Di fronte ad un successo, neanche così prevedibile, come quello di "Twilight" (70 milioni d'incasso nel primo weekend in patria, e quasi quattro milioni di euro in Italia), il critico deve farsi da parte, e deve piuttosto cercare di interrogarsi sulle ragioni di un tale fenomeno mediatico.
Sì, perché a conti fatti "Twilight" (tratto dalla serie di romanzi di Stephenie Meyer,
best seller negli Usa) è decisamente un film mediocre. Mediocre anche da un punto di vista meramente spettacolare e di consumo. Dalla regia anonima, tutti primi piani e carrelli obliqui (agli esordi Catherine Hardwiche si dava delle arie da autrice, ma già "Thirteen" era un drammetto plastificato), alla confezione povera e paratelevisiva (il
budget è di soli 37 milioni di dollari, gli effetti visivi sono parcellizzati e quasi sempre ridicoli) di cui si salvano solo le musiche del professionale Carter Burwell e la fotografia slavata e grigia di Elliot Davis. Il ritmo è stracco, fitto di insulsi dialoghi da
soap pomeridiana (la sceneggiatrice viene dal telefilm "The O.C."), gli attori troppo belli per essere veri. Perché questo grande successo allora? Purtroppo "Twilight" porta ad alcune constatazioni pessimiste. O Hollywood ha perso colpi pure in quel cinema
mainstream di cui era la regina incontrastata (qualche anno fa facevano furore "Terminator 2", "Jurassic Park", "Titanic", "Spider Man", film sicuramente di non grande spessore, ma che perlomeno contavano su un imponente impianto tecnico, su una qualche idea di regia), oppure (e il successo strepitoso dell'inquietante e "De Filippiano" "High School Musical 3" pare confermare questa tesi) si sta, inevitabilmente, adeguando ai tempi, ai gusti dell'Mtv Generation, cresciuta tra Facebook e sms.
Lo spettacolo ripiega su sé stesso. La
grandeur del grande schermo svanisce, e l'enorme telone bianco diventa una protesi della tv di casa. Il film non conta più, conta quello che qualcun'altro ci ha detto attraverso il tubo catodico, ovvero che "Twilight" è il film evento dell'anno, e che tutti dobbiamo precipitarci in sala a vederlo e applaudire. Ecco spiegate le ragioni del
budget "ridotto". Non per dare al film un look da opera indipendente, come si è giustificata la Hardwicke, ma per concentrarsi invece su qualcosa di molto più importante e influente: la pubblicità. E da questo punto di vista, tanto di cappello all'ufficio marketing. "Twilight", quasi inutile ribadirlo, è un film che ambirebbe ad accontentare qualunque tipo di pubblico, dalle quindicenni romantiche (attirate dalla love story "proibita" tra umana e vampiro), ai giovani rockettari e neo dark (attenzione a quanto spazio viene dedicato alle canzoni di
Muse, Iron & Wine,
Radiohead, Linkin Park...), a chi cerca emozioni forti da film horror (ma di sangue non se ne vede nemmeno una goccia), alle schiere di
teo con che applaudiranno la metafora, mica tanto celata, della castità e purezza (Bella vorrebbe essere "vampirizzata", ma Edward si rifiuta di morderla per mantenerla "illibata").
Tutto confezionato senza un briciolo di cuore o interesse. Tanto la gente in sala si beve tutto senza problemi. Il finale aperto (non v'erano dubbi) inaugura la strada per una pressoché infinita serie di
sequel (di libri ne sono già stati pubblicati quattro), che non tarderanno ad arrivare.