Nell'ipotesi di dover mettere a segno una rapina, può tornare utile avere in squadra qualche poliziotto corrotto. Non solo per le ovvie abilità maturate sul campo, quanto per l'inventiva e la precisa nozione delle dinamiche interne dei loro uffici. A chi altri, in fondo, verrebbe in mente di sviare i tutori dell'ordine lanciando, lontano dal luogo del crimine, un "999", codice che segnala un agente colpito in azione? Chi altri potrebbe eleggere a sicuro diversivo la fiumana di volanti pronte a soccorrere il collega ferito e pressoché indifferenti a qualsiasi altra chiamata? Ecco che il reato, allontanato lo spettro di zelanti pattuglie, potrà consumarsi in santa pace. A meno che la recluta da sacrificare non sopravviva all'esecuzione, ma questa è un'altra storia.
Ce la racconta, in effetti, John Hillcoat, che, al quarto lungometraggio distribuito in Italia, persevera nella sua caparbia traversata dei generi cardine del cinema americano e, dopo aver tradotto nelle aride piane della sua Australia il sostrato sporco e allucinato di un'epica western a metà strada tra Sam Peckinpah e Cormac McCarthy ("La proposta"), dopo aver esplorato con sguardo anonimo e piglio didascalico la mitologia del gangster movie all'epoca del proibizionismo ("Lawless"), si confronta, ora, con la tradizione multiforme del poliziesco. Lo fa con esagerata trascuratezza e con quello stile derivativo, che abbiamo imparato a conoscere. Si circonda di abili artigiani, affida il girato alle forbici di Dylan Tichenor (sodale storico di Paul Thomas Anderson) e alle ossessioni acustiche di Atticus Ross, ma non si avvede di come il Cinema e la somma delle sue parti siano, invero, termini incommensurabili.
Inabile a immergere lo spettatore in quel malsano girotondo di violenza, corruzione e amoralità che si propone dipingere, il film si inceppa e cade proprio là dove andrebbe cercata la sua ragion d'essere: nella costruzione di un'atmosfera livida e disincantata. Hillcoat alza la cinepresa sulle spalle dell'operatore e si attacca ai volti dei protagonisti per sondarne gli umori e le reazioni in ordinari primi piani. Non che possa dirsi un'impresa complessa, date le inconsistenti, esili caratterizzazioni. Lasciare un margine di ambiguità sul passato dei personaggi, velarne le ragioni e gli intenti oltre una cortina di dubbi e fragili ipotesi sarebbe stata una scelta pregevole, inscritta nei codici della tradizione. Che fosse questa la via intrapresa in fase di scrittura rimane una plausibile suggestione, ma deve, certo, essere mancata allo sceneggiatore una qualche misura nell'ordire la sua ragnatela di rapporti umani: a furia di sottrarre non sono rimaste che figurine di cartone, maschere, se vogliamo, serie o allucinate. Chris (Casey Affleck) è il novellino, l'agente trasferito dai quartieri alti di Atlanta nei meandri di una periferia multiculturale, ingenuo e un po' arrogante; Marcus (Anthony Mackie) il suo scafato compagno di pattuglia, nonché membro della banda di rapinatori; Gabe (Aaron Paul) il tossicomane instabile; Rodriguez (Clifton Collins Jr.) lo sbirro senza scrupoli. Nient'altro. La prova più evidente di tanta faciloneria è, però, il detective di Woody Harrelson, che gigioneggia senza freno nei panni di un agente vizioso e disilluso. Riconosciamo, in ogni smorfia, la fatica dell'attore, lo sforzo di un'interpretazione perennemente sopra le righe, per mascherare i vuoti di un personaggio impercettibile. E che dire della crudele Kate Winslet? È, forse, il nostro maggior rimpianto. Se il suo boss della mafia russa lascia un segno è davvero per sole virtù di interprete.
Non possiamo, allora, che rigettare il preteso influsso di Michael Mann su questo cinema formalista, disposto a barattare la cura dei suoi personaggi con l'impiego di una studiata palette cromatica. Dell'umanesimo dolente del regista di "Heat - La sfida" non v'è nulla e certo non basta una blanda confusione morale nell'ambiente poliziesco - in realtà più cauta di quanto appaia, dacché il finale non manca di risarcire i torti e rimunerare la virtù - per inseguirne i risultati.
Tra le sequenze godibili: la rapina iniziale, ritmata con gusto (si è già detto chi sia il montatore), e lo scioglimento finale dell'intreccio, quando l'emergere di una vena thriller risolleva la nostra curiosità di spettatori. Nel mezzo un interminabile accadere di eventi, confronti e dialoghi, che potrebbero interessarci solo a patto di conoscere più a fondo i personaggi coinvolti. Ma nel racconto di Hillcoat ci accorgiamo ben presto di quanto ci sia indifferente il loro destino.
cast:
Casey Affleck, Chiwetel Ejiofor, Woody Harrelson, Kate Winslet, Anthony Mackie
regia:
John Hillcoat
titolo originale:
Triple Nine
distribuzione:
M2 Pictures
durata:
115'
produzione:
Worldview Entertainment, Anonymous Content
sceneggiatura:
Matt Cook
fotografia:
Nicolas Karakatsanis
scenografie:
Tim Grimes
montaggio:
Dylan Tichenor
musiche:
Atticus Ross