasivo della violenza, è prima di tutto una riflessione sul potere dei media. David Cronenberg introduce il concetto di “cancro creativo”, una manipolazione sensoriale capace di trasformare il corpo in uno strumento, magari allucinato e psicotico, ma completamente aperto a nuovi stimoli percettivi. Nuova carne, quindi, da nutrire e da difendere.
Come succederà molte volte nel corso della sua lunga carriera, anche in “Videodrome” Cronenberg incontra l’immaginario di William Barroughs e di James Graham Ballard, mescolato alle riflessioni sociologiche di Marshall MacLuhan e Guy Debord. Anche in Cronenberg convive e prolifica un sottotesto prima di tutto politico, costruito sul conflitto tra concetti differenti: umano/artificiale, sanità/malattia, sogno/incubo. All’interno di questo cortocircuito emozionale lo schermo televisivo non è più solo l’organo privilegiato della visione, ma diventa parte integrante del cervello. Il medium televisivo simula la realtà, alterandone, però la percezione e ridefinendone i confini. “La televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione”, dice il professor Brian O’Blivion, massmediologo e ideologo privo di corpo ma eternamente “vivo” sullo schermo.
“Videodrome”, come del resto anche “eXistenz”, è costruito sulla continua incertezza percettiva. Lo spettatore viene spiazzato dall’utilizzo di piani narrativi volutamente instabili. Realtà e allucinazione si alternano o meglio si contaminano in un gioco continuo di rimandi in cui la manipolazione e la distorsione della realtà diventano necessarie chiavi interpretative. Con una sorprendente capacità di preveggenza, il regista canadese anticipa, lucidamente, idee e immagini che si svilupperanno negli anni a venire come i visori vr indossati da Max oppure le disumane torture della prigione di Abu Grahib anticipate dalle interferenze disturbate e disturbanti dei Vhs “pulsanti” di “Videodrome”.
La riflessione sui media è lucida e impietosa, la condanna mossa dal regista è rivolta al consumo bulimico di immagini televisive e all’effetto che esse hanno sul nostro modo di interpretare la realtà. Come scarti putrefatti di intrusioni catodiche, le immagini aggrediscono il nostro cervello trasformandosi in lesioni metastatiche. In questa riflessione non c’è nessun sentimento nichilistico o rifiuto nei confronti dei media o della rivoluzione tecnologica, ma la consapevolezza che di fronte a questi linguaggi il corpo umano debba necessariamente “mutare”, aprendosi a nuove modalità di espressione e percezione; non più spettatori, quindi ma protagonisti di una rivoluzione sensoriale.
Ancora una volta il sesso diventa un linguaggio sovversivo con cui sabotare la morale comune, con cui produrre avanguardia artistica. Come il Saul Tenser di “Crimes Of The Future”, Cronenberg pratica con il suo cinema una ridefinizione “chirurgica” del concetto di corpo esibendo senza pudore nevrosi e psicosi individuali in un clima allucinato e volutamente disturbante.
All’angoscia, che aleggia in tutto il film, si aggiungono, incrostati e maleodoranti, i segni della disperazione e della morte. E a Max, messaggero prescelto della nuova dottrina, ridefinito nel corpo da una ferita/vagina addominale attraverso la quale esplorare nuove allucinazioni post-umane, riprogrammato in terminale di morte attraverso la mutazione della mano/pistola, non resta che morire o meglio rinascere (Max Renn-aissance) in un nuovo corpo, in una nuova carne. Lunga vita alla nuova carne.
L’edizione sbarcata in questi giorni nelle sale italiane è il risultato di un restauro molto accurato realizzato in 4k da Arrow Films presso il laboratorio Silver Salt, con la supervisione di James White e James Pearcey e l’approvazione dello stesso David Cronenberg. Un’operazione nata a partire dal negativo della camera originale 35mm ed elementi intermedi conservati da Nbc Universal, che restituisce alla pellicola tonalità cromatiche sorprendenti.
cast:
James Woods, Deborah Harry, Peter Dvorsky, Leslie Carlson, Jack Creley, Sonja Smith
regia:
David Cronenberg
titolo originale:
Videodrome
distribuzione:
Taurus Cinematografica
durata:
87'
produzione:
Claude Heroux; Film Pian International
sceneggiatura:
David Cronenberg
fotografia:
Mark Irwin
scenografie:
Carol Spier
montaggio:
Ronald Sanders
costumi:
Delphine White
musiche:
Howard Shore