Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
7.0/10

Bushido


Fin dalla prima sequenza il nuovo film di Shiraishi Kazuya mette subito al centro il tavoliere da go, spazio di scontri e incontri non solo figurati che è d’altronde anche nel titolo originale della pellicola (碁盤斬り, goban-giri, "taglio del tavoliere da go"), e la ritualità del gioco da tavolo, con le lunghe pause, le strategie e le repentine vittorie, o sconfitte. Nel giro di pochi minuti non si può ovviamente essere introdotti a un gioco di rara complessità ma se ne imparano a riconoscere i ritmi e i raffinati contrasti cromatici, ambedue destinati poi a riflettersi anche nella costruzione di "Bushido", jidaigeki di ormai raro rigore estetico che si distingue per la narrazione cadenzata e per la notevole attenzione al décor e alla fotografia. Chi si aspetta un adrenalinico film di combattimenti resterà difatti a lungo a bocca asciutta, perché il focus dello specialista di crime movie nipponico è dedicato semmai alla meticolosa ricostruzione del tardo periodo Edo, un mondo di ritualità e formalismi in cui l’eroismo e l’irrequietudine dei samurai del passato è a sua volta diventato leggenda, lasciando lo spazio semmai a funzionari, avidi imprenditori e ronin appassionati più di goban (appunto, "tavoliere da go") e antiquariato che di spade.

Se la decostruzione del classico chambara eiga, il film di cappa e spada nipponico, non è evidente nel film di Shiraishi è solo perché nella rappresentazione del regista giapponese non è rimasto praticamente nulla da decostruire, da cui la lenta e riflessiva prima parte della pellicola, quasi completamente incentrata sulla quotidianità del ronin Kakunoshin Yanagida di Kusanagi Tsuyoshi (già apprezzato al FEFF 2021 nel suo ruolo in "Midnight Swan") e di sua figlia Kinu, interpretata dalla Kiyohara Kaya di "18x2 Beyond Youthful Days". All’interno di questa sezione del film, la quale si distingue per una messa in scena quasi (mi si perdoni l’ardire) neorealista, iniziano presto a delinearsi i tratti che poi in maniera rapida, quasi nervosa, portano all’evoluzione della trama, all’inizio della vera e propria fabula di "Bushido", quando il jidaigeki di Shiraishi inizia a riprendersi la sua natura di film in costume e d’azione, così come il suo protagonista si riappropria, tramite la ricerca della vendetta, della sua identità di samurai. Il minuzioso realismo della prima parte della pellicola non va però inteso come un bozzettismo escogitato per esasperare il contrasto con l’esplosiva seconda parte d’azione ma come l’ennesima dimostrazione dell’interesse di Shiraishi Kazuya nei confronti degli elementi culturali e rituali di mondi altri.

Che si tratti difatti dei gruppi yakuza divisi fra tradizionalismo e modernizzazione alla fine del XX secolo come nella saga di "Last of the Wolves" o della declinante casta militare nel tardo periodo Edo al regista di "Devil’s Path" interessa in particolar modo la rappresentazione di una specifica società in un momento di trasformazione, e le modalità con cui reagisce a ciò. L’inattualità di Yanagida e dell’ideale di samurai che rappresenta è introdotta più volte nel corso della pellicola, a partire dalla sua incapacità di sfruttare i propri talenti (soprattutto quello nel gioco del go) per procurarsi di che vivere evidenziata nei primi minuti del film fino alla sua, letterale, sparizione finale, quando la sua doppia missione imposta dall’onore è conclusa e la figlia ha finalmente trovato il suo futuro, all’interno della nascente borghesia. A dirla tutta nemmeno lo stesso protagonista rispetta le sue promesse fino in fondo, violando così lo stringente codice d’onore che dovrebbe seguire e che afferma con convinzione prima di iniziare il suo viaggio verso la vendetta, a dimostrazione di quanto il tempo degli inflessibili eroi dell’età feudale del Giappone al centro di decenni di jidaigeki sia giunto effettivamente alla fine, sostituito da un’età di maggiore pragmatismo e diplomazia.

Può difficilmente parere casuale che questa prima, e a suo modo definitiva, trasgressione di Yanagida al proprio codice d’onore (appunto, il bushidō, la "via del samurai") segua l’ottemperanza, per l’ultima volta, dell’uomo al medesimo, vendicando la moglie violentata e suicidatasi (e l’umiliazione del suo precedente signore) con l’uccisione, finalmente spade alle mano, del ronin rivale Hyogo Shibata, per di più l’unico altro giocatore di go che non era mai riuscito a sconfiggere. Ma anche questo scontro, tra l’altro preceduto da un’altra, lunga e tensiva, partita di go fra i due, nella quale Yanagida riesce finalmente a metterlo alle strette, si distanzia sensibilmente dai raffinati e geometrici duelli del passato, risolvendosi semmai in una sorta di rissa sgraziata in cui ogni genere di arma viene adoperata, e ogni supporto viene dato al ronin vendicatore in modo che riesca infine ad avere la meglio sul suo avversario. Breve e brutale come un combattimento realistico piuttosto che come un coreografato duello da chambara eiga, lo scontro fra i due termina quando Yanagida priva l’avversario della mano che l’aveva messo alle strette in passando giocando a go ma ciò non porta nessun premio al nostro eroe, la cui sorte, insieme a quella della figlia che si è offerta a un bordello per permettere al padre di riscattare un debito, pare comunque segnata.

A sancire il valore di questa interpretazione è il confronto di questo duello fra samurai con l’unico altro rappresentato nel corso delle oltre due ore della pellicola, quello in cui si assiste al ferimento di Shibata a opera di Yanagida, evento che ha dato inizio alla catena di eventi che ha condotto i due samurai al declino, seppur in modi molto diversi. Replicando con notevole sforzo mimetico il formato e l’estetica della gloriosa stagione dei jidaigeki degli anni 60 e 70, quella di Kurosawa Akira e Kobayashi Masaki, Shiraishi confeziona il duello fra i samurai non ancora decaduti con i movimenti di macchina, i tagli di montaggio e le coreografie del cinema d’azione di quegli anni, una scelta che d’altronde viene adoperata anche per gli altri pochi flashback della pellicola. Il confronto col sanguinoso, confusionario e cupo combattimento prefinale non potrebbe essere più impattante, rinforzando il realismo della rappresentazione del presente proprio in contrapposizione a un passato ormai mitico di duelli eleganti e colori sgargianti, oltre a rimarcare la cura dei dettagli da parte del regista di "Bushido" e del resto della crew.

Sebbene la prevedibilità del finale dica forse di più di una certa pigrizia narrativa nel voler chiudere un racconto sempre più tensivo che di un’idea di maturazione del proprio eroe, la sua efficacia è difficile da negare, mostrando Yanagida capace infine di mettere da parte per un attimo i valori ormai inattuali dei samurai ed evitarne la letteralità (il tavoliere da go che viene giustiziato al posto di chi lo aveva infamato). Questo almeno fino alla sparizione del ronin, il quale decide di autoesiliarsi dal mondo in cui aveva appena trovato posto e accettare alla fine il suo ruolo di samurai vagabondo fino in fondo, forse con la speranza di poter diventare così, in qualche maniera, a sua volta una figura della leggenda. Premiato col Black Dragon Award al Far East Film Festival 2024, in cui è stato presentato in anteprima mondiale, "Bushido" mostra una coerenza estetica e discorsiva che raramente il cinema di Shiraishi Kazuya aveva mostrato negli anni recenti. In questo, come nella sfaccettata palette di gialli, neri, marroni e grigi che condividono, somiglia molto al suo protagonista e similmente svetta, con la sua figura asciutta e tranciante, all’interno di un concorso spesso dimentico di quel rigore.


04/05/2024

Cast e credits

cast:
Tsuyoshi Kusanagi, Kaya Kiyohara, Jun Kunimura, Taishi Nakagawa, Kyoko Koizumi, Takumi Saito, Masaki Ichimura


regia:
Kazuya Shiraishi


titolo originale:
Goban-giri


distribuzione:
Kino Films


durata:
129'


produzione:
Akagi Satoshi, Tanigawa Yukiko


sceneggiatura:
Kato Masato


fotografia:
Fukumoto Jun


scenografie:
Imamura Tsutomu


montaggio:
Kato Hitomi


musiche:
Abe Umitaro


Trama

Il ronin Kakunoshin Yanagida vive nei sobborghi di Edo con la figlia Kinu dedicando ormai la maggior parte del suo tempo al gioco del go, di cui è un maestro. Durante una partita incontra un ricco commerciante e creditore, il quale, ponendosi come suo discepolo nell'apprendimento del go, intreccia col samurai decaduto un singolare rapporto di amicizia. L'accusa di aver sottratto un corposo credito al suo anfitrione, insieme alla notizia che l'uomo che anni prima, dopo essere stato umiliato e ferito da lui, molestò sua moglie spingendola al suicidio sia ancora in circolazione, spingono però Yanagida ad abbandonare la sua consolidata quotidianità e tornare in azione.