Non è difficile pronosticare, parafrasando il titolo, che fine farà Bernadette nell’ormai ampia e sfaccettata, nonché giustamente celebrata, filmografia di Richard Linklater: probabilmente alla voce di mezzo passo falso. L’autore texano ha saputo muoversi con maestria tra film molto diversi, affiancando tematiche complesse - lo scorrere del tempo, vedi la trilogia del “Before” e “Boyhood” - a pellicole godibilissime, dal tocco sapientemente leggero (ad esempio l’arcinota “School of Rock” e l’ultimo “Tutti vogliono qualcosa”), lanciandosi nonché in ardite sperimentazioni sul linguaggio e sul sogno come “seconda chance”, altra sua ossessione, come in “Waking Life”. Stavolta, però, Linklater firma una regia il cui motore resta soffocato a lungo tra la commedia che non morde e un dramma esistenziale che resta emozionante solo sulla carta; inoltre, la solita verbosità di monologhi e dialoghi serrati, tratto inconfondibile del regista, qui non appassionano né allargano gli orizzonti come accaduto, invece, in altre circostanze.
Bernadette Fox (Cate Blanchett) è una cinquantenne che, più che trovarsi sull’orlo di una crisi di nervi, pare averne già oltrepassato la soglia, per vivere ora un’esistenza da autoreclusa: a parte l’amatissima figlia Bee (Emma Nelson) e il marito Elgie (Billy Cudrup), informatico di successo, non ha contatti sociali. I rari incontri coi vicini e le altre mamme, persino col farmacista, si traducono in scontri in cui la tagliente lingua della donna non fa che precipitare ogni battibecco. La sua unica “interfaccia” col mondo esterno è l’assistente virtuale in India, alla quale affida il compito di pianificare la propria vita: proprio l’organizzazione di un viaggio familiare in Antartide sarà il momento in cui queste contraddizioni esploderanno e, di fronte al marito che vuole obbligarla a guardare finalmente in faccia le proprie ossessioni, Bernadette prenderà una decisione inaspettata ma inevitabile, di fatto l’unica via per ritrovare sé stessa.
Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Maria Semple, bestseller negli USA, costruito efficacemente attraverso tracce online e di vita reale (email, chat, biglietti) della protagonista e di altri personaggi, “Che fine ha fatto Bernadette?” rielabora questo materiale narrativo in maniera più convenzionale, smarrendone così la polifonia e la sua accattivante multimedialità. Per mantenerne una parvenza, Linklater decide di affidarsi a filmati ricchi di interviste di ex colleghi di Bernadette che, pur costituendo un elemento interessante, non riescono ad amalgamarsi del tutto col resto del film. Si apprenderà così che Bernadette è stata un tempo una ragazza prodigio dell’architettura moderna, ma che sfortunate vicissitudini professionali nonché la complicata nascita della figlia e il trasferimento nell’odiata Seattle hanno contribuito a interrompere la sua lanciatissima carriera. È questo il male interiore che affligge la donna: come indovina il suo vecchio mentore, interpretato da Laurence Fishburne in un cameo, Bernadette avrebbe dovuto continuare nei suoi progetti, invece, la rinuncia alla creatività, soffocata dalla routine quotidiana, ha prodotto effetti disastrosi nella psiche dell’ex- allieva e nel suo mondo circostante.
Cate Blanchett si era già ritrovata a dar vita a una donna di mezza età che fa uso disinvolto di psicofarmaci in “Blue Jasmine”; in questa pellicola, è come al solito encomiabile la sua interpretazione, la quale resta tuttavia ingolfata tra la scelta di non calcare troppo la mano e il tentativo opposto di far funzionare comunque il suo personaggio, a discapito di uno sviluppo caratteriale che va avanti solo a scatti. A parere di chi scrive, infatti, Linklater incappa in una semplificazione estrema di ciò che agita la sua protagonista, dilettandosi in scene un po’ convenzionali e, di rimando, ogni sequenza narrativa è sciorinata in maniera consona ma tutto sommato deludente, sia sul piano delle emozioni, sia su quello del divertimento (perché di commedia si tratta) nonché della riflessione esistenziale. Persino il finale, rappresentazione della catarsi in cui il “vero io” di Bernadette dovrebbe mostrarci di che pasta è fatta, complice anche l’ambientazione assolutamente inusuale, viene liquidato invece con precipitosa sintesi.
cast:
Emma Nelson, Laurence Fishburne, Kristen Wiig, Billy Crudup, Cate Blanchett
regia:
Richard Linklater
titolo originale:
Where'd You Go Bernadette
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
104'
produzione:
Megan Ellison, Nina Jacobson, Brad Simpson, Ginger Sledge
sceneggiatura:
Richard Linklater, Holly Gent, Vince Palmo
fotografia:
Shane F. Kelly
scenografie:
Beauchamp Fontaine
montaggio:
Sandra Adair
costumi:
Kari Perkins
musiche:
Graham Reynolds